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Anversa 1920, le Olimpiadi della vergogna

La storia dei campionati mondiali di calcio è cosa nota ad ogni appassionato che si rispetti. È noto che i primi furono un’idea del francese Jules Rimet, figura fondamentale nell’epopea del pallone, e che vennero disputati in Uruguay nell’estate (ma lì era inverno) del 1930, quando l’Estadio Centenario di Montevideo vide quasi 70,000 spettatori presenti alla finale che il 30 luglio laureò l’Uruguay primo vincitore del torneo grazie alla vittoria per 4 a 2 sull’Argentina.

Quello che qualcuno ignora è che la FIFA riconobbe successivamente come “Mondiali di calcio dilettantistici” i tornei disputatisi nelle edizioni delle Olimpiadi del 1924 e del 1928. È questo il motivo per cui l’Uruguay, che ha vinto anche il famoso Mondiale del 1950 giocato in Brasile e passato alla storia per il Maracanaço, sfoggia sulle proprie maglie ben quattro stelle, indicanti ognuna una coppa del mondo conquistata.

Le due ufficiali (1930 e 1950) e le due medaglie d’oro conseguite durante le Olimpiadi di Parigi (1924) e Amsterdam (1928), periodo durante il quale la Celeste era sicuramente la squadra più forte del mondo.

Possiamo considerare quelli del 1924 e del 1928 i primi tornei “mondiali”, ma anche le Olimpiadi appena precedenti ebbero una discreta partecipazione in un gioco che oramai si avviava a diventare il più popolare del pianeta: peccato che questa competizione si concluse con una finale che ancora oggi è considerata una delle pagine più vergognose e controverse di sempre nel nostro amato sport.

La storia del calcio alle Olimpiadi comincia nell’estate del 1900: nella prima edizione dei giochi, Atene 1896, il gioco era infatti popolare solamente in Gran Bretagna, mentre nel resto del mondo ancora stava arrivando grazie ai marinai, agli imprenditori e ai missionari inglesi e scozzesi.

Si trattava di veri e propri pionieri, basti pensare che nell’anno dei primi giochi olimpici il titolo nazionale veniva conquistato in Argentina dal Lomas Academy, una sorta di squadra riserve del più prestigioso Lomas Athletic Club formatasi l’anno precedente e sciolta immediatamente dopo la vittoria del titolo, mentre in Italia un campionato nazionale era ancora solo l’idea di qualche visionario sparso tra la Liguria e il Piemonte.

In Inghilterra invece il football veniva praticato da ormai oltre trent’anni, un considerevole lasso di tempo che aveva fatto si che mentre nella terra dei maestri veri e propri campioni venivano applauditi da folle entusiaste nel resto del mondo venissero considerati come veri e propri eroi personaggi che in patria non avevano neanche mai giocato a livello professionistico, come nel caso dei nostri James Spensley e Herbert Kilpin.

Questo vantaggio, in termini di tempo, sarebbe stato mantenuto anche negli anni successivi: nonostante gli europei prendessero sempre più confidenza con il dare calci a un pallone, ogni qual volta essi si trovavano di fronte a chi il football lo aveva inventato la differenza tecnica e tattica emergeva in modo impressionante, con i britannici che spesso uscivano dal campo dopo aver fatto il bello e il cattivo tempo e pur schierando formazioni zeppe di riserve.

Nella prima apparizione del calcio alle Olimpiadi, nel 1900 a Parigi, questa effettiva differenza tra chi il calcio lo praticava e chi invece stava ancora apprendendone i concetti fu reso evidente dalla conquista della medaglia d’oro da parte dell’Upton Park, compagine dilettantistica che da Londra scese in Francia per rappresentare la Gran Bretagna e che a Londra tornò trionfante dopo aver giocato (e vinto 4 a 0) appena una gara contro i volenterosi francesi del Club Français.

Un tempo squadra capace di fornire addirittura alcuni giocatori alla Nazionale, all’alba del XX° secolo l’Upton Park era stato scelto dalla federazione calcistica inglese quasi per sbaglio (si dice che si confusero, volendo mandare l’Arsenal) e non partecipava ad alcun torneo: possiamo quindi soltanto immaginare il livello che questi calciatori esibirono di fronte ai 500 annoiati spettatori francesi.

