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Matthias Sindelar, la “Cartavelina” che il Nazismo non riuscì a piegare

“Giocava a calcio, e non seppe
della vita molto altro.
Visse, perché doveva vivere
di calcio e per il calcio” [1]

A vederlo fuori dal campo nessuno avrebbe mai pensato che fosse uno sportivo: alto, scheletrico, il volto infossato dava risalto a un bel paio d’occhi azzurri che sembravano finiti lì quasi per caso. Se ti mostrava il fianco quasi scompariva, tanto breve era la distanza tra la schiena e il petto, quella fragile intercapedine in cui sono contenuti il cuore e tutti gli altri organi vitali.

Se però nei dintorni c’era un pallone, potevi stare tranquillo che ti saresti inaspettatamente ricreduto. Perché quell’uomo dall’aspetto così bizzarro era, semplicemente, il più forte calciatore al mondo. Lo chiamavano “Der Papierene”, “Cartavelina”, per via del suo aspetto fisico. O anche “Il Mozart del Calcio”, per il fatto di essere austriaco e di aver saputo fare con un pallone quello che il grande Amadeus ha fatto con la musica.

Incantare.

L’erede di Uridil

Matthias Sindelar non sembrava predestinato a diventare un calciatore: di famiglia povera, emigrato nella grande Vienna dalla Moravia, il padre si era immolato per il suo paese nella Battaglia dell’Isonzo, lasciando la madre a crescere il giovane figlio maschio e le sue tre sorelle.

La leggenda narra che non avesse nemmeno le scarpe, o che almeno non le usasse le frequentissime volte al giorno in cui abbandonava il lavoro – era un apprendista fabbro – per correre a giocare a pallone nei vicoli di Vienna. L’Austria non era in un bel momento economico, la povertà era diffusa, e i ragazzi, per giocare, dovevano accontentarsi di una palla fatta da tanti stracci legati insieme.

Evidentemente un ostacolo superabile per Sindelar, che in quelle strade sfoggiò numeri su numeri, fino a quando la voce di un ragazzino fenomenale non giunse all’orecchio di un dirigente calcistico dell’Herta Vienna, che lo convinse a passare dagli stracci a un pallone vero, dalle strade agli stadi.

Esordì in prima squadra a 18 anni, dopo aver fatto mostra con le giovanili di meraviglie calcistiche tali da smuovere diversi tifosi allo stadio solo per vederlo in allenamento. Esordì e fu subito gloria, gol, classe mai vista prima: Sindelar era una saetta (“Un demonio”, lo definirà anni dopo il bolognese Schiavio dopo averlo affrontato), capace di scomparire dal gioco e dalla vista del proprio marcatore per poi ricomparire, etereo, in area di rigore a concludere implacabilmente.

sindelar

“Cartavelina” Sindelar, un campione assoluto

Un giocatore dai fondamentali perfetti, che possedeva tutte le qualità che servivano per dominare in una partita di calcio: senso tattico, velocità, cambio di passo, fantasia. Sindelar segna e sforna assist a pioggia, in un’Austria che sta scoprendo che nel gioco del calcio, quel nuovo sport arrivato dall’Inghilterra pochi decenni prima, gli austriaci non sono affatto male.

Anzi. C’è entusiasmo nelle “Coffee House” viennesi, e “Cartavelina” è l’idolo indiscusso degli appassionati, degli intellettuali, di chi segue con passione quello sport che in Austria non appartiene più solamente alla classe operaia. È l’erede di Josef “Pepi” Uridil per i tifosi austriaci, e non potrebbe essere più diverso dal suo predecessore: tanto potente e abile a sfondare in area era Uridil – al quale Vienna dedicò addirittura un musical – tanto agile, leggero e più portato al fraseggio con i compagni era Sindelar, certamente più artista.

Tanto simile all’ideale britannico (coraggio, potenza, ardore) era “Pepi” quanto innovativo, elegante, artistico è “Cartavelina”, simbolo della neonata “scuola danubiana”.

