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La recensione di Goal! – La Trilogia

Quando ero piccolo pensavo che, se c’era un genere che avrebbe reso bene al cinema, questo era il calcio: del resto questo è lo sport più popolare al mondo, narra di sudore, di virtuosismi, di gioco di squadre. Appunto storie di uomini e di calcio, con tutti i possibili risvolti.

Eppure raramente ho visto un bel film di calcio. Crescendo (sono del 1979) vedevo crescere intorno a me la tecnologia, e la fiducia continuava ad esserci. “Vedrai che ora, con le tecniche di adesso, faranno…” e niente, siamo rimasti più o meno al punto che non esiste un film di calcio universalmente bello. E lo dico a ragion veduta eh, visto che me li sono praticamente sciroppati tutti!

Ecco Cinema nel Pallone!

E’ per questo motivo che nasce la rubrica “Cinema nel Pallone”, nella quale raccoglierò tutte le mie recensioni sui film di calcio visti in questi anni. Cercando di raccontarvene la trama, i fatti storici a cui si ispirano – se presenti – e spiegarvi perché guardarli. O perché evitarli.

Naturalmente sono un grande appassionato di calcio ma, è bene premetterlo, non sono un esperto di cinema e parlerò a titolo personale, per cui se vi andrà di fidarvi bene…se no potrete benissimo dirmi la vostra in merito nei commenti. Cominciamo?

Ispirandomi ad Alan Shearer (l’accostamento non è casuale) voglio esordire con una tripletta, e quindi in questo lungo articolo vi parlerò della trilogia di “Goal!”, il cui primo film uscì tra squilli di tromba, il secondo nel silenzio generale e il terzo…beh, voi sapevate che ne esisteva un terzo???

GOAL! (2005)

Peccato, perché l’idea di per se non era nemmeno brutta, seppur estremamente classica: raccontare la storia di un giovane calciatore dagli esordi alla gloria. E nel primo film vedi il regista e (bene o male) ti senti tranquillo.

È vero che Danny Cannon ha girato quella perla di bruttezza che fu “Dredd – La legge sono io” con Stallone ed il dimenticabile horror “So cos’hai fatto”, ma del resto non ci aspettavamo mica Scorsese, giusto? Si parla comunque di un regista di mestiere, che ha fatto diversi episodi di C.S.I., per cui si va tranquilli.

Ed in effetti il primo film, pur se imbottito di stereotipi come lo era Ben Johnson di steroidi, regge. Si parla del giovane Santiago Muñez (interpretato da Kuno Becker, e non perdete tempo a cercarlo su Wikipedia che ve lo dico io, di notevole ha avuto in carriera solo questo ruolo) che da piccolo emigra clandestinamente con la famiglia negli Stati Uniti dal confine messicano.

Un film con qualche stereotipo

Cresciuto, vive di lavori incredibilmente umili (stereotipo #1) come pulire le piscine dei ricchi, e si distrae giocando da stella indiscussa in una piccola squadra di Los Angeles (stereotipo #2): il ragazzo è forte, sogna la vita milionaria dei calciatori professionisti e viene così notato da un procuratore dal cuore d’oro (stereotipo #3) che riesce a convincere la squadra inglese del Newcastle a fargli un provino.

NOTA BENE: Glenn, il procuratore dal cuore d’oro, è interpretato da Stephen Dillane, noto oggi come Stannis Baratheon ne “Il Trono di Spade”. E se vi pare poco…

L’impatto di un giovane sudamericano con l’Inghilterra e con il calcio inglese non è per niente facile: piove sempre (stereotipo #4) e la gente è fredda e chiusa se non addirittura ostile (stereotipo #5), inoltre poco prima della partita-provino in cui Santiago deve far vedere quel che sa fare commette l’errore di farsi sgamare dal duro della squadra mentre utilizza il suo inalatore per l’asma.

Il duro, frustrato da una carriera in evidente fase discendente (è infatti nella Squadra Riserve) gli distrugge il suddetto inalatore, e così Santiago gioca malissimo.

Bocciato?

Meet Gavin Harris

No, perché il buon procuratore scopre l’arcano e parla con la dirigenza: l’asma può essere curata, e quando questo accade il giovane messicano ha una nuova partita-provino, che supera alla grande guadagnandosi ovviamente (stereotipo #6) il rispetto dei compagni, primo tra tutti il duro che aveva cercato di stroncargli la carriera sul nascere “perché si”.

