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Joe Gaetjens: il “Miracolo sull’Erba” e il gol che gli donò l’immortalità

Quel tiro da poco più di 20 metri di Walter Bahr è ben calciato ma innocuo: Bert Williams, accreditato come uno dei migliori portieri dell’epoca, non potrà essere battuto così. E infatti rapido si muove, pronto al tuffo che sventerà quell’assurdo e dilettantesco tentativo.

Quand’ecco che dal nulla spunta Joe Gaetjens, che si tuffa e di testa devia il pallone quel tanto che basta. Williams è sorpreso, la palla lentamente rotola verso la rete. È gol. Chi lo ha realizzato è ancora a faccia in giù nell’erba, forse neanche immagina di aver segnato una delle reti più importanti nella storia del calcio.

È un momento storico. È il Mondiale del Brasile, anno 1950.

Il Miracolo sull’Erba di Joe Gaetjens

Gli Stati Uniti, autentici dilettanti allo sbaraglio, hanno appena segnato un gol ai maestri del football dell’Inghilterra, alla loro prima apparizione dopo anni di auto-esilio imposti da una superbia che si rivela infondata. I maestri inglesi scoprono che non solo nel resto del mondo qualcuno gioca a calcio meglio di loro, ma anche che questo qualcuno può essere la improbabile e malmessa compagine americana.

La partita, dopo il gol di Gaetjens, non si sblocca più. L’ansia assale gli inglesi, la sfortuna li perseguita, ogni rimpallo dice bene agli americani, nella cui porta giganteggia l’addetto alle pompe funebri di origini italiane Frank Borghi. Non sa assolutamente calciare il pallone – lo fa un terzino al suo posto nei rinvii da fondo campo – ma con le mani ci sa fare, e in quello storico pomeriggio prende pure le mosche.

Il difensore Charlie Colombo, soprannominato Gloves per via della sua abitudine a giocare sempre con guanti di pelle tagliati alle dita, è per molti il migliore in campo: picchia come un fabbro gli eleganti ma timorosi attaccanti inglesi, corre e si sfianca per 90 minuti.

Ci si mette pure una traversa, per i figli di Albione, ma finisce così. 1-0 per gli Stati Uniti. E tra Borghi e Colombo spicca ovviamente lui, l’autore del goal, l’eroe della giornata. Joe Gaetjens, cognome dal sapore fiammingo, classe europea. Haitiano in procinto di prendere una cittadinanza americana che invece mai prenderà.

Contro ogni previsione

Eppure non esiste un immagine chiara di quella rete. I fotografi e i cineoperatori si erano messi tutti dietro la porta degli americani, immaginando una pioggia di reti inglesi in quella che appariva come una sfida decisamente sbilanciata.

Le quote sui Mondiali del 1950 indicavano la vittoria finale dell’Inghilterra 3 a 1. Gli Stati Uniti, d’altro canto, erano stati considerati soltanto per dovere ed erano dati dagli allibratori 500 a 1. Una differenza abissale, che nella gara passata alla storia come “il miracolo di Belo Horizonte” (o “The Miracle on Grass”, il miracolo sull’erba per gli americani) non si vide affatto.

Il team degli Stati Uniti era stato costruito in fretta e furia pochi mesi prima, giusto per evitare agli americani un’altra figuraccia come quella rimediata alle Olimpiadi del 1948, dove erano usciti al primo turno sconfitti dall’Italia per 9-0. Un risultato pesante, seguito da due sconfitte in amichevole con Norvegia (11-0!) e Irlanda del Nord (5-0) che aveva convinto i dirigenti americani che ai Mondiali sarebbero arrivate figuracce addirittura più congrue.

Qualificatisi senza molto onore, grazie a una vittoria ed un pari contro Cuba, due sconfitte (6-0 e 6-2) contro il Messico – e con il Canada che si era ritirato – ai dirigenti non rimaneva che mettere su la miglior compagine possibile unendo sei superstiti delle Olimpiadi ad altri giocatori locali.

Uno storico melting pot

Fu così che nacque la squadra americana, che univa un gruppo che si conosceva bene di giocatori della zona di St. Louis ad altri calciatori comunque dilettanti, alcuni dei quali rifiutarono per via del lavoro. Pochi giorni prima della partenza per il Sudamerica arrivano gli ultimi tre rinforzi. Sono il belga Maca, lo scozzese McIlvenny e l’haitiano Gaetjens, capocannoniere della American Soccer League nei NY Brookhattan Galicia. Professione: lavapiatti.