“Giocava a calcio come un campione di scacchi gioca a scacchi: con una concezione mentale aperta, calcolando le mosse e le contromosse in anticipo, sempre scegliendo la migliore in prospettiva rispetto a tutte le possibilità a disposizione.

In un certo senso aveva il cervello nelle proprie gambe, e molte cose degne di nota e assolutamente inaspettate venivano prodotte proprio nella fase di corsa.

Il tiro di Sindelar colpiva il fondo della rete come la perfetta battuta finale di un racconto, come la conclusione che rende possibile comprendere ed apprezzare la perfetta composizione della storia, come il coronamento di tutto ciò che rappresentava.” [2]

Un segno del destino

C’è un momento in cui il destino conferma a Sindelar che forse non è nato predestinato, ma che ormai lo è diventato grazie alla sua classe immensa: è il 1923, “Cartavelina” cade in una piscina e si fa molto male. Lesione del menisco, per la precisione, un infortunio difficile da trattare persino adesso, a maggior ragione quasi cento anni fa. A dirla tutta, a quei tempi c’era poco da fare: un infortunio così significava carriera finita e addio sogni di gloria.

Evidentemente, però, il calcio ha un suo dio. Un dio che decide che il mondo del football non può privarsi del suo più grande campione a soli vent’anni, per giunta quando ancora non ha potuto dimostrare niente.

Il dio del calcio ha le fattezze di un uomo, il dottor Hans Spitzy, che con un rivoluzionario intervento chirurgico guarisce Sindelar permettendogli di tornare a dettare poesia sui verdi prati viennesi. Torna, ma l’Herta comincia ad avere seri problemi economici e la sua cessione è necessaria.

Ed ecco così che “il Mozart del calcio” va a suonare la sua sinfonia per una platea più numerosa ed esigente, quella del fortissimo Austria Vienna.

cartavelina

“Der Papierene” si inserisce in una squadra fortissima, che ogni stagione rinforza le sue fila con il meglio del calcio locale. In mezzo a tanti campioni, la squadra ruota intorno a lui, Sindelar, che diviene finalmente quel predestinato su cui nessuno avrebbe scommesso.

Detta letteralmente i tempi del gioco, rendendo pressoché irrilevante la figura dell’allenatore, che si affida a quell’esile figura per sconfiggere qualsiasi avversario. Tifosi da tutta l’Austria giungono a vedere le partite dei Vielchen (“i Violetti”) di Sindelar: non per vedere una partita in sé ma perché solo vedendo giocare “il Mozart del calcio” si può capire effettivamente cosa il football sia nella sua essenza.

La stella del Wunderteam

A 23 anni arriva la Nazionale. Sta nascendo il “Wunderteam”, la “Squadra delle Meraviglie”: la allena il leggendario Hugo Meisl, tra i padri fondatori del calcio continentale e acuto stratega. Anch’egli, ovviamente, finisce per cedere al fascino di Sindelar: la squadra è schierata al servizio del campione e, a detta di moltissimi osservatori dell’epoca, l’Austria gioca il più bel calcio al mondo.

Il suo rapporto con la Nazionale è bellissimo e sfortunato: in gol fin dall’esordio, Matthias entra nella leggenda quando, qualche anno più tardi, l’Austria sconfigge la forte Ungheria con il risultato di 8 a 2, in una partita che prevedeva la sfida tra i due più grandi calciatori dell’epoca insieme a Giuseppe Meazza, e cioè lo stesso Sindelar e Gyorgy Sarosi.

Il migliore della sua epoca

Sindelar entra in tutte le otto segnature del “Wunderteam”: tre reti portano la sua firma, le altre cinque arrivano da suoi perfetti passaggi smarcanti. Qualche tempo dopo anche i maestri del football devono riconoscerne la classe sconfinata, infinita, accecante.

