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2 marzo 1878, Scozia-Inghilterra 7-2: la caduta dei Maestri

Se si dovesse stilare una lista delle partite che hanno letteralmente cambiato la storia del calcio, Scozia-Inghilterra 7-2 del 2 marzo 1878 meriterebbe senz’altro di essere inserita nelle prime dieci. Questo perché fu in questa gara che emerse prepotente la consapevolezza degli uomini delle Highlands di aver compreso meglio dei cosiddetti “Maestri” i segreti del gioco che soltanto ufficialmente aveva preso forma a Londra nell’autunno-inverno del 1863.

Non solo questa partita sarebbe rimasta per ben 76 anni la peggior sconfitta mai patita dall’Inghilterra, ma anche perché fu la prima prova di come gli orgogliosi ideatori del football fossero un popolo restio ai cambiamenti, soprattutto se partoriti da Paesi naturalmente considerati sudditi dell’Impero.

Non è certo un caso, del resto, che la successiva, storica, debacle sarebbe arrivata ancora una volta per gli stessi motivi, un 7-1 inflitto agli inglesi dall’Ungheria di Puskas e del “calcio socialista” già vittoriosa 6-3 a Wembley pochi mesi prima e che fu affrontata senza cambiare minimamente schieramento, strategia o mentalità.

In ogni caso la sconfitta del 1878 segnò per la prima volta la fine della superiorità inglese: pur non volendolo riconoscere, i “Maestri” si trovarono impotenti di fronte al gioco degli scozzesi, incapaci di reagire e infine, dopo altre batoste di simile entità, costretti a ripensare le basi del proprio movimento calcistico.

È più che probabile che fu proprio Scozia-Inghilterra 7-2 a dare il via a quei cambiamenti che negli anni avrebbero portato alla nascita degli scotch professors, l’ascesa del professionismo e infine la nascita della Football League e del calcio moderno.

Scozia-Inghilterra 7-2, la partita che cambiò la storia

Quel 2 marzo del 1878 il calcio era tanto uguale quanto diverso da quello che conosciamo oggi. Ad esempio le porte erano rappresentate da due sottili pali di legno conficcati nel terreno e uniti tra loro da un nastro, progenitore delle traverse che sarebbero arrivate soltanto quattro anni dopo.

Ancora l’ingegnere civile John Alexander Brodie doveva inventare le reti delle porte, l’arbitro sedeva in tribuna e veniva interpellato soltanto se il parere dei due assistenti presenti in campo – uno per squadra – differiva, cioè assai raramente considerata la sportività tra gentiluomini in uso allora.

Rigori, sostituzioni, cartellini gialli? Tutto sarebbe arrivato più tardi, così come le prime alchimie tattiche. Nel 1878 qualunque squadra praticasse il football si schierava con il 2-2-6 ideato proprio dal portiere scozzese Robert Gardner in occasione della prima partita internazionale riconosciuta, quella andata in scena all’Hamilton Crescent di Partick il 30 novembre del 1872.

Gli inglesi avevano presto imitato una disposizione tattica chiaramente più funzionale rispetto all’iniziale 1-1-8, ma nonostante avessero cambiato modulo quello che non era cambiato era lo spirito con cui si approcciavano al gioco.

Una formazione del Queen’s Park di Glasgow

L’ascesa del combination game

Al fine combination game, basato su una fitta rete di passaggi e teso a far correre il pallone più che i giocatori, l’Inghilterra continuava a preferire il rude dribbling game, un gioco dove coraggio e tenacia la facevano da padroni, dato che del resto più che di dribbling si parlava di veri e propri assalti a testa bassa alla porta avversaria.

I padri fondatori del gioco, cresciuti nei più esclusivi e austeri istituti scolastici d’Inghilterra, ritenevano infatti il passaggio un atto disdicevole, un gesto da codardi, un’ammissione di inferiorità e di incapacità di prendersi le proprie responsabilità.

Tutt’al più, se proprio intendevano praticare il gioco di squadra, gli inglesi finivano con il fiancheggiare il proprio portatore di palla, pronti a cogliere il pallone se questo veniva respinto dalla difesa e a rilanciarsi nuovamente in attacco. Ma i passaggi volontari erano estremamente rari, tutto il contrario degli scozzesi, che invece esibivano e quasi ostentavano il loro diverso – e vincente – approccio al gioco.

Una differenza evidente

Una delle frasi che amano ripetere spesso in Scozia è che “se è vero che gli inglesi hanno inventato il calcio, sono gli scozzesi ad aver capito come andava giocato“. Forse questa massima comincerà a diffondersi dopo Scozia-Inghilterra 7-2 del 1878, forse addirittura già in occasione della prima sfida andata in scena tra le due Nazionali, ai tempi le uniche esistenti al mondo.