Nel frattempo anche la vita di Santiago va avanti, parallelamente alla carriera: conosce e si innamora di un infermiera della squadra, la bella Roz (stereotipo #7) che disprezza i calciatori ma che per lui ovviamente finirà per fare un eccezione (stereotipo #8) e diventa amico della stella del Newcastle.

CHE NO, non è Alan Shearer (anche se appare a tratti nel film) bensì Gavin Harris (l’italo-americano Alessandro Nivola, anche per lui una carriera più o meno sottotraccia) che manco a dirlo è il classico stereotipo (#9) del calciatore inglese: grande talento disperso tra alcol, donne e una generale sregolatezza.

Una storia a dir poco scontata ma…

Ma in fondo è un bravissimo ragazzo (stereotipo #10!) che aiuta Santiago a inserirsi in squadra, dove piano piano scala le gerarchie e finisce per essere titolare nella volata finale. Sarà (ma va?) proprio Santiago (a pochi istanti dalla fine, come se si fosse in “Holly & Benji”) a segnare il gol che vale la vittoria per 3-2 sul Liverpool all’ultima giornata e la storica qualificazione alla UEFA Champions League per il suo Newcastle.

È nata una stella?

La recensione di Goal

Va detto subito che il film non può essere definito insufficiente. Anzi: quasi due ore che scorrono via piuttosto bene, con poche scene “di campo” ma molte dietro le quinte (allenamenti, vita privata) anche discrete. Registicamente non siamo di fronte ad un capolavoro ma insomma, c’è del mestiere, lo si vede nella resa dell’Inghilterra (pur con tutti i suoi stereotipi) e del calcio inglese.

Munez è discretamente interpretato, niente di trascendentale ovviamente ma tutto sommato ci si può stare considerato il tipo di film, e se uno si sforza di chiudere un occhio e mezzo di fronte appunto agli stereotipi e ad una scontatissima trama che sai già come finirà dopo 10 minuti di visione può risultare un film tutto sommato godibile.

Purtroppo però, come le partite durano 90 minuti, anche le trilogie durano tre film, e qui siamo solo alla fine del primo…

Disclaimer #1

Ok ragazzi, se finora avete retto vi chiedo di andare avanti, perché ora si che cominciamo a divertirci: in più vi chiedo (se la recensione vi sarà piaciuta) di condividerla quanto più possibile sui vari mezzi social che utilizzate.

Non lo chiedo per l’effimera gloria di qualche visualizzazione in più, credetemi: lo chiedo perché quel che ho visto poi è stato qualcosa così talmente privo di logica che il sentimento è stato paragonabile a quello di un attivista di WikiLeaks quando scopre qualche porcata governativa: “tutto il mondo deve sapere!”

Veramente, erano le 06:15 quando ho incominciato a scrivere, e sono andato a letto alle 03:00. Ho dormito male. Fatelo per questo…


GOAL 2 – VIVERE UN SOGNO (2007)

Probabilmente la gente ha calcio tutti i giorni e da tutti i media, ed è per questo che non gliene può fregare di meno di un film sul calcio: non sono informato sui risultati al botteghino del primo film (che abbiamo visto essere comunque discreto, nonostante tutto) ma evidentemente non sono stati così rosei.

Forse si spiega così il passaggio alla regia dal “senza guizzi ma decente” Cannon al catalano semi-esordiente (che poi tale è rimasto) Jaume Collet-Serra. Anche se, intendiamoci, il male prende questo film piano piano, non riesci quasi ad accorgertene fino al finale, che ti sorprende come un pugno in faccia da uno che credevi oramai un buon amico.

Ed il male non è la regia, ma risiede in una cosa persino più importante. Una sceneggiatura che potrebbe essere stata scritta da Paul Gascoigne dopo una visita a tutti i pub di Londra. In tre, ci si son messi, per realizzare questa trama. Tenetevi forte.

L’importanza della sceneggiatura

Il film si apre con Santi a cena in un ristorante con i suoi amici di sempre nella Newcastle dove è diventato un eroe e che come tale lo tratta MA CON RISPETTO (stereotipo #…no, dai, finiamola, tanto ci siamo intesi) fin quando non arriva il procuratore Glen.