Con la sua ginocchiera a riparare il ginocchio ferito anni prima e che mai toglierà in campo, Sindelar colpisce l’immaginario dei tifosi inglesi quando l’Austria si reca a casa degli inventori del calcio per sfidarli. Ma non è – ovviamente – solo per l’aspetto fisico che Matthias conquista un pubblico diffidente verso gli stranieri come quello d’Albione.

L’Inghilterra, che gioca solo partite amichevoli contro gli altri Paesi, considerandoli troppo deboli, si deve inchinare di fronte a “Cartavelina”, che da centrocampo mette a sedere tutta la difesa avversaria e segna una rete memorabile. Finirà 4-3 per gli inglesi, che sono ancora invincibili, ma è abbastanza perché l’Arsenal arrivi ad offrire ben 40.000 sterline – un enormità per l’epoca – per averlo tra le sue fila. Un trasferimento che non si concretizzerà, perché Sindelar ama il suo Paese ed è lì che vuole continuare a vivere.

L’ultima partita di “Cartavelina”

Eppure l’Austria dopo qualche anno non esiste più: la macchina Nazista la fagocita, annettendola al suo impero. “Anschluss”, la chiamano. “Annessione”. Una follia che Hugo Meisl, maestro di Sindelar e creatore del “Wunderteam“, non sarà costretto a vedere, morendo qualche mese prima per un improvviso infarto.

L’Austria diventa “Ostmark”, la provincia orientale del Terzo Reich, che pensa bene di celebrare la ritrovata e inevitabile “fratellanza” con gli austriaci organizzando una partita di calcio.

È la “Partita della Riunficazione” (“Anschlussspiel”) e sarà l’ultima partita della nazionale austriaca prima di fondersi con quella tedesca. Sarà l’ultima volta che Sindelar vestirà la maglia dell’Austria, che per l’occasione rinuncia alla classica divisa bianca con calzoncini neri per indossare, invece, maglia rossa e calzoncini bianchi, ovvero i colori della bandiera nazionale ormai ammainata.

Uno schiaffo al nazismo

Dopo aver finto di rispettare una sorta di tacito “patto di non belligeranza” dominando i tedeschi e umiliandoli con vistosi e volontari errori sotto porta, gli austriaci a venti minuti dalla fine decidono di giocare sul serio: Sindelar segna la prima rete, il suo migliore amico Karl Sesta consegue il raddoppio, chiudendo la gara con una punizione quasi da centrocampo.

“Il Mozart del Calcio” festeggia le marcature proprio sotto la tribuna dove siedono i gerarchi del Reich, come per sberleffo. A fine gara sui ventidue uomini in campo solo due non eseguono il saluto nazista, e sono proprio Sindelar e Sesta.

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È un personaggio scomodo, “Cartavelina”, ma come gioca a calcio lui nessuno al mondo: è per questo che la Germania lo perdona, tentando di convincerlo per bocca del CT Herberger a giocare per la nazionale della croce uncinata.

Ma Sindelar non ci sta, dice che ormai è vecchio, e che il ginocchio scricchiola. Bugie, che il buon Herberger però capisce e comprende, non chiedendogli mai di ripensarci nonostante in cuor suo sappia che “Der Papierene” è ancora il migliore al mondo. In realtà Matthias non può perdonare una filosofia politica che ha emarginato o addirittura deportato tutti i suoi più cari amici, come l’ex-Presidente dell’Austria Vienna Michael Schwarz, destituito in quanto ebreo.

È a lui che dirà una frase passata alla storia: “Il nuovo Führer dell’Austria Vienna ci ha proibito di salutarla, ma io vorrò sempre dirle «Buongiorno» ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla“. [3]

Un campione scomodo

Anche se avrebbe potuto ancora benissimo dire la sua, Sindelar si ritira nel 1938. Rimane a vivere a Vienna, acquista un bar da alcuni ebrei per evitare che glielo confischino e ne fa un punto di ritrovo per tutti gli amanti del pallone. Si reca allo stadio “des Colombes” di Parigi per assistere a Germania-Svizzera, gara valida per i Mondiali, dopo aver partecipato all’edizione precedente con la sua Austria uscendo con l’Italia fascista in una partita dal dubbio arbitraggio.