Resosi conto che gli scozzesi concedono di media almeno dieci centimetri in altezza e dieci chili in peso ai rivali – conseguenza di genetica e di una dieta essenzialmente più povera – è nella prima partita del 1872 che Robert Gardner intuisce che soltanto uno schieramento più accorto eviterà gli uno contro uno e il conseguente crollo della squadra fisicamente più debole.

Non è un’idea così audace e rivoluzionaria come si potrebbe pensare. Lui e i compagni del Queen’s Park di Glasgow, chiamati a rappresentare la Scozia nella sua intera formazione, giocano così già da anni e con eccellenti risultati, complice anche una regola del fuorigioco differente e, appunto, classi sociali meno rigide rispetto a quelle inglesi.

Due stili che non possono coesistere

In Inghilterra qualcosa di simile è stato tentato dai Royal Engineers, espressione della scuola militare di Chatham, e in effetti il gioco si è evoluto, ma a livello di Nazionale gli inglesi restano dei superbi e vanitosi solisti, rifiutando di giocare di squadra con compagni che non ritengono alla propria altezza.

Come ad esempio Jack Hunter e Billy Mosforth, figli della classe operaia di Sheffield e aggregati nella trasferta del 1878 per cercare di coinvolgere il nord d’Inghilterra in un gioco, il football, che se restasse appannaggio delle classi più agiate finirebbe per restare un semplice passatempo.

Così la pensa Charles Alcock, padre fondatore del calcio, segretario della Football Association e presidente del comitato che dirama le convocazioni in vista dei rari impegni internazionali. Chiamate che spesso più che premiare la bravura e l’abilità tecnica risultano essere un delicato equilibrio politico tra la nobiltà e la plebe rappresentata dalla working class, che per inclinazione naturale si è presto ritrovata a praticare lo stile di quelli scozzesi tanto più simili al laborioso nord d’Inghilterra rispetto ai nobili figli di Londra e dintorni.

Una partita senza storia

Naturale che, messi insieme, questi due stili non possono funzionare. Hunter, difensore, si troverà spesso inutilmente a chiedere al compagno di reparto, l’aristocratico Edward Lyttelton, di mantenere la posizione. Mosforth, genio del dribbling e inventore del “tiro a giro”, vagherà senza meta sulla fascia chiedendo di essere servito e finendo puntualmente con l’essere ignorato.

Gli scozzesi invece sono una forza inarrestabile. Anche se il Queen’s Park ha dovuto inevitabilmente aprire le porte della Nazionale anche ad altri club, l’influenza degli Spiders è marcatissima. Lo si evince dal fatto che il vecchio e storico capitano, Robert Gardner, è stato privato della fascia non appena si è trasferito – sembra sotto compenso – al Clydesdale. Incapaci di rinunciare a quello che viene considerato all’epoca il miglior portiere al mondo, i giocatori del Queen’s Park lo hanno però degradato, nominando capitano il loro nuovo leader Charles Campbell.

In attacco sono presenti due rappresentanti del Vale of Leven, compagine che proprio in quegli anni sembra essere la migliore di Scozia: John McGregor e John McDougall operando sulla destra, combinando molto bene tra loro e interagendo bene anche con quelli che sono in campo nazionale i loro più acerrimi rivali, Richmond, Highet, MacKinnon e McNiel. In difesa un altro membro del Vale of Leven fa coppia con Thomas Vallance, ex-canoista e primo storico capitano dei Rangers di Glasgow: con i suoi 190 centimetri di altezza è considerato all’epoca un vero e proprio gigante.

Lo scatenato John McDougall

10.000 persone assiepano gli spalti dell’Hampden Park, stadio che con l’attuale condivide soltanto il nome e che fu costruito nel 1873 in occasione della prima partita ufficiale del Queen’s Park. Altre 5.000, un’enormità per i tempi, circondano il primitivo impianto – alla sua prima partita internazionale – cercando di sbirciare verso il campo e di intuire dai boati della folla l’andamento di una partita che non ha storia.

Al 7′ la Scozia è già in vantaggio con McDougall, al 32′ raddoppia con un bel colpo di testa di McGregor e al 39′ va sul 3-0 con McNiel. Prima del riposo ecco un altro gol firmato dallo scatenato McDougall, che un minuto dopo l’inizio del secondo tempo trova la prima tripletta di sempre in una partita tra nazionali.

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John McDougall, stella del Vale of Leven, è il primo calciatore nella storia ad aver realizzato una tripletta in una sfida internazionale.