Nei titoli di testa, sulle note di “Ave Maria” di Schubert, abbiamo visto il Barcellona infliggere una sonorissima scoppola al Real Madrid, dove nel frattempo si è trasferito Gavin Harris, che pur essendo un attaccante viene indicato da tutti i cronisti come principale responsabile delle reti subite (?) – ed ecco quindi cosa ha da dire Glen a Santiago.

Visto che il Real ha una difesa così fragile e in attacco può contare solo su Raùl (!), Zidane (!!), Ronaldo (!!!) e Harris (vabbeh) ecco l’ideona della dirigenza dei “Galacticos“! Acquistare un altra punta!!! E siccome nel Newcastle hanno pescato bene (in Spagna in molti esigono già la testa di Harris) pensano proprio di ripetere il colpo: ed ecco così che, nell’ultimo giorno di mercato, si concretizza lo scambio con Michael Owen, che torna appunto in Inghilterra.

Il colpo del secolo?

Santiago Muñez  si aggrega così al Real Madrid, il club più prestigioso del mondo. E ovviamente, visto che si sta parlando di un giovane talento che segna di rovesciata con la stessa frequenza con cui Inzaghi segnava dall’area piccola, il lungimirante Real Madrid fa addirittura sottoscrivere al giovane messicano un bel contratto biennale. Che tanto chi se ne frega di lavorare in prospettiva, noi siamo il Real e se lo perdiamo a parametro zero, un investimento del genere, sai quanto ci tange.

Va beh.

Questo film (come il sottotitolo “Vivere un sogno” indica) parla dell’affermazione del giovane Santiago Muñez, che si ritrova improvvisamente ad essere una star planetaria e a giocare attorniato dai campioni più forti del mondo: una tale pressione potrebbe schiacciare chiunque, ed infatti è questo che accade, trasformando il “vivere un sogno” in un incubo.

A Madrid Santiago ritrova la madre, persa nella fuga in America per via di noiose storie familiari che non sto a raccontarvi, ma prima di questo si perde dietro i soldi, le belle donne ed un affermazione che stenta ad arrivare: l’allenatore olandese (inventatissimo) si ostina infatti a schierare Harris, nonostante Munez segni eurogoal ogni volta che gioca – e sono sempre cinque minuti.

La fama può dare alla testa

Santi finisce per litigare con la fidanzata (reduce dal primo film) e poi per tradirla con la classica giornalista “hot” così stereotipata da risultare perfino poco attraente: gli rimane solo l’amicizia con Gavin Harris, grazie a questa va avanti e mette la testa a posto ed è così che nella finale di Champions League contro l’Arsenal chiede ed ottiene dall’allenatore di stare ancora in panchina in favore dell’amico, che insegue ancora rinnovo del contratto e convocazione nella nazionale dell’Inghilterra per gli imminenti Mondiali del 2006.

Poco prima della finale chiama ancora l’ormai ex-fidanzata, un discorso strappalacrime di almeno cinque minuti che vede Roz commuoversi fino alle lacrime, lasciando presagire una riconciliazione tra i due. La partita comincia, l’Arsenal domina e va avanti di due reti, una causata dopo appena 2 minuti di gioco da un enorme ingenuità di Harris.

Una finale da protagonista…

Tuttavia l’allenatore (che per Harris, lo abbiamo capito, stravede senza un motivo) alla fine del primo tempo decide di non togliere Harris per Muñez come sempre ma anzi, di affiancare i due in attacco!

La scelta paga, l’Arsenal raddoppia ma poi a cinque minuti dalla fine manca il 3-0 su rigore e, nel rovesciamento di fronte, Munez lancia Harris che al volo (su un lancio di almeno 50 metri e in evidente fuorigioco MA VA BEH) segna l’1-2.

E qui accade qualcosa, il Real si trasforma e prende a giocare, addirittura Gravesen realizza passaggi perfetti lunghi più di due metri, per dire. Proprio Muñez segna il 2-2, con un azione confusa e brutta, senza alcun pathos, che lì per lì ci rimani proprio malissimo per come va.

Santi non lo sa, ma è qui che termina la sua ascesa e comincia la sua rapidissima discesa cinematografica: volete conoscere gli ultimi 5 minuti di film? VOLETE DAVVERO? Ok, ve la faccio breve: punizione per il Real, per fallo subito da Santiago.

