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23 maggio 1915: il calcio e la guerra

23 maggio 1915: la Prima Categoria, antesignana di quella che oggi conosciamo come la Serie A, si avvia alle sue battute conclusive. Il Genoa, dominatore dei primi campionati pionieristici, si trova per la prima volta dopo dieci anni a un passo dalla conquista del titolo di campione nazionale. Si prepara ad ospitare il Torino secondo, gli basterà un pari per tornare ad essere il club più forte d’Italia. Poi, improvvisamente, tutto si ferma. È la storia del calcio e la guerra.

“Poi accadde qualcosa che nessuno aveva mai visto succedere: gli arbitri, trasfigurati in gravi banditori dei tempi andati, presero la parola all’unisono sui diversi campi per annunciare al pubblico, desideroso più che mai di distrazioni, e ai giocatori attoniti, che la festa era finita.

Diedero pubblica lettura, le giacchette nere, del comunicato col quale la Federazione Italiana Giuoco Calcio deliberava la sospensione immediata dei tornei di ogni ordine e grado in vista dell’entrata in guerra contro l’Austria-Ungheria.

All’inizio la gente non capì che nel provvedimento erano incluse anche le partite del pomeriggio, e iniziò a realizzare cosa stava succedendo solo quando gli arbitri, da Nord a Sud, rientrarono negli spogliatoio portando con sé i palloni.” [1]

Dal campo alla trincea

L’Italia, dopo aver mantenuto a lungo la propria neutralità, si era decisa ad entrare in guerra e il giorno dopo, il 24 maggio, dichiarava ufficialmente la propria ostilità all’Austria. Scoppiava così la Prima Guerra Mondiale anche per noi, un conflitto tremendo, che non avrebbe risparmiato dolore e sofferenze ad un Paese che si era illuso che il tutto sarebbe durato poco.

Essendo il calcio ancora un gioco e poco più in tutto il pianeta, non pochi furono i Paesi che videro i propri primissimi eroi del football perire in guerra al fianco di persone comuni: l’Inghilterra, patria del gioco che stava conquistando lentamente tutto il globo, pagò con la decimazione di intere squadre, arruolatesi tutte insieme nei famosi “Pals Battalion“, reggimenti dove in cambio dell’adesione volontaria avevi la garanzia che avresti combattuto insieme ai tuoi amici.

Anche in Italia scomparvero numerosi calciatori, tra cui numerosi assi dell’epoca, figure storiche e indimenticabili senza le quali l’intera storia del football italiano sarebbe stata completamente diversa.

Il calcio e la guerra: i morti tra le stelle degli stadi

Giovanni Zini era un portiere talentuoso: nativo di Cremona, aveva esordito nei grigio-rossi poco dopo aver compiuto i 18 anni, disputandovi due stagioni. Durante il conflitto si era prodigato con generosità inesauribile nel suo ruolo di barelliere, fino al giorno in cui il fisico fiaccato dallo sforzo fu vinto da un’infezione tifoidea che se lo portò via un mese dopo aver compiuto 21 anni.

A lui la Cremonese ha dedicato il proprio stadio, così come è accaduto a La Spezia con Alberto Picco: già nuotatore, canoista e ginnasta, fu tra i fondatori del club ligure, di cui fu anche l’autore del primo storico gol. Sottotenente di complemento del corpo degli Alpini, cadde mentre caricava con coraggio la trincea nemica durante la battaglia per la conquista del Monte Nero.

Ferito prima a un piede e successivamente al ventre, spirò tra le braccia del proprio capitano non prima di aver detto “Viva l’Italia e avanti Savoia! Muoio contento di avere servito bene il mio Paese!” Aveva poco più di vent’anni.

Autentici pionieri del pallone

Poco più di vent’anni aveva anche Enrico Canfari, che nel 1897 fondava insieme al fratello Eugenio e ad alcuni compagni del liceo “Massimo D’Azeglio” quella che sarebbe diventata in seguito la squadra più vincente d’Italia, la Juventus. Sportivo vero, giocò con i bianconeri e con il Milan, fece il guardalinee e l’arbitro, fu presidente sia della squadra del cuore che dell’Associazione Italiana Arbitri: come molti cadde sull’Isonzo, a 38 anni.

Qualche mese dopo moriva un altro socio fondatore della Juventus, Luigi Forlano, bersagliere: in carriera aveva giocato anche per il Milan, segnando il primo gol nella storia dei “derby della Madonnina”. Un sadico e cinico destino gli avrebbe poi portato via anche il figlio Bruno, giovane di belle speranze nel Novara caduto nella Campagna di Russia, durante la seconda guerra mondiale.

E anche Alessandria piangeva l’inglese George Arthur Smith, caduto alla soglia dei trent’anni nelle Argonne, Francia: giunto giovanissimo in Italia per unirsi al Genoa, si era poi spostato in Piemonte e aveva letteralmente creato la “scuola alessandrina”, basata sul gioco corale e la cura del vivaio, dal quale era stato capace di lanciare autentici campioni come Carlo Carcano e Adolfo Baloncieri.

Lacrime rossonere…

Se la Juventus perse il proprio presidente storico, il Milan ebbe numerose perdite: tra queste vi furono il vice-presidente Gilberto Porro Lambertenghi e il giovane attaccante trevigiano Erminio Brevedan, caduto nella battaglia di Monte Piana, nel Carnico, mentre era sottotenente. In rossonero aveva fatto in tempo a giocare un pugno di gare, segnando una tripletta in un esordio che aveva colpito positivamente tutti i presenti.