Una batosta epocale

Sono trascorsi appena 46 minuti, la Scozia conduce 5-0 e l’Inghilterra è incapace di reagire. Hunter continua a trovarsi solo contro l’intera linea offensiva avversaria, Mosforth continua a chiedere inutilmente il pallone, che non gli viene consegnato neanche quando viene lasciato completamente solo. Non si tratta di una partita di calcio, ma di un’esibizione in cui i cosiddetti “Maestri” sono semplici spettatori: il 6-0 segnato da MacKinnon vede una furiosa reazione inglese, che trova il gol della bandiera in seguito a una mischia sotto porta talmente violenta da causare l’infortunio di Thomas Vallance, costretto a lasciare il campo dopo che addirittura un pezzo di terreno gli è finito in un occhio.

Ma neanche l’uomo in meno negli scozzesi cambia l’inerzia di una gara che vede ancora un gol per parte: quello della Scozia arriva dopo uno splendido spunto in dribbling di McNiel, che supera persino l’attonito portiere Warner, quello degli ospiti è firmato da Arthur Cursham ma serve soltanto per salvare parzialmente l’onore. Finisce 7-2, una batosta epocale per chi si vanta di aver inventato il football e aveva sempre considerato le sconfitte contro i cugini delle Highlands poco più che semplici incidenti di percorso, conseguenza di giornate storte.

Stavolta no, stavolta la mazzata alla credibilità del calcio inglese è evidente e continuerà negli anni, come evidenziato dai futuri risultati nelle sfide tra le due Nazionali.

  • 5 aprile 1879, Inghilterra-Scozia 5-4
  • 13 marzo 1880, Scozia-Inghilterra 5-4
  • 12 marzo 1881, Inghilterra-Scozia 1-6
  • 11 marzo 1882, Scozia-Inghilterra 5-1
  • 10 marzo 1883, Inghilterra-Scozia 2-3
  • 15 marzo 1884, Scozia-Inghilterra 1-0
  • 21 marzo 1885, Inghilterra-Scozia 1-1
  • 27 marzo 1886, Scozia-Inghilterra 1-1
  • 19 marzo 1887, Inghilterra-Scozia 2-3

Arriva il professionismo

Nelle successive nove sfide infatti per gli inglesi arrivano due pareggi e una sola vittoria, peraltro contestata a causa di un arbitraggio sospetto. Soprattutto le disfatte (6-1 e 5-1) a cavallo tra il 1881 e il 1882 arrivano in un momento in cui il professionismo mascherato sta prendendo sempre più piede in Inghilterra, con le squadre del nord operaio che si prodigano di trovare finti lavori ai più talentuosi tra gli scozzesi.

È il momento del Darwen degli scotch professors, del poderoso e pittoresco centravanti con un occhio solo James Lang. È l’epoca degli Sheffield Zulus e del Blackburn Olympic, due invenzioni di Jack Hunter – proprio lui, il difensore ignorato in campo dai compagni – che segneranno un prima e un dopo nella storia del calcio. Presto arriverà quello dei Blackburn Rovers, poi degli Invincibles del Preston North End.

William Sudell (terzo in piedi da destra) e il Preston North End, la prima squadra dichiaratamente professionistica.

Nel 1885 quasi ogni squadra non di base a Londra può contare su uno o più scozzesi prezzolati, venuti a insegnare agli inglesi come si gioca davvero il calcio: la Football Association tenta di arginare il professionismo ormai imperante, ma non può niente contro un fenomeno che ormai è dilagante e che ha reso il calcio, nel bene e nel male, molto più di un gioco. Il professionismo viene accettato, e nel 1888 nasce la Football League, il primo campionato al mondo che muove già da subito notevoli quantità di denaro.

L’ascesa del calcio moderno

In conclusione, quando sentiamo dire che “il calcio di un tempo era più puro e genuino” bisogna essere consapevoli che questa affermazione non corrisponde mai a verità. Il football è sempre stato una questione di soldi, prestigio, desiderio di vincere e interessi personali: imprenditori che pubblicizzavano le proprie aziende, vendevano i propri servizi all’interno di stadi dove si pagava il biglietto, ricoprivano d’oro quei giocatori che garantivano vittorie e nuovi guadagni.

Se proprio volessimo rimpiangere un calcio puro e primitivo, con i suoi pregi e i suoi difetti, dovremmo infatti tornare a un tempo incredibilmente antico. Quello dei nobili Old Boys delle public schools, spazzato via un pomeriggio di marzo del 1878, quando gli scozzesi insegnarono ai maestri come andava giocato il football da loro inventato.


Della Football Association e delle prime sfide internazionali, di Jack Hunter e dell’ascesa del professionismo, racconto nel mio primo libro: “Pionieri del Football, Storie di calcio vittoriano 1863-1889”, il racconto continuativo dei primi 25 anni di calcio nella Gran Bretagna vittoriana uscito per Urbone Publishing nel novembre del 2016. [GUARDA SU AMAZON]

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