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Adrian Doherty, il quinto Beatle della classe del ’92

Adrian Doherty era l’ala destra del Manchester United giovanile che nel 1992 stupì tutta l’Inghilterra. Una squadra in cui spiccavano molti giovani talenti che avrebbero fatto le fortune dei Red Devils negli anni a venire. Nomi come i fratelli Gary e Phil Neville, difensori abili e versatili, il centrocampista Paul Scholes, un ragazzino rossiccio e asmatico che sarebbe diventato contro ogni pronostico uno dei più forti e completi interpreti recenti del ruolo.

L’ala sinistra era un tale Ryan Wilson, dotato di dribbling fulmineo e velocità pazzesca. Tutti ne parlavano un gran bene, in seguito avrebbe abbandonato il cognome e la nazionalità inglese del padre per prendere quelli della madre. Giggs. E poi c’erano David Beckham, che sarebbe diventato una stella non solo sul campo, uno dei giocatori più pagati e conosciuti al mondo, e l’ottimo mediano Nicky Butt. Tutti forti, fortissimi.

Il tecnico Alex Ferguson, grande intenditore di giovani talenti, era certo già allora del futuro roseo che avrebbero avuto quei campioni in erba: i 6 nomi citati avrebbero collezionato in futuro ben 3.450 presenze complessive con i Red Devils, vincendo tutto. Ma se la storia della famosa “Class of ’92” è nota a tutti gli appassionati di calcio, quello che forse non tutti sanno è chi venisse considerato il più forte in assoluto, quello con maggiori potenzialità di lasciare il segno.

Adrian Doherty, la stella della “Class of ’92

Il più forte era Adrian Doherty, il futuro George Best. Con il campionissimo degli anni ’60 condivideva il ruolo, ala destra, la nazionalità nordirlandese e il talento sopraffino. A differenza di Best, però Doherty era pure un bravo ragazzo, che non beveva, che non saltava un allenamento. Insomma, un talento che nessuno avrebbe mai potuto fermare. Un predestinato.

Così lo ricorda Brendan Rodgers, attuale allenatore del Liverpool, coetaneo e connazionale di Adrian, con cui giocò diverse volte da ragazzo prima che entrambi si lanciassero nell’avventura del calcio professionistico.

“Lo chiamavano ‘The Doc’, e Ryan Giggs, i Neville, tutti quelli che lo hanno visto giocare vi diranno che era il miglior giocatore mai visto a livello giovanile. Veloce e coraggioso come un leone. Un ragazzo timido ma di grande personalità, un talento enorme.”

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E che del resto si parlasse di un predestinato lo si poteva intuire dal fatto che da piccolo, stella della squadra di Gaelic Football della scuola, si fosse distinto per non utilizzare mai le mani, preferendo i piedi o la testa, su cui mantenendo in equilibrio il pallone una volta si era bevuto un’intera difesa.

Come già accaduto per un altro talento precoce, Norman Whiteside, per evitare ripensamenti e cambi di bandiera la Nord Irlanda aveva deciso di convocare Doherty in Nazionale quando questo era ancora minorenne, ricevendo però una risposta secca da parte di Ferguson: “il ragazzo è troppo giovane, non bruciamolo.”

Talento fragile

Giovane e fragile, se è vero che poco dopo il trasferimento a Manchester aveva sentito la mancanza di casa al punto da convincere Ferguson – noto per il carattere poco accomodante – prima a rimandarlo dai suoi per tre mesi e poi a trovargli posto in una famiglia irlandese del posto, che lo aveva accolto come un figlio.

E il talento lentamente era emerso, pur se accompagnato da un carattere scanzonato e apparentemente poco competitivo: non era raro vederlo lasciare gli allenamenti in sella alla sua bicicletta di seconda mano, la chitarra sulle spalle, l’obiettivo di raggiungere qualche locale cittadino per esprimere la sua passione per la musica.

“Aveva tutto quello che serve a un grande calciatore. Ma era più felice con i suoi libri, le sue poesie e la sua chitarra.”

Sir Alex Ferguson

Troppo giovane per la Nazionale, forse, ma non per fare l’esordio in prima squadra. Dopo averlo portato in trasferta, pur senza schierarlo – con il bonus Doherty aveva acquistato una macchina da scrivere per vergare le sue poesie – Ferguson progettava di inserirlo a breve nella formazione titolare. Ne aveva persino parlato ai giornalisti, descrivendolo come “un fulmine, una scoperta emozionante”. Ma i suoi piani naufragarono quando pochi giorni prima della fatidica data Doherty si ruppe i legamenti durante un banale allenamento.

