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Tutto calcio che Cola #05 – L’importanza di un applauso

Pur non considerandomi un fenomeno in nessun campo della vita, posso senz’altro riconoscermi pochi difetti umanamente parlando: uno di questi, forse il più marcato, è una certa ingenuità.

Quella che mi porta a tentare il confronto sempre e comunque, parlando logicamente e cercando di capire le motivazioni di chi la logica non sa dove stia di casa e il cui unico motivo, in fondo, è dire e fare quel che vuole senza giustificarsi in alcun modo.

Forse è per questo che a volte mi cadono le braccia quando parlo di calcio sui social network, male necessario per chi cerca di far conoscere la propria passione legata al football e non ha altro mezzo per farlo che tentare di coinvolgere persone con una Pagina che porta poi ad un sito di pensieri e pallone: non passa giorno, non esiste articolo, di qualunque squadra o calciatore/allenatore/dirigente parli, che non mostri commenti inqualificabili e assolutamente non obbiettivi da parte di chi considera quella squadra o personaggio un nemico, qualcosa da odiare. 

A dire la verità questa riflessione è nata in me dopo una discussione su tutt’altre faccende: sono “l’uomo nel pallone”, ma rimango una persona con molti altri interessi e passioni, e una di queste sono certi cartoni animati giapponesi.

Qualche giorno fa, scorrendo i commenti riguardanti il celebre “Death Note”, tra i vari commenti che lo esaltavano ho avuto da ridire con uno che definiva in parole povere questo anime “una cosa mediocre che può piacere solo a chi non se ne intende” (riassunto buonista) e al mio contestare questo modo di sentenziare (“forse hai dimenticato ‘secondo me’?”) mi veniva risposto che si, forse è vero, ma il “secondo me” mancava anche nei commenti che lo esaltavano come il nuovo capolavoro dell’animazione contemporanea.

Verissimo, ci ho messo un po’ a elaborare perché in effetti mi avesse dato fastidio il suo commento negativo e non gli altri di esaltazione – detto che apprezzo “Death Note” ma non lo considero certo incriticabile – ma alla fine sono giunto ad una conclusione in verità molto semplice: perché amare qualcosa, anche in modo un po’ folle ed esagerato se vogliamo, lo trovo senz’altro più accettabile fare il contrario. E cioè disprezzare, vagare di pagina in pagina alla ricerca di qualcosa da smontare, sminuire, offendere.

Fine della digressione giappa, tranquilli 🙂

Il punto è che nel calcio questa cosa succede con una puntualità disarmante. La Juventus conquista il quinto Scudetto consecutivo con una clamorosa dimostrazione di forza? Chi ha sognato che toccasse alla sua squadra dirà che “si vabbeh, con questo campionato così mediocre che ci vuole?”, ragionamento che naturalmente non avrebbe fatto in caso contrario.

Higuaín infrange un record che durava da quasi settant’anni? Certo, però “con queste difese qui”, e poi alla fine “tieniti il record Pipita, che lo Scudetto ti fa ciao ciao”. Mi domando: ma è così difficile riconoscere la grandezza anche negli altri oltre che nella propria realtà ristretta? Perché?

E si badi bene che non è questione di sfottò, di bonarie prese in giro, non sono laureato ma ho quel minimo di cultura che mi permette di riconoscere la differenza. Quello di cui parlo è provocazione, è disprezzo, è il non essere capaci di riconoscere che nell’universo esiste qualcosa di diverso da noi, la nostra squadra, la nostra idea. Cercando di parlare di questo al riguardo di Higuaín ecco cosa mi sono sentito rispondere.

Capirete bene che qui il confine tra “mia opinione personale” e “minchiata cosmica” è stato abbondantemente superato – da gente che ha come foto per il profilo un gatto, giusto per smentire Papa Francesco. La discussione è continuata con ragionamenti assurdi del tipo che “contano i trofei vinti”, e al mio chiedere se Batistuta fosse per questo da considerarsi peggiore di Karembeu o Guivarc’h, per fare due esempi, la risposta era sempre la stessa, che posso riassumere io per venire incontro alle scarse capacità di elaborazione di chi me la poneva: “ci sarà pure un motivo per cui TizioCaio non ha vinto niente e Sempronio si”.