…e nerazzurre

Rivale di Brevedan nel derby di Milano, e molto più conosciuto, era il capitano dell’Inter Virgilio Fossati: alto, elegante dentro e fuori dal campo, aveva giocato in nerazzurro un centinaio di gare e inoltre era stato il primo nerazzurro a vestire la maglia della Nazionale, andando a segno nella prima storica partita contro la Francia e giocandovi in tutto 12 partite.

Fossati non era solo bello da vedersi in campo, ma era anche un leader: uno di quelli che danno il buon esempio, che non scordano da dove vengono, che si prodigano per aiutare i compagni in difficoltà. Fu così che morì, cadendo a Monfalcone lungo il confine nord-orientale, colpito a morte dagli austriaci mentre, inesauribile, continuava a lottare per dare l’esempio ai suoi soldati.

Oltre che prima stella e primo capitano, dell’Inter è stato anche il primo allenatore, a conferma di una grande maturità nonostante la giovane età. Insieme a lui l’Inter pianse altri 25 tesserati, giocatori di varia importanza ma tutti uomini nel fiore dell’età.

Ammainate le bandiere

Un’altra bandiera venne ammainata a Bologna: Guido Della Valle, tra i fondatori del club felsineo e fratello del campionissimo e capitano Giuseppe, cadeva in guerra e come lui finivano anche Bianchi, Brivio, Pifferi e Sala. Moriva anche Guido Alberti, centrocampista di talento stroncato dal tifo: il fratello Cesare anni dopo ne avrebbe ripercorso le orme con ancora più classe, trovando però pure lui la morte giovanissimo in circostanze tragiche e misteriose.

E ancora più a sud pure la Lazio piangeva la morte di due portieri, Lorenzo Gaslini e Alberto Canalini: quest’ultimo, di professione falegname, aveva realizzato con il fratello le prime porte da calcio in città. Moriva anche chi era nato lontano dall’Italia, e vi era tornato da adulto: i fratelli Iberto e Julio Bavastro, tornati dall’Uruguay, caddero giovanissimi sugli altipiani. Dei due il più talentuoso era il secondo, il più giovane, che fu splendido attaccante sia nel Milan che nell’Inter e che fu pianto da entrambe le tifoserie.

E spostandoci in Veneto, come dimenticare Lauro Bosio, alpino caduto sul fronte dolomitico? Nel primissimo Vicenza era stato centrocampista di buona lena e poi segretario e consigliere.

La morte degli eroi

Anche il Genoa avrebbe finito per piangere i propri morti: a causa di un colpo di artiglieria cadde a Cima Maggio Luigi Ferraris, centrocampista originario di Torino ma che nell’accesa rivalità dei primi anni del calcio in Italia tra Piemonte e Liguria aveva deciso di schierarsi con quest’ultima, regione di adozione. Nella vita di tutti i giorni era ingegnere, morì coraggiosamente al fronte a 23 anni ancora da compiere e a lui il Genoa dedicò poi lo stadio di Marassi, seppellendo nel terreno di gioco la sua medaglia d’argento al valor militare.

Non era, ovviamente, l’unico morto del “Grifone”: morirono anche Casanova, Gnecco, Marassi e Sussone. Anche l’inglese James Spensley, figura chiave del calcio italiano come dello scautismo e della beneficenza, cadde, pur se lontano dall’Italia. Arruolatosi volontario per il proprio Paese, aveva continuato a svolgere in guerra la professione quotidiana di medico, e per questo era stato ferito gravemente, mentre si accingeva a soccorrere un soldato nemico in fin di vita.

Morì nella fortezza di Magonza per le ferite riportate, e anche se si trattava di un soldato straniero il calcio italiano lo pianse come il padre fondatore del foot-ball sui nostri lidi, riconoscendone l’importanza fondamentale nello sviluppo della disciplina: uomo estremamente generoso, quel che guadagnava lo utilizzava per sfamare i bambini orfani di Genova, e si era battuto con i suoi soci inglesi per far si che il gioco fosse permesso anche agli italiani.

Una follia da non dimenticare

In guerra cadde come tanti, troppi, ma quanto fatto in vita gli ha permesso di restare per sempre nel cuore degli appassionati come noi. Che oggi, esattamente un secolo dopo, vogliamo ricordare quel giorno nefasto in cui il calcio e la guerra incrociarono le loro strade per rendere omaggio a chi di quella conseguenza di eventi è stato vittima.

“Camminando, tra la folla, alle partite di calcio e in guerra, i profili si fanno vaghi; le cose reali divengono irreali e una nebbia si distende sul cervello.

Tensione ed eccitamento, stanchezza, movimento, tutto si perde in un gran sogno grigio, così che, quando è finito, è difficile ricordare come fu quando si sono uccisi degli uomini o si è dato l’ordine di ucciderli.

Quindi gli altri che non c’erano vi dicono com’è andata e voi rispondete vagamente: “Già, dev’essere proprio stato così.” [2]


NOTE:

[1] Brizzi, Enrico (2014) Il meraviglioso giuoco, pionieri ed eroi del calcio italiano 1887-1926, pag. 148

[2] Steinbeck, John (1944) La luna è tramontata

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