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Blackburn Olympic, gli operai che fecero l’impresa

Sono numerosi gli episodi che qualsiasi appassionato potrebbe indicare come decisivi nella storia del calcio. È infatti attraverso una numerosa serie di evoluzioni che il football degli albori, praticato da un gruppo di nobili nostalgici del gioco praticato a scuola, è diventato quello che oggi tutti conosciamo. Un punto cruciale deve tuttavia essere indicato, e a parere di chi scrive nessuno può essere più importante della FA Cup vinta dal Blackburn Olympic nell’edizione 1882/1883.

La genesi del professionismo

La squadra capace di cambiare per sempre il calcio era nata appena 6 anni prima per merito dell’imprenditore siderurgico Sidney Yates, che grazie alle ingenti entrate che gli garantiva la sua acciaieria combinò tra loro due modesti club di Blackburn, Black Star e James Street. Il nome Olympic fu aggiunto in omaggio all’antica città di Olimpia, le cui rovine erano stateo scoperte appena pochi anni prima (nel 1866) e che tanto affascinava gli appassionati di sport.

Nel 1877, anno in cui sorse il Blackburn Olympic, la FA Cup aveva messo a referto già 6 edizioni. Ma anche se molto era cambiato rispetto alla prima storica edizione della Coppa d’Inghilterra, questo prestigioso trofeo era ancora molto lontano dai pensieri della gente comune e restava ancora più un affare per nobili e studenti londinesi.

Nessuno poteva sperare di sconfiggere gli Old Boys che dominavano il gioco. Molti club operai si accontentavano di disputare i primi turni e per il resto della stagione sopravvivevano grazie alle entrate garantite da amichevoli e tornei cittadini. Questa fu la strada scelta inizialmente anche dal Blackburn Olympic, subito coinvolto nelle varie competizioni organizzate in città.

Sin da subito fu chiaro che i più grandi rivali dell’Olympic sarebbero stati i Blackburn Rovers, che molti consideravano la squadra più forte in città ma ancora inevitabilmente distante dal livello raggiunto dalle allora più rinomato squadre di Londra e dintorni.

Blackburn Olympic, la squadra del popolo

Al contrario di quanto sarebbe accaduto poi in Italia, infatti, in Inghilterra il football nacque al sud e impiegò molti anni prima di attecchire anche nelle città del nord come Blackburn, dal clima più rigido e dai ritmi industriali. Quando però prese finalmente piede la passione e le ambizioni di queste città cambiò il gioco per sempre.

Anche se il professionismo era ancora vietato, nessuno vietava a uomini come Sidney Yates di assumere operai particolarmente bravi nel calciare un pallone. Né di dar loro buoni stipendi o turni poco faticosi. Presto i giocatori più talentuosi in città confluirono nell’Olympic, tutti impiegati in acciaieria o in aziende gestite da persone che il presidente del club conosceva molto bene.

Naturalmente il dominio cittadino e regionale era l’obiettivo principale per tutti i club del Lancashire. Ma presto, ispirati anche dalle imprese del vicino Darwen, anche a Blackburn i calciatori cominciarono a sognare di poter sconfiggere i nobili londinesi per alzare al cielo la coppa che veniva assegnata alla miglior squadra d’Inghilterra.

Gli esordi in Coppa

L’esordio dell’Olympic nel più importante torneo nazionale avvenne nella 10ª edizione della FA Cup, esattamente il 30 ottobre del 1880. Freschi esordienti, gli ambiziosi uomini di Yates si trovarono di fronte al 1° turno la squadra più antica al mondo, lo Sheffield Football Club. Nonostante la differenza di esperienza, quest’ultimo si impose solo a fatica con un pirotecnico 5-4.

L’Olympic non si perse minimamente d’animo: sempre con l’obiettivo di diventare la migliore squadra almeno della città, iniziò una guerra senza esclusione di colpi con i Rovers in quello che potremmo definire una specie di calciomercato e allo stesso tempo allargò i propri orizzonti. Questo avvenne dopo l’ingaggio da parte di Yates del rinomato Jack Hunter, in gioventù convocato addirittura nell’Inghilterra.

Sostenitore del business nel football, tra i promotori del curioso progetto degli Sheffield Zulus – tra le prime squadre ad anticipare il professionismo – Hunter si era trasferito in città pare proprio su richiesta di Yates quando sembrava ormai sul punto di appendere gli scarpini al chiodo. Vero e proprio player-manager, organizzò numerose amichevoli con club del sud della Scozia.