In gioventù stella dell’Etoile Haitienne, compagine di Haiti dove ha esordito ad appena 14 anni e con cui ha vinto due campionati nazionali, Joe Gaetjens è venuto in America per studiare alla Columbia University, e nel tempo libero lavora come lavapiatti nel ristorante di uno dei tanti proprietari di squadre più o meno dilettantistiche nella zona di New York.

È figlio di una nobile famiglia decaduta: i Gaetjens sono arrivati ad Haiti grazie al bisnonno di Joe, Thomas, emissario del regno di Prussia per conto di Federico Guglielmo III. Anche se non hanno più la fortuna di una volta, vivono commerciando rum e tabacco e hanno un peso politico notevole nell’isola Caraibica. Gaetjens, non essendo americano, non può partecipare ai Mondiali, ma gli Stati Uniti trovano la soluzione.

Americano per un mese

Visto che ogni Paese crea la sua selezione nazionale secondo le proprie regole interne, ai dirigenti americani basta una dichiarazione dove Gaetjens si impegna ad assumere la nazionalità degli Stati Uniti in futuro. Ed ecco che è abile e arruolabile. I compagni se lo ritrovano in squadra così, dalla sera alla mattina, e non hanno ovviamente niente da ridire: il ragazzo è nella piena maturità, 26 anni, e mostra numeri da gran giocatore.

Molto agile e incredibilmente rapido, ha il gol nel sangue e una discreta tecnica di base, ottima considerato il livello qualitativo del team a stelle e strisce. La prima partita del Mondiale è una piacevole sorpresa: gli americani passano in vantaggio con la Spagna grazie ad un gol di Gino Pariani, uno dei numerosi italo-americani presenti in rosa, e solamente nel finale, a causa della loro inesperienza, vengono raggiunti e superati dalla Spagna.

È un 3-1 che non fa male, anche perché l’attenzione di tutti è già alla partita successiva, contro gli esordienti (ai Mondiali) maestri del calcio, la fortissima Inghilterra del Pallone d’Oro Stanley Matthews.

Davide contro Golia

Gli inglesi dominano, poi vengono sorpresi dalla rete di Joe e perdono. Lo shock è così grande che in Inghilterra, pensando ad un errore dei telegrafi, leggono 1 a 0 e pensano 10 a 0, come se dal Brasile si fossero dimenticati uno 0. Leggenda vuole che alcuni giornali pubblichino addirittura questo risultato.

E invece no, gli americani stupiscono il mondo sconfiggendo i supponenti inglesi: si tratta di un fuoco di paglia, e nella successiva (e decisiva, ai fini della qualificazione) partita vengono impallinati dal Cile ed escono. Finisce 5-2 per i sudamericani, con Borghi che torna umano e Colombo che abbandona il campo di sua spontanea volontà in piena crisi di nervi, distrutto moralmente dai numeri irrisori dei cileni.

Per la cronaca l’Inghilterra si dimostrerà squadra effettivamente sopravvalutata, perdendo con la Spagna e salutando anch’essa la competizione al primo turno.

Meteora in Francia

Anche gli americani tornano a casa, ma dopo pochi mesi Joe Gaetjens è in Francia: lo vuole il prestigioso Racing Club de Paris, dove gioca solamente 4 gare (segnando comunque 2 reti) per via di una serie di infortuni.

L’anno successivo si trasferisce nell’Alés, seconda divisione: sono 15 presenze e altre 2 reti, con un ginocchio che non ne vuole sapere di stare bene. Nel 1953, 29 anni, Joe ritorna a casa nella sua Haiti, come rappresentante e testimonial di Palmolive e Colgate e centravanti nella squadra d’infanzia, l’Etoile Haïtienne.

Accolto da centinaia di persone, non saprà ripagarle con prestazioni adeguate e finirà presto per ritirarsi: forse il successo gli ha dato alla testa, forse è stufo del calcio, forse c’entrano quei numerosi acciacchi patiti e alcune misteriose perdite di sangue dal naso dopo uno sforzo prolungato. Nessuno lo saprà mai.