Ultimo minuto. Siamo 2-2.

Chi batte la punizione? Muñez o lo specialista Beckham? Ovviamente lo specialista Beckham. Tiro. Gol. 3 a 2. Vittoria. TITOLI DI CODA.

Così, subito dopo il gol di Beckham. Il protagonista del film non viene nemmeno inquadrato. Fine.

Harris è stato poi convocato nell’Inghilterra? Santiago si è rimesso insieme a Roz dopo la telefonata della vita? Niente, non si saprà mai, perché il film termina lì.

ANZI.

Appare la scritta “To be Continued”, che viene da pensare sia stata messa lì apposta dal regista, come per dire alla produzione “ehi raga, ormai l’ho scritto, bisogna fare il terzo”. Non è così, il terzo capitolo è già stato annunciato (“Prossima fermata la Coppa del Mondo…non possiamo aspettare!”) e quindi è presumibile che tutti i nodi verranno al pettine. O almeno, così si spera.

La recensione di Goal 2

Visivamente il secondo capitolo della saga non è brutto-brutto (le scene “in campo” sono addirittura coinvolgenti, tutto sommato) anche se la trama rasenta il delirio e il finale davvero senza senso stravolge ogni logica narrativa senza alcuna giustificazione.

Ora…ok che il primo film era scontato, col campioncino che segna il gol decisivo al 90°, ma qui…BECKHAM? E perché Beckham? Perché ridurre il protagonista del film (e di quello precedente) al ruolo di comparsa di punto in bianco?

No, veramente, perché? Non potevano semplicemente fare che Beckham pareggiava su punizione e Santiago segnava il gol decisivo? Si spera di avere risposte nel terzo capitolo, ma vista la piega che ha preso la saga non è scontato che ciò avverrà.



GOAL 3 – TAKING ON THE WORLD (2009)

Le speranze di avere un minimo miglioramento con il terzo capitolo finiscono dopo due minuti che il film è partito. Le speranze di avere un prodotto perlomeno decente finiscono dopo tre. Dopo cinque realizzate che è una cosa oscena.

Ma non di quell’osceno buffo, che adoro, che ti fa perlomeno ridere. No no, io parlo di un qualcosa di orrendo. “Goal 3 – Taking on the World” fa sembrare “Goal 2” un gran film e “Goal” (il primo) un capolavoro degno di “C’era una volta in America”. E sono serissimo.

“Goal 3” è peggio che andare a togliersi un dente del giudizio, almeno lì lo strazio dura meno. “Goal 3” è bello come un debito con la Yakuza. Già dalla copertina, cazzo. E mi dispiace, è la prima volta che uso una parolaccia e sarà anche l’ultima, ma ci voleva. Guardatela, poco qui sopra.

Un cast inatteso e deludente

MA CHI DIAVOLO SONO QUEI DUE TIPI ACCANTO A SANTIAGO? E PERCHE’ IL TIZIO CHE SPARA IN MEZZA ROVESCIATA NON È SANTIAGO?

Non vorrete mica dirmi che anche in questo film il protagonista della saga finisce per essere una comparsa, vero?

Ok, il terzo film inizia con Santiago in compagnia dei suoi due nuovi migliori amici: Charlie Braithwaite, mezzo scozzese mezzo italiano (…) che gioca nella Nazionale Inglese (…) e Liam Adams. Charlie è il classico capellone simpaticone pieno di iniziativa, mentre Liam è il classico (ma va?) calciatore inglese finito dall’alcool e da una carriera che ormai ha dato il meglio.

Qualche leggera incongruenza nella trama

Che ci facciano in compagnia di Santiago è presto detto: tutti e tre giocano nel Real Madrid, ed attendono una chiamata per gli imminenti Mondiali del 2006.

INCONGRUENZA #1: nel secondo capitolo si parlava di “imminenti Mondiali in Germania”, quindi teoricamente il terzo film parte pochi giorni dopo la conquista della Champions League da parte del Real Madrid. Ma ne Braithwaite ne Adams sono presenti nel secondo film. 

Gavin Harris, che era stato decisivo nel secondo film con la sua rinascita per la vittoria delle merengues, è stato inspiegabilmente trombato e non appare nemmeno per scherzo.