L’obiettivo era duplice: visionare i migliori talenti scozzesi e comprendere lo stile di gioco, più corale e tecnico rispetto a quello inglese, utilizzato da una Scozia che ai tempi dominava le sfide internazionali con quelli che si definivano ancora, forse impropriamente, “Maestri del Football”.

Un nuovo modo di giocare

Proprio in seguito alle cocenti sconfitte rimediate in Nazionale Hunter, centromediano per vocazione e capacità di leadership, si era convinto che il passing game scozzese si sarebbe prima o poi imposto sul kick and rush britannico, se già non lo aveva fatto. E che dunque non c’era tempo da perdere.

Restavano da convincere i compagni e soprattutto il resto d’Inghilterra, che restava ancorato al gioco primordiale e considerava davvero poco onorevole per un giocatore il passare la palla a un compagno. Un esecrabile atto di codardia, non degno di un vero uomo.

Oltre che sulla cocciutaggine tipicamente inglese sul mantenimento delle tradizioni questo modo di pensare si basava anche, va detto, su solide fondamenta, almeno in patria. Dal 1871, ad eccezione se vogliamo della vittoria del 1875 dei Royal Engineers, la FA Cup era sempre andata a squadre di Londra e dintorni, che mettevano in mostra questo stile di gioco fiero e furioso, poco ragionato ma evidentemente ancora efficace.

Rivoluzione operaia

Tutte le volte la coppa era finita in mano a club rappresentanti college e  università, i luoghi cioè dove il football era nato e dove essi ritenevano dovesse rimanere. Eppure la storia stava per cambiare, e sarebbe successo proprio a Blackburn.

Nell’edizione 1881/1882 l’Olympic, presentatosi con le migliori intenzioni, fu eliminato ancora una volta al primo turno dal Darwen, ma i concittadini dei Rovers riuscirono partita dopo partita ad arrivare fino in finale, infiammando la città grazie a vittorie arrivate con risultati altisonanti e a una difesa di ferro che fece credere a molti che il dominio del sud stesse per concludersi.

La delusione, quando nell’atto conclusivo del torneo furono sconfitti per 1-0 dai ricchi e snob Old Etonians, fu enorme: passati in svantaggio dopo un primo tempo giocato “sulle gambe” per la troppa emozione, i Rovers furono incapaci di rovesciare il risultato nonostante una seconda frazione di gioco condotta all’arrembaggio. L’onore del football old school era salvo, dunque. Ma per quanto ancora?

La storia che cambia

Ai nastri di partenza della FA Cup 1882/1883 si presentarono ben 84 squadre, un’enormità rispetto alle 15 che avevano partecipato alla prima edizione poco più di un decennio prima: tra queste il Blackburn Olympic, che non godeva certamente dei favori del pronostico ma che invece aveva lavorato duro sul proprio “combination game“, spinto dal capitano e allenatore Jack Hunter.

Dopo aver eliminato con un bel 6-3 l’Accrington al primo turno, l’Olympic distrusse 8-1 il Lower Darwen nel secondo: questi erano i cugini del Darwen che li aveva eliminati l’anno precedente, e che al secondo turno aveva invece a sorpresa estromesso dalla coppa i Blackburn Rovers, lasciando quindi l’Olympic come unica compagine cittadina in gara. Come nell’edizione precedente, ma a maglie invertite, a Blackburn non restava che un club da sostenere.

Ma mentre l’anno precedente in città c’era fiducia nei Rovers, in questa occasione erano in pochi a pensare che l’Olympic – nonostante le due rotonde vittorie nei primi turni – avrebbe fatto strada per davvero. Anche il terzo turno si risolse in una goleada per gli uomini di Hunter, che schiantarono i Darwen Ramblers con un sonoro 8-0 per poi ripetersi anche contro il Church nel round successivo, superato con un più modesto 2-0.

Tra successi e innovazioni

Fu dopo i quarti di finale che Blackburn cominciò a pensare che, in fondo, valeva la pena credere nella piccola squadra operaia nata appena cinque anni prima. L’Olympic infatti superò in scioltezza i gallesi del Ruabon Druids, compagine che poteva vantare nelle proprie fila diversi componenti della nazionale del Galles. Oltre 8,000 spettatori videro invece i giovani in maglia celeste trionfare per 4-1 grazie a tre reti arrivate nel secondo tempo.