Un colpo tremendo, quasi 7 mesi di stop seguiti al rientro da un nuovo infortunio, identico, che allungò i tempi di recupero di un altro anno. Era già finita, e fu chiaro a tutti quando il ragazzo provò a tornare in campo: incapace di correre come prima, incapace di calciare con potenza come era abituato, incapace soprattutto di gettarsi nella mischia senza il timore di farsi male ancora.

Tornò in Irlanda, giochicchiò qualche gara con il Derry nel modesto campionato irlandese, una competizione che appena un paio di anni prima non avrebbe neanche potuto sperare di vederlo tra i suoi protagonisti. Molti anni prima papà James aveva vestito la stessa maglia, ma era chiaro che quello che per Doherty Sr. era stato un punto d’arrivo, per “The Doc” non era altro che un penoso ripiego.

Sognando Bob Dylan

Molti altri giovani si sarebbero depressi, ma non fu così per Doherty. Era un ragazzo giovane, timido, ma molto profondo e pieno di gioia di vivere. Amava il calcio, ma non era tutta la sua vita. Certo, un rimpianto doloroso – a chi conosceva, quando i tempi dello United erano già un ricordo, Adrian non raccontava mai il suo love affair con il football, raccontando che aveva fatto il postino – ma da mettere da parte.

I compagni delle giovanili lo ricordano leggere di filosofia e suonare la chitarra, soprattutto canzoni di Bob Dylan. Una sua esibizione, mentre suona con la sua band “All along the watchtower”, si trova ancora su YouTube. Avrebbe voluto sfondare nella musica, ma questa è un’arte tanto capricciosa quanto quella calcistica, e anche in questo caso il talento è solo una delle componenti per il successo. Non funzionò.

Un tragico finale

Si ritrovò in Olanda, ad Amsterdam, impiegato in un mobilificio. Una mattina, mentre correva per non perdere il treno che lo avrebbe portato al lavoro, non si sa come scivolò in un canale. Aveva sempre avuto fobia dell’acqua, non aveva mai imparato a nuotare.

Lo trovarono svenuto, in coma, e dopo un mese di ospedale morì, il giorno prima del suo ventisettesimo compleanno. In quel momento, in Inghilterra, il Manchester United – dove giocavano i suoi ex-compagni – stava festeggiando il suo sesto titolo in 8 anni.

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“Una delle ali più veloci mai viste. Gli scout dello United dicevano che avrebbe potuto acchiappare i piccioni dalla rapidità con cui si spostava per il campo.

Lui, Giggs e Scholes erano gli unici su cui tutti erano pronti a giurare che al 100% si sarebbero affermati come veri calciatori.

Ma mentre Giggs aveva un gran piede sinistro e grande velocità, e Scholes sapeva usare bene entrambi i piedi ma era lento, Doherty aveva tutte queste qualità riunite.”

Tony Park, “Sons of United”

Così lo ricorda Tony Park, autore del libro “Sons of United” (“I figli dello United”), che racconta la storia del settore giovanile dei Red Devils. Un settore dove tanti sono diventati grandi, ma in cui il più grande è rimasto confinato come una leggenda metropolitana, incapace di spiccare il volo, la carriera spezzata da un maledetto infortunio.


Adrian Doherty

Soprannome: The Doc

Nato a: Strabane (Irlanda del Nord) il 10 giugno 1973

Morto a: L’Aia (Olanda) il 9 giugno 2000

Ruolo: ala

Squadre di club: Manchester United

Trofei conquistati:


SITOGRAFIA:

  • Taylor, Daniel (15/11/2014) Adrian Doherty: the lost star of Manchester United’s class of 92, The Guardian
  • (18/11/2014) L’ineluttabilità del calcio: la triste parabola di Adrian Doherty, Football Please
  • Casey, Jamie (24/07/2016) Adrian Doherty: The Irishman who could have been king of Old Trafford, The Irish Post

BIBLIOGRAFIA:

  • Park, Tony/ Hobin, Steve (2012) Sons of United, Popular Side Publications – ACQUISTA
  • Kay, Oliver (2016) Forever Young: The Story of Adrian Doherty, Football’s Lost Genius, Quercus – ACQUISTA

 

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