Ancora più grottesco fu il torneo calcistico di St. Louis del 1904: qui i britannici non vinsero semplicemente perché non ritennero opportuno mandare una squadra oltreoceano, preferendo lasciare la disputa del torneo ai propri cugini americani e canadesi. Furono proprio questi ultimi, rappresentati dal Galt FC, a imporsi su due squadre yankee, il Cristian Brothers College e il St. Rose Parish, sconfitti rispettivamente con i risultati di 7 a 0 e 4 a 0.

Lontano dall’affermarsi quale sport planetario, il calcio restava affare per pochi, e anche nei Giochi Intermedi di Atene del 1906 il torneo fu poco più che un esibizione giocata da veri e propri dilettanti: quattro selezioni (una di Atene, una di Smirne, una di Salonicco e una di Copenaghen) giocarono appena quattro gare assolutamente dimenticabili, con la vittoria che andò ai danesi, molto probabilmente “i migliori dei peggiori” e capaci di vincere la finale dopo aver giocato solo un tempo.

Gli ateniesi, infatti, frustrati dalle ben 9 (!) reti subite nella prima frazione di gara, preferirono non presentarsi in campo nella ripresa.

Nel 1908 però le Olimpiadi fecero tappa a Londra, e fu dunque naturale che il torneo calcistico venisse preso per la prima volta sul serio. O quasi. Delle otto squadre iscritte, infatti, ne vennero a mancare due quando ancora i giochi dovevano cominciare: l’Ungheria si trovò in difficoltà economiche tali da non potersi permettere una squadra di calcio, e la Boemia semplicemente scomparve dai quadri della FIFA dopo una protesta dell’Austria.

L’Inghilterra, come da pronostico, si impose facilmente sulle avversarie potendo contare sul grande centravanti Vivian Woodward, che trascinò i suoi alla vittoria per 12 a 1 sulla Svezia e quindi alle successive affermazioni in semifinale (contro l’Olanda, regolata per 4 a 0) e in finale, quando i britannici sconfissero facilmente la Danimarca del bomber del torneo, Sophus Nielsen, 11 reti in tre gare di cui 10 segnate nel clamoroso 17 a 1 con cui gli scandinavi avevano sconfitto la Francia “A” in semifinale: i danesi avevano regolato nel turno precedente anche la selezione “B” francese, un netto 9 a 0 con una doppietta di Harald Bohr, futuro eminente matematico.

La stessa finale del 1908 si ripeté quattro anni più tardi, quando gli inglesi bissarono il successo grazie alle reti del bomber/comico/cabarettista Harold Walden a conclusione di un torneo che aveva visto finalmente partecipare il meglio del calcio europeo e che aveva finalmente acquisito d’importanza e notorietà.

Nel 1920, dopo la pausa forzata dovuta alla Grande Guerra, tornarono le Olimpiadi e con esse il torneo calcistico: gli inglesi ignoravano, dall’alto della propria presunta superiorità naturale, che nel resto del mondo il football era diventato cosa seria.

Quando si trovarono di fronte la Norvegia, pensando di dover fare l’ormai consueta sgroppata gloriosa, passarono invece immediatamente in svantaggio, e nonostante il pari trovato grazie al “corintiano” Nicholas – che si distingueva soprattutto nel cricket – furono stesi da una doppietta di Jeja Gundersen e clamorosamente eliminati.

Si incrinava così per la prima volta il dominio dei maestri, che da allora non sarebbero mai più tornati grandi come un tempo nonostante l’indubbia influenza che ancora esercitavano nel resto del calcio europeo e che fu evidenziata dal fatto che sia il Belgio che la Cecoslovacchia, giunte a giocarsi la finale del 31 agosto valida per la medaglia d’oro, erano guidate da tecnici scozzesi.

I padroni di casa avevano fatto fuori durante il loro percorso Spagna (3-1) e Olanda (3-0), mentre i danubiani avevano annichilito la Jugoslavia per 7 a 0 nel turno preliminare prima di superare agevolmente anche i norvegesi giustizieri degli inglesi (4-0) e la Francia con un 4 a 1 maturato nei minuti finali del match.

I cecoslovacchi, alla prima competizione internazionale di sempre, stavano cominciando a mostrare quel talento che li avrebbe poi resi protagonisti del calcio degli anni ’30: ad una linea d’attacco fortissima formata da Vanik, Janda-Očko e Škvajn-Mazal abbinavano infatti il gioco ragionato ed elegante voluto da John “Jake” Madden, in gioventù stella del Celtic Glasgow e poi trasferitosi a Praga per insegnare l’arte del football.

