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Ferenc Plattkó, baluardo insuperabile del Barcelona

All’inizio degli anni ’20 il Barcellona è già una delle squadre più forti di Spagna: campione incontrastato del campionato della Catalogna, pur potendo contare su campioni affermati come Paulino Alcántara, Josep Samitier e Félix Sesúmaga è stato da poco privato del suo giovane ma già fortissimo portiere, Ricardo Zamora.

El Divino infatti ha cominciato a fare le bizze, chiedendo molti soldi e sbandierando un’offerta dell’Espanyol, squadra dov’è cresciuto e dove intende tornare. Nonostante un anno di squalifica ce la farà, e così i blaugrana devono trovarsi un nuovo guardiano dei pali: la scelta ricade alla fine sul possente ungherese Ferenc Plattkó.

Ferenc Plattkó, eroe quasi per caso

Come si è arrivati ad ingaggiarlo è storia che sembra quasi leggenda. Proprio nel periodo in cui ha perso Zamora il Barcellona ospita gli ungheresi del MTK Hungária, squadra dominante nel proprio campionato ma messa in difficoltà dall’estro dei catalani.

Soltanto le numerose parate di Plattkó portano addirittura due amichevoli a concludersi a reti inviolate, ed è per questo motivo che il presidente Gamper e l’allenatore Greenwell puntano forte su questo ragazzone, che già vanta anche diverse presenze in Nazionale.

Sarà un successo, con il massiccio ma agile numero uno che diventa ben presto l’idolo dei tanti tifosi del Barça, squadra che mentre il calcio sta nascendo si trova invisa al potere detenuto dal dittatore Primo de Rivera, appoggiato dalla monarchia mentre i catalani sono notoriamente repubblicani.

I blaugrana si trovano presto a lottare contro tutto e tutti: avversari fortissimi sul campo e anche al di fuori di esso, tanto che il regime arriva a squalificare il campo e a costringere al ritorno in Svizzera il povero Joan Gamper, presidente e fondatore del club che morirà suicida pochi anni dopo. Ogni partita è una battaglia, ogni successo ottenuto con sangue e sudore.

Baluardo insuperabile

Il Barcellona è inarrestabile anche grazie al suo insuperabile portiere, secondo soltanto a Zamora e baluardo difensivo di una squadra sempre all’attacco per stile di gioco, ma che finisce spesso per essere accerchiata fuori dal campo per le sue idee politiche.

Plattkó, che in Spagna è diventato Franz Platko, rimane al Barcelona fino al 1930, conquistando 6 campionati di Catalogna, il primo campionato spagnolo di sempre e 3 volte la Copa del Rey, l’ultima delle quali porta la sua firma in finale, quando si erge a muraglia insuperabile contro la Real Sociedad che simboleggia quel potere tanto inviso ai tifosi blaugrana.

Le sue prestazioni, in una finale che viene ripetuta per ben tre volte, sono talmente spettacolari da entusiasmare  anche il poeta Rafael Alberti, che in seguito a una partita che lo ha visto giocare dopo essersi gravemente ferito, eroico sotto la pioggia e il vento, gli dedica una ode.

Protagonista di una parata salva-risultato, Platko viene colpito impunemente al volto da un calcio di un attaccante avversario, evidentemente frustrato. Stoicamente torna in campo e contribuisce come al solito all’ennesima vittoria. Nello stesso momento entra nella leggenda di uno dei club più famosi e vincenti al mondo, dove hanno giocato tanti campioni. Ma un solo Franz Platko.

Chiusa la carriera in Francia, nel Mulhouse, Plattkó inizia una carriera ventennale da allenatore divisa tra Spagna e Sudamerica: dirigerà, oltre al Barcelona, il River Plate, il Boca Juniors, il Colo Colo e la nazionale cilena.


“Ode a Platko”

Né il mare,
che di fronte a te saltava senza poterti difendere
né la pioggia, né il vento, che sopra ogni altra cosa ruggiva.

Né il mare, né il vento, Platko,
biondo Platko sanguigno,
portiere nella polvere,
parafulmine.

No, nessuno, nessuno, nessuno,
maglie azzurre e bianche, nel vento,
maglie del Real,
contrarie, verso di te, volando e travolgendoti.

Platko, Platko lontano,
biondo Platko ferito,
tigre ardente nell’erba di un altro Paese.

Tu, chiave, Platko, chiave rotta,
chiave d’oro caduta davanti alla porta d’oro!
No, nessuno, nessuno, nessuno,
nessuno dimentica, Platko,

il cielo girò la sua schiena.
Magliette azzurre e granata fiammante
lontane, senza vento.

Il mare, volti gli occhi,
si distese e non disse più nulla.
Sanguinando dagli occhielli sul petto,
sanguinando per te, Platko,
per il tuo sangue di Ungheria,
di restare senza il tuo sangue, il tuo slancio, la tua parata, il tuo salto
gli stemmi temettero.

No, nessuno, Platko, nessuno,
nessuno dimentica.

Poi fu il ritorno del mare
furono dieci veloci bandiere
incendiate all’improvviso.

Fu il ritorno del vento
il ritorno della speranza nei cuori
fu il tuo ritorno.

Eroico azzurro e granata
comando dell’aria nelle vene.
Ali, ali celesti e bianche
ali rotte, reduci, senza
piume, imbiancarono l’erba.

E l’aria ebbe gambe,
tronco, braccia, testa.
E tutto per te Platko,
biondo Platko d’Ungheria!

E in tuo onore, per il tuo ritorno,
perché tornò il polso perso nella battaglia,
nell’arco contrario al vento si aprì un varco.

Nessuno, nessuno dimentica.
Il cielo, il mare, la pioggia ricordano.
Gli stemmi.

Gli stemmi dorati, fiori agli occhielli,
chiusi, aperti per te.
No nessuno, nessuno, nessuno,
nessuno dimentica, Platko.

Neanche il finale: la tua uscita,
orso biondo sanguigno,
la debole bandiera sulle spalle per il campo.

Oh Platko, Platko, Platko
tanto lontano dall’Ungheria!
Quale mare sarebbe stato capace di non piangerti?

Nessuno, nessuno dimentica,
no, nessuno, nessuno, nessuno.

(Poesia di Rafael Alberti tratta da parcopoesia.it e tradotta da Michela Monferrini – “Quando il primo imputato è il portiere”)

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