Nonostante la rotonda vittoria per l’opinione pubblica il Blackburn Olympic restava ancora la squadra sfavorita quando in finale si trovò a fronteggiare gli Old Carthusians. Gli osservatori, gli esperti, erano rimasti più impressionati negativamente dalla scarsa forma mostrata dai Druids e dalle origini working class degli uomini guidati da Hunter e capitanati dal fiero difensore Albert Warburton.

Non avevano notato le numerose innovazioni portate da questa squadra. Come ad esempio il fatto che, per ovviare alla minore massa muscolare derivante da una dieta povera come quella degli operai di Blackburn, Hunter aveva puntato a sviluppare maggiormente velocità e fiato.

O il fatto che in un’epoca in cui la maggior parte delle squadre giocava con una sorta di 2-2-6, gli Olympic avessero scalato un uomo dall’attacco al centrocampo per favorire il proprio passing game, sdoganando – primo club di alto livello a farlo – il 2-3-5 che sarebbe passato alla storia come Piramide di Cambridge.

La caduta degli Dei

L’ultima innovazione arrivò poco prima della semifinale, quando Hunter portò tutti i compagni a Blackpool in una specie di ritiro in cui furono banditi alcolici e cibi grassi. In permesso dal lavoro, impegnati a correre sulla spiaggia e a mangiare sano, i giocatori dell’Olympic si trasformarono. Il player-manager possedeva un pub, e qui i giocatori trascorsero il tempo mangiando ostriche e cementando la loro unione.

Il risultato di questa sorta di “ritiro”, esperienza mai tentata prima da nessuno, fu sotto gli occhi di tutti quando il 17 marzo del 1883, nel campo neutro di Manchester, il Blackburn Olympic sconfisse con un secco 4-0 gli Old Carthusians che appena due anni prima avevano vinto la competizione. I plebei avevano sconfitto i patrizi, gli operai avevano avuto la meglio sugli old boys delle scuole. Il football era pronto per un cambiamento.

Working Class Heroes

Ancora però c’era chi non voleva capirlo. Per molti gli operai di Blackburn avevano avuto soltanto molta fortuna, sorprendendo i real footballers e approfittando di momenti di scarsa forma degli avversari: sarebbe finita come con i Rovers l’anno prima, il sogno si sarebbe spezzato in finale, anche perché ad attenderli vi era la stessa compagine che l’anno prima aveva trionfato contro i cugini, e cioè gli Old Etonians.

Dei tanti college in cui aveva avuto origine il football, infatti, molti ritenevano che quello di Eton fosse stato il più influente, quello più vicino nelle proprie regole (il cosiddetto “Field Game“) a quelle attuali: dal 1875 questa era la sesta finale di FA Cup che gli Old Etonians disputavano su sette edizioni, e avevano fornito nel frattempo numerosi giocatori alla Nazionale.

Le loro stelle erano tutti nobili di buon lignaggio, ex studenti modello divenuti uomini di successo quali Lord Arthur Kinnaird, uno dei padri del football e futuro presidente della FA, il futuro giudice di pace Percy de Paravicini e il professore-goleador Harry Goodhart.

La gara si svolse come da tradizione al Kennington Oval di Londra, al sud, e degli 8,000 tifosi presenti la maggior parte esponeva bandiere e stemmi dedicati agli Old Boys di Eton. Non vi fu alcuna sorpresa quando, approfittando dell’emozione degli avversari, esattamente come un anno prima avvenuto contro i Rovers, gli Old Etonians si portarono in vantaggio proprio con Goodhart.

The Hole-in-the-wall gang

Mano a mano che passavano i minuti, però, la forma fisica allenata nei lunghi ritiri dagli operai di Blackburn venne fuori, e contemporaneamente al calo di “figli di papà” fece si che l’inerzia della gara mutasse. Arthur Matthews pareggiò nelle prime battute del secondo tempo, e Thomas Hacking tra i pali dimostrò che agilità e rapidità potevano essere importanti per un portiere tanto quanto la stazza fisica di cui era sprovvisto, sventando diverse occasioni da rete che gli Old Etonians riuscirono a procurarsi.