Probabilmente l’attore che lo interpretava si è rifiutato di partecipare (e ci credo!) però appare brutto, perdere così di punto in bianco un punto cardine dei due capitoli precedenti e senza alcuna spiegazione.

Storie troncate in un minuto

Anche di Roz (che si era commossa alla telefonata di Santi) non si hanno più notizie: anche qui per via dell’attrice, e ce la caviamo con una battuta DOPO 45 MINUTI di Santiago, che dice che oramai il loro rapporto è una cosa del passato.

E non sono un sentimentale, ma è brutto: potevano metterla sul tragico (tipo “ci siamo rimessi insieme ma lei è morta”) ma chiuderla così, dopo che nei primi due film te l’han menata tanto con il loro amore, fa perdere senso a tutti quei minuti che hai sprecato per loro.

E vabbeh. Cerco di farla breve che quest’articolo sta diventando assai lungo.

I tre amici (Santi, Liam, Charlie) sono in Romania (?) perché Charlie deve girare un film, una sorta di porno soft-core (?) dove conosce la bella attrice Sophia (interpretata da Kasia Smutniak, la ex-signora Taricone) e durante il quale i tre apprendono che sono stati convocati per i Mondiali, pur se tutti e tre svincolati dal Real Madrid.

Arrivano i Mondiali!

Liam e Charlie giocheranno per l’Inghilterra, e Santiago ovviamente per il Messico.

INCONGRUENZA #2: Santiago aveva un contratto di due anni al suo arrivo a Madrid, cosa già di per se abbastanza poco credibile. In ogni caso ha fatto una stagione da riserva segnando 15 reti, in finale di Champions su 3 gol ne ha segnato uno e ispirato gli altri due. Ha poco piu’ di vent’anni. Perché svincolarlo? A parte che, come detto, aveva un altro anno di contratto…Mistero NON SPIEGATO, uno dei tanti del film.

Mentre tornano a casa, i tre e Sophia (che nel frattempo ha iniziato una relazione con Charlie) sono vittime di un incidente in taxi: si risvegliano in ospedale, Liam e Charlie hanno avuto solo una commozione cerebrale, mentre Santiago si è rotto alcune costole, starà fuori per ben tre mesi e dovrà saltare i Mondiali.

“Eh – penserete voi – invece è il protagonista del film, tornerà in campo a sorpresa prima e…”

La fine della carriera di Santiago Muñez

NO. Il ruolo di Santiago nella saga si conclude qui. Il protagonista della serie non fa più niente. È in ospedale, salta i Mondiali. Il film parla dei Mondiali. Fine. Kaput. Ciao.

E ciao a voi cretini che avete seguito la saga nonostante tutto fino a qui. A noi non ce ne fotte niente, perché noi prendiamo il protagonista e con un espediente ridicolo lo mettiamo da parte. Perché dobbiamo dare spazio a due attori assai improbabili che interpretano personaggi di cui non potrebbe fregarvene di meno e talmente stereotipati da far risultare il primo film un inno all’originalità.

Il film parla quindi dei Mondiali dal punto di vista dell’Inghilterra, con Liam che scopre di avere una figlia dalla ex-compagna e che reagisce bevendo ancor più di prima mentre Charlie è sempre più innamorato della sua Sophia.

I due sono in panchina per quasi tutto il Mondiale, ma vengono schierati nella partita decisiva per la qualificazione al secondo turno contro la Svezia e, in coppia, confezionano il gol di Adams che vale il 2-2 decisivo.

Un delirio di trama

Nel frattempo seguiamo anche, parallelamente, l’avventura in furgone di quattro stereotipati tifosi inglesi che si recano in Germania: spariranno senza alcun senso così come sono apparsi, ma non prima di averci “deliziato” con alcune gag tra cui una notte di sesso con le svedesi facili (STEREOTIPO ALERT) e una fumata di marijuana con alcuni tifosi giamaicani (STEREOTIPO ALERT) che boh, forse servono a riempire un film con niente da dire.

Santiago Muñez, che era il protagonista della serie, ricordiamolo, riappare solo di tanto in tanto allo stadio a vedere l’Inghilterra (del Messico non ci è dato sapere il destino, ma ovviamente se è una comparsa Santi figuratevi il suo Paese) e il film si concentra appunto sui due amici inglesi.