“Un ragazzo adorabile”

La promessa di prendere la cittadinanza americana non verrà mai mantenuta, e ciò gli permetterà di giocare anche con la maglia della Nazionale di Haiti una volta, prima di ritirarsi. Nel 1953 gli Stati Uniti visitano Haiti per le qualificazioni ai Mondiali del 1954, e Gaetjens ospita i suoi ex-compagni in un party nella sua villa a Port-au-Prince: è la prima volta che gli eroi che fecero l’impresa contro l’Inghilterra si rivedono.

Tutti ricorderanno quel giorno, quello in cui rivedono l’amico Joe. Allegro come sempre, generoso in modo naturale, non artefatto, capace di perdere ore dietro ai tanti bambini che gli chiedono monete, magliette, palloni, tanto da tornare a casa spesso quasi in mutande.

E un bimbo non può credere che esista il male. Joe Gaetjens ama la moglie, i suoi figli, il calcio, e non ha nessun interesse nella politica: la sua famiglia però sì, è influente e appoggia Louis Déjoie, che perde le elezioni politiche del 1957 a favore di François Duvalier.

Anche se i Gaetjens residenti ad Haiti hanno un buon rapporto con il nuovo Presidente, i due fratelli più giovani di Joe sono in Repubblica Dominicana da dove, si dice, vogliono organizzare un colpo di Stato. Quando l’8 luglio del 1964 Duvalier annulla la democrazia haitiana dichiarando se stesso presidente a vita, i Gaetjens rimasti capiscono che aria tira e lasciano l’isola.

Tutti meno Joe. In fondo, lui lì ha il suo paradiso, è un eroe nazionale, è solo un uomo a cui piace il calcio.

La prigionia e la morte

Joe Gaetjens è come un bambino che non crede che il male esista, ma due giorni dopo “Papa Doc” François Duvalier ordina un brusco risveglio per mezzo dei suoi soldati scelti, i Tonton Macoutes. Il mattino del 10 luglio la polizia segreta irrompe in casa Gaetjens, cattura Joe e lo trasferisce nella prigione di Port Dimanche, dove vengono tenuti i prigionieri delle famiglie scomode fuggite dal regime.

L’eroe del football paga per il suo cognome, per la sua famiglia. È questa l’ultima parte nota della vita di Joe Gaetjens: ogni mezzanotte, a Port Dimanche, un prigioniero viene portato nel cortile e giustiziato.

C’è chi dice che Joe muoia così, due giorni dopo l’arresto, uccidso addirittura da Duvalieri in persona. Chi invece nei giorni successivi per via delle enormi privazioni che patiscono i reclusi. In ogni caso è giovane, Gaetjens, ha appena quarant’anni. Il suo corpo non sarà mai ritrovato.

Finisce così la storia di Joe Gaetjens, l’autore del goal decisivo nel celebre “Miracolo sull’Erba” del 1950, quando la sgangherata truppa americana sconfisse i maestri del football inglesi. Di lui restano poche foto e le testimonianze degli allora compagni, che ne sottolineeranno le notevoli capacità tecniche ed atletiche.

Precisando però che questo era niente di fronte al carattere del ragazzo, una persona semplice e buona sempre pronta a sorridere e a far sorridere. Uno sportivo vero, entrato nella storia del calcio così nitidamente così come poco nitidamente è sparito da quella dell’uomo. A volte il calcio ti può rendere immortale. Per Joe Gaetjens è stato così.


Joe Gaetjens

  • Nazionalità: Stati Uniti/Haiti
  • Nato a: Port-au-Prince (Haiti) il 19 marzo 1924
  • Morto a: Port-au-Prince (Haiti) il 10 luglio 1964
  • Ruolo: attaccante
  • Squadre di club: Etoile Haïtienne (HAI), Brookhattan (USA), Racing Clu de Paris (FRA), Olympique Alès (FRA)
  • Trofei conquistati: Ligue Haïtienne 1942, 1944


SITOGRAFIA:

  • Gee, Allison (22/03/2014)  Joe Gaetjens – the footballer who disappeared, BBC

BIBLIOGRAFIA:

  • Gaetjens, Lesly (2010) The shot heard around the world – The Joe Gaetjens Story [GUARDA SU AMAZON]

FILMOGRAFIA:

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