Terminati i tempi regolamentari si andò ai supplementari per volere di entrambe le squadre, che rifiutarono il replay del match: Kinnaird, de Paravicini e compagni infatti erano furenti per l’insolenza con cui i proletari si ribellavano al proprio destino di vittime sacrificali, mentre gli operai dell’Olympic erano pressoché certi di spuntarla mano a mano che i minuti passavano. Ed ebbero ragione, visto che il giovane tessitore Jimmy Costley siglò la rete della vittoria approfittando della stanchezza degli avversari. 2-1.

La coppa per la prima volta finiva al nord, a Blackburn. Nella bacheca dell’Olympic, i cui giocatori divennero noti come la Hole-in-the-wall gang, soprannome dato dal campo in cui giocavano, che sorgeva nei pressi di un pub dove un tempo le bevute venivano letteralmente passate agli avventori attraverso un buco nel muro.

L’egemonia dei “ragazzi delle scuole” poteva dirsi conclusa, e infatti mai più alcun club di quel tipo sarebbe riuscito a vincere il trofeo. Il calcio era davvero cambiato, e nonostante gli improperi dell’alta società – che accusò l’Olympic di poca sportività, in quanto si era allenato appositamente per la gara (!!!) – a Blackburn i nuovi campioni d’Inghilterra furono accolti come eroi, con la banda cittadina che suonava e capitan Warburton. Il quale affermò che la coppa in città era la benvenuta, e mai sarebbe tornata a Londra.

Ultimi calci Olympics

Anche se il professionismo doveva ancora ufficialmente arrivare, era chiaro che i soldi contavano anche nel calcio di allora: molti club capirono che quanto avevano realizzato degli operai di Blackburn era ripetibile, e fu così che nel giro di pochi anni il club, perso il vantaggio economico sugli avversari e poi entrato in crisi economica, perse un pezzo dopo l’altro.

Il primo ad andarsene, per vestire proprio la maglia dei rivali Rovers, fu il portiere Hacking, seguito poi anno dopo anno da altri eroi di quella splendida impresa. Quelli che erano rimborsi gonfiati divennero stipendi, e il prezzo da pagare per restare nell’élite divenne immediatamente troppo alto.

La crisi economica che colpiva tutto il nord spinse Sidney Yates a non sostenere più gli alti costi di gestione della squadra. Con la mancanza di vittorie venne presto a mancare anche l’affetto del pubblico cittadino, che si orientò quasi esclusivamente a favore dei Blackburn Rovers capaci di vincere le successive tre edizioni della FA Cup.

Quando nacque la Football League, primo campionato di calcio mai esistito e pensato per dare sostenibilità alle squadre che ne facevano parte, fu stabilito che soltanto una squadra avrebbe potuto rappresentare la città. Non c’era gara con i Rovers, che avevano vinto più volte la coppa nazionale e avevano basi economiche solidissime.

Eredità immortale

Il Blackburn Olympic tentò di sopravvivere unendosi al The Combination, un campionato composto dalle compagini escluse dalla Football League che però ebbe scarso successo e durò appena mezza stagione, quindi nel 1889 chiuse i battenti per sempre, consegnandosi alla storia e alla leggenda.

Quello che rimane, di una squadra vissuta poco più di un decennio, è moltissimo: il Blackburn Olympic rivoluzionò il calcio dalle fondamenta, estromettendo i vecchi gentlemen e portando nel football la corsa, la resistenza fisica, l’allenamento, i ritiri e il gioco di squadra.

Durò un attimo, ma fu un attimo stupendo, quello di un gruppo di operai che giocavano come un solo uomo e che cambiarono la storia della disciplina per sempre, strappando il football dall’elite che fino a quel momento lo aveva praticato e donandolo al popolo. Al quale, da allora, appartiene.


SITOGRAFIA:

BIBLIOGRAFIA:

  • Phythian, Graham (2007) Shooting Stars: The Brief and Glorious History of Blackburn Olympic 1878–1889, Tony Brown
  • Sanders, Richard (2010) Beastly Fury – The Strange Birth of British Football, Bantam Books
  • Brown, Paul (2012) The Victorian Football Miscellany, SuperElastic
  • Cola, Simone (2016) Pionieri del Football: storie di calcio vittoriano 1863-1889, Urbone Publishing
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