Durante la partita con l’Ecuador, ottavi di finale, Charlie entra e prende una brutta botta alla testa. Esce, ci vede doppio, sembra stare meglio, poi sviene, in ambulanza si riprende un attimo per dire qualcosa di patetico a Sophia e poi muore.

Tra ridicolo e tragedia

Aneurisma. Una conseguenza dell’incidente stradale in Romania mesi prima aggravata dal nuovo contatto. PERCHE’ OVVIAMENTE NON FANNO TEST FISICI E RISONANZE MAGNETICHE E TAC E QUANT’ALTRO A CHI GIOCA IL MONDIALE DI CALCIO.

Per la cronaca la partita con l’Ecuador viene vinta dall’Inghilterra per 1-0 grazie ad un gol su punizione di Beckham (un deja-vu del secondo film!) che la regia sapientemente non ci mostra, limitandosi a farci vedere lo Spice Boy che calcia e poi festeggia.

Dai, il Mondiale è finito lì e lo capiamo subito, è finito con la morte di Charlie. C’è il funerale, tanta commozione, poi la partita con il Portogallo. Tesa, tiratissima, si va ai rigori e ovviamente quello decisivo lo sbaglia Liam, ancora sconvolto dalla morte dell’amico.

CHE SCENEGGIATORI!

Un finale tirato via

Tra l’altro notevole il fatto che di cinque rigori nemmeno uno spetti al rigorista della squadra, quel David Beckham che aveva rubato la scena a Santi alla fine del secondo film, di fatto uccidendone il personaggio.

La morte di Charlie ha scosso Liam, che smette di bere, torna insieme alla ex, ritrova così anche la figlia e finalmente convola a nozze. Al matrimonio rivediamo finalmente Santiago, che è il testimone dello sposo, e speriamo che almeno ci lascerà con un discorso sulla vita, la morte, l’amicizia.

NO. NO. NO.

Ci prova, ma crolla dopo poco vinto dall’emozione. E così il discorso finale dell’ultimo film della saga lo deve fare il semi-anonimo agente di Liam e Santiago – che ovviamente non è più Glenn, sparito come gli altri senza un perché – che in soldoni glissa sulla morte di Charlie – son cose brutte eh, ma capitano – e augura a Liam tanta felicità.

La recensione di Goal 3

E finisce così, mentre inspiegabilmente la regia alterna momenti del matrimonio ad altri che vedono l’Italia festeggiare la vittoria del Mondiale. Bella storia, non c’è che dire. Bella merda.

Appena due parolacce in così tante battute, per me che sono toscano, sono un impresa per descrivere questa trilogia. Partita discretamente bene con il primo, ha subito con il tempo un ridimensionamento che se posso capirlo dal punto di vista economico mi rimane impossibile da comprendere in quanto a sceneggiatura.

Diversi personaggi chiave spariscono senza motivo, protagonisti appaiono dal nulla, tutti i calciatori reali che appaiono sembrano fare di tutto (e uno ci riesce, vero mister Beckham?) per rubare la scena a Santiago, che sarebbe poi il protagonista.

Una trilogia andata in vacca

Il povero Muñez passa da protagonista assoluto del primo a uno tra i tanti del secondo a comparsa (non esagero, è una comparsa sul serio) nel terzo. E senza un cavolo di motivo!

Si passa dalla trama iperscontata del primo episodio al non-sense del secondo senza un perché, il tutto chiuso da un terzo episodio che è un insulto a qualsiasi cosa, all’arte, alla regia, alla recitazione, alla sceneggiatura, al buon senso degli spettatori. A tutto.

Un vero peccato viste le premesse comunque discrete, un evidente segnale che cinema e pallone non sono un connubio così fortunato. Ragazzi, evitatelo, a meno che non amiate il trash puro (si trova peraltro solo in inglese) perché se il primo è anche sufficiente, vederlo vi porterà a vedere gli altri due e a pentirvi di aver visto il primo, che non serve a niente visti i seguiti.


Un saluto a tutti, se ce l’avete fatta ad arrivare fino in fondo: la prossima volta tenterò di essere piu’ stringato, ma questa trilogia mi ha così shockato che dovevo scriverne abbastanza.

Ciao!

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