Il motivo infatti c’è, ma ad una mente semplice ho la sensazione che possa sfuggire: perché al calcio giocano in tanti e vincono in pochi. E non sempre i migliori. Ed è questo il bello. Attenzione però: questo non è un post anti-juventino, come del resto non lo sono io stesso. Sono cresciuto negli anni in cui la Juve, stranamente, vinceva poco e nulla.

Troppo piccolo per ricordarmi di Platini, la prima Juventus che ricordo è quella di Zavarov e Rui Barros, di Maifredi. Erano gli anni in cui vincevano l’Inter di Trapattoni e il Milan di Sacchi, fossi stato una persona incline all’odio ci sarebbe stato dunque ben altro da odiare. Tuttavia se in una discussione non la penso in un certo modo vengo subito etichettato, e con un po’ di orgoglio posso vantarmi di essere stato chiamato “juventino”, “interista”, “napoletano” (?) solo nello spazio di questo campionato, il che la dice lunga sullo spessore culturale delle persone con cui mi è capitato di discutere.

Il punto è che, semplicemente, l’odio in questo mondo non dovrebbe avere ragione di esistere. Una sana rivalità si, lo sfottò, la presa in giro, si. Si può scherzare su Buffon – sempre riconoscendone oggettivamente il valore come portiere – ma non si può calcisticamente odiarlo, né si può tirare in ballo robe tipo l’Heysel o Superga.

Tragedie che colpirono una nazione, un popolo, in anni in cui forse anche grazie all’assenza dei social network l’opinione di certi fenomeni da bar restava appunto confinata al bar, e anche lì spesso sopita da persone di buona volontà abili anche a dare un paio di ceffoni a chi insisteva con l’ignoranza.

Perché l’opinione personale dev’essere scevra da simpatie o antipatie personali o di maglia e non sempre ha valore: lo ha se è supportata dai fatti, se è spiegata, articolata, se è soprattutto oggettiva. Un mio caro amico tifa Roma, per lui ogni singolo fallo che la Roma commette in ogni singola partita non c’è, è un’invenzione: sarebbe forse il caso di chiedergli una lucida analisi sul campionato appena concluso?

Non tutti ci devono piacere, per carità. Ma se Roberto Mancini annuncia che resterà all’Inter perché io, non tifoso nerazzurro, devo commentare dando libero sfogo alla mia frustrazione con pensieri poco articolati tipo “tanto non vincete mai niente, prescrittese”? Perché non posso semplicemente criticarne le scelte spiegando nel dettaglio cosa sbaglia senza dimenticare il sacrosanto “secondo me”?

Perché a chi tifa Fiorentina, Bologna, Torino devo sottolineare che “la vostra bacheca è vuota” come se fosse una novità o lasciando intendere che per questo motivo certi club non dovrebbero esistere? Perché devo sminuire cinque Scudetti consecutivi parlando di campionato povero, perché prendere in giro un Napoli che si è fatto superare dalla Juve ma ha lasciato dietro se tutte le altre?

Perché sminuire un record di gol che resterà probabilmente per sempre, che farà storia, che ad altre latitudini è stato giustamente celebrato e basta? Ripeto, io sono sicuramente ingenuo, ma mai capisco e mai capirò la provocazione gratuita, l’offesa trovata come divertimento, il gusto di sminuire qualcun altro contento per una qualsivoglia cosa.

Si può dire che la Juventus ha vinto uno Scudetto meritatamente, compiendo una grande rimonta e raggiungendo un record (5 titoli consecutivi) che certo non succede per caso? Si può farlo ammettendo anche che il Napoli di Sarri ha fatto un signor campionato e che Higuaín è un bomber di razza?

Io credo di si, così come penso che si possa riconoscere che Mancini è comunque un allenatore con difetti ma anche pregi – altrimenti perché è lì? – e che il problema del Milan non risiede soltanto nella qualità dei calciatori. Si può festeggiare l’impresa del Leicester, ma per quale diavolo di motivo bisogna sentirsi profeti e già pregustare quando torneranno nell’anonimato, con quella rabbia del mediocre che reputando mediocri gli altri non gli riconosce il diritto a una gioia.

Penso che si possa dire e fare tutto questo e che non ci siano contraddizioni, perché in fin dei conti parliamo di uomini, sportivi, persone dalle capacità non comuni che praticano lo sport che comunque tutti amiamo. Cambia solo il colore delle maglie, a volte, ed è molto meno importante di quel che si crede.