Qui avrebbe vissuto il resto della propria vita, guidando per quasi un trentennio lo Slavia Praga alla conquista di numerosi trofei e segnando indubbiamente la strada che sarebbe stata seguita decine di anni dopo dai vari Masopust, Panenka, Čech e Nedvěd.

Il Belgio rispondeva con una squadra basata in gran parte sul Royale Union Saint-Gilloise e che aveva le sue stelle in Robert Coppée, autore delle tre reti rifilate alla Spagna, e in Louis Van Hege, primo grande bomber del Milan di cui ancora oggi con 97 reti è il decimo miglior marcatore di sempre.

A guidare i padroni di casa era la curiosa figura di Raoul Daufresne de la Chevalerie, un futuro da eroe di guerra e un passato da giocatore-presidente prima nel Cercle Brugge e poi nei grandi rivali di questi ultimi, il Club Brugge: a consigliarlo vi era però l’uomo che lo avrebbe sostituito subito dopo il torneo, lo scozzese William Sturrock Maxwell, che da calciatore era stato un più che prolifico attaccante in Inghilterra vestendo le maglie di Stoke, Millwall e Bristol City.

La gara finale fu assai controversa: decine di poliziotti belgi circondarono il perimetro di gioco, e i cecoslovacchi ebbero più volte a lamentarsi di essere stati presi a male parole dagli uomini in divisa mentre il gioco infuriava. Anche l’arbitro John Lewis, 65 anni, mantenne un atteggiamento smaccatamente favorevole ai padroni di casa, forse condizionato dai 35,000 spettatori che avevano assiepato le tribune dell’Olympisch Stadion di Anversa.

Il vantaggio belga arrivò già nei primissimi minuti di gioco quando Coppée realizzò su un rigore assegnato per un fallo dubbio in area cecoslovacca, mentre il raddoppio giunse intorno alla mezz’ora per opera di Larnoe in più che sospetta posizione di fuorigioco.

Quando al 40′ arrivò l’espulsione di Steiner, i danubiani ne ebbero abbastanza e abbandonarono il terreno di gioco per non farvi più ritorno, decisi a far valere le proprie ragioni in altra sede: al comitato olimpico gli uomini guidati da Madden presentarono un reclamo molto articolato, basato sulla mancata presenza di un guardalinee scelto da loro – come da regolamento dell’epoca – e sulle numerose situazioni arbitrali e ambientali ostili che si erano trovati a dover fronteggiare.

Non soltanto la loro protesta non fu accolta, ma per aver abbandonato il campo la Cecoslovacchia fu squalificata, e così il torneo di consolazione valido per il bronzo divenne valido per l’argento olimpico, con la Spagna del grande Sesúmaga e del grandissimo Pichichi” Rafael Moreno Aranzadi che si impose sull’Olanda.

Quella del Belgio fu vera gloria? Probabilmente no, anche perché se le precedenti edizioni del torneo olimpico non erano state considerate “mondiali dilettantistici” per via della presenza di sole squadre europee questo torneo aveva avuto una sola eccezione, rappresentata dalle comparse dell’Egitto immediatamente eliminato: il grande calcio sudamericano restava fuori, e quando sarebbe arrivato – dalla successiva edizione – avrebbe dominato in modo inequivocabile.

Detto che anche i sospetti cechi di arbitraggio favorevole furono più che legittimi, con Lewis che già in semifinale aveva concesso un rigore a dir poco generoso ai padroni di casa, la bontà della scuola belga fu subito ridimensionata quando, quattro anni, dopo i campioni olimpici in carica furono subito seccamente eliminati da una Svezia capace di imporsi addirittura per 8-1.

Ecco quindi che alla luce di tutto è comprensibile che il Belgio non intenda vantarsi troppo di un titolo che forse non ha mai davvero sentito suo e attenda di poter alzare un alloro internazionale conquistato con le sole proprie forze: ai “diavoli rossi” di oggi, dunque, spetta il compito di cancellare la memoria di un torneo davvero controverso ma che ebbe l’indubbio merito di mostrare al mondo che il calcio aveva finito di essere il passatempo degli inglesi ed era anzi diventato una cosa tremendamente seria.

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