Così come il nostro cuore palpita per una bandiera per qualcun altro, altrettanto sinceramente, batte per un’altra bandiera, per altri beniamini e altre imprese. Social media, giornalisti e spesso (ahimè!) addetti ai lavori non aiutano, fomentando spesso gli animi di chi nel calcio cerca un riscatto che non avrà mai, perché in fin dei conti possiamo amarlo quanto vogliamo questo benedetto sport, ma non siamo noi a scendere in campo e le coppe non ci pagheranno il mutuo.

Non c’è nessun merito nel tifare una squadra vincente rispetto a una che non vince, è semplicemente una scelta di cuore, che merita rispetto in ogni caso.

Umberto Malvano fu uno dei primi calciatori della Juventus: ala sinistra di spessore, approfittando del fatto che svolgesse servizio di leva a Pavia il Milan, in anni a dir poco pionieristici, lo avvicinò e lo convinse a vestire il rossonero, con cui poco più che ventenne conquistò il primo Scudetto di sempre.

L’anno successivo, accolto con minacce e offese personali nel momento di incrociare nuovamente la Juventus, fu quasi costretto ad uscire dal campo in lacrime tante erano le ingiurie che il suo “tradimento” gli aveva portato. Il Duca degli Abruzzi Luigi Amedeo di Savoia, figura fondamentale nel calcio nostrano e che aveva assistito all’evento, maturò un definitivo allontanamento dal foot-ball, disgustato dalla piega poco signorile che aveva preso: “arrivare a intimidire un calciatore avversario, dal suo punto di vista, era una bassezza degna della peggior feccia”, come racconta Enrico Brizzi nel suo “Il meraviglioso giuoco”, libro che peraltro mi sento vivamente di consigliarvi.

Considerato un “nemico della Juve” Malvano fu il principale promotore, divenuto dirigene FIGC, dell’allargamento del massimo campionato che di fatto evitò alla Juventus una clamorosa retrocessione pochi anni dopo, quando improvvisamente e inspiegabilmente divenne per tutti, dunque, “l’amichetto della Juve”.

Nessuno pensò alla soluzione più semplice, ossia che si trattasse di un uomo con idee proprie e non legate a squadre o “palazzi”, un appassionato che semplicemente faceva quello che riteneva giusto. Quando l’altro giorno ho citato questo episodio risalente addirittura al 1905, tra i tanti commenti di chi non capiva e chi reclamava “la libertà di uno sfottò”, un caro amico mi ha detto che no, è essere sportivi, ma nella società in cui viviamo questa cosa ormai viene vista come una debolezza.

Beh, grazie Demetrio, io e te su mille cose non ci troviamo d’accordo ma troviamo sempre il modo di discuterne civilmente e rispettando l’opinione altrui senza sentirsi la verità in tasca, e il fatto che plauda a una cosa che dovrebbe essere normale routine la dice lunga su come siamo messi in questo Paese. Essere sportivi e rispettosi è una debolezza?

Ebbene dobbiamo essere forti. Perché il calcio non è una guerra, è un gioco bellissimo dove esistono tanti eroi, tante gioie, dove ogni squadra ha diritto di essere e che in fin dei conti è uguale ad ogni latitudine, dentro ogni cuore. Cambiano soltanto le bandiere, e per me questo è molto meno importante di quello che in troppi ormai vogliono farci credere.

Il tifoso della Juventus segue la partita con la stessa passione, la stessa palpitazione, di quello dell’Inter, del Milan, del Trapani. Credo veramente, forse ingenuamente, che sia questo il punto fondamentale: non scordiamoci di essere umani prima che tifosi, non dimentichiamo l’importanza di un applauso.

Non costa niente, ma tanti applausi possono forse elevare questo mondo e riportarlo ai tempi in cui era una fiera sfida sportiva e poco più, che si concludeva con una squadra che vinceva e con l’altra che comunque aveva fatto del suo meglio: se non ci fosse chi perde, in fondo, non ci sarebbe neanche chi vince. Ragionamento basilare, ma evidentemente non per tutti.

Chiedo scusa per questa lunga – e senz’altro molto personale – riflessione, ma veramente dopo mesi di veleni sentivo il bisogno di ribadire qual è il calcio che amo. Quello che sempre troverete su questo modestissimo sito.

Alla prossima!

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