Sul campo la “nuova” Germania mette in mostra buoni valori, ma non è una vera squadra: si fa rimontare due reti di vantaggio dalla piccola Svizzera di Karl Rappan e, nel finale, una doppietta del grande bomber André Abegglen ne sancisce l’eliminazione immediata dal torneo; una delusione incredibile per il Partito Nazista, che non aveva affatto nascosto velleità riguardo alla vittoria finale.

Quando i tifosi riconoscono “Cartavelina” in tribuna cominciano a cantare la “Marsigliese”, identificandolo ancora una volta come simbolo della lotta al nazi-fascismo.

“Sulla morte di un calciatore”

Pochi mesi dopo, la storia di Sindelar finisce improvvisamente. All’alba di un freddo mattino di fine gennaio, il suo corpo viene trovato riverso senza vita nella sua abitazione. Al suo fianco giace moribonda una ragazza, Camilla Castagnoli, italiana conosciuta in ospedale qualche anno prima durante i Mondiali del 1934.

Il campione è morto, quella che si dice fosse la compagna lo raggiunge poco dopo senza aver mai ripreso conoscenza. La causa della morte viene individuata in “avvelenamento da monossido di carbonio”. Le autorità naziste spiegano che il tutto è stato causato dal malfunzionamento della stufa di casa, ma ovviamente i dubbi sono tanti. Non si tarda a scoprire che Camilla era un’ebrea, e si dirà che anche “Der Papierene” aveva parenti ebrei.

Difficile pensare a una disgrazia. Forse lo hanno ucciso; probabilmente si sono “arresi” all’idea che mai avrebbero potuto “possedere” un uomo del genere, né su un campo di calcio né con lo spirito; probabilmente hanno ravvisato in lui il simbolo pericoloso di un’identità nazionale austriaca che andava dimenticata. Lo confermerebbero anche le indagini svolte in maniera confusionaria e sbrigativa, quasi a voler far passare tutto sotto silenzio.

O forse il campione ha scelto egli stesso la morte, come supporrà il poeta Fredrich Torberg nella poesia dedicata al “Mozart del Calcio” che chiamerà “Sulla morte di un calciatore”. Nessuno lo saprà mai. Quello che però tutti ricorderanno, sentendo il nome di Matthias Sindelar, sarà un uomo che fu grandissimo sul campo – il migliore della sua epoca – e ancora più grande fuori dal campo. Ergendosi, lui così esile e scheletrico, contro il Nazismo che aveva invaso il suo Paese.

Una cartavelina, sì, ma che nessuno riuscì mai a piegare.

Un campione mai dimenticato

Sindi, oppure der Papierene – traduzione libera italiana: carta velina – lo chiamavano a Vienna. Aveva, sì, struttura atletica, nel senso che era alto, slanciato e che i suoi lineamenti esprimevano energia e decisione. Ma era magro, secco, asciutto in modo impressionante. Di muscoli non ne aveva, di consistenza non ne mostrava.

Di profilo pareva, piatto, sottile, trasparente, come se – scusate la frase alpina un po’ irriverente che viene in mente – la madre ci si fosse, per errore, seduta su appena nato. A vederlo giuocare, si trasformava. Era il padrone della palla, l’artista della finta. Alla mancanza di fisico sopperiva subito coll’intelligenza. Aveva appreso a smarcarsi in modo magistrale.

Lasciato libero, distribuiva, smistava, dettava temi di attacco, diventava la vera intelligenza della prima linea. Toccato duramente pativa, assumeva quell’atteggiamento da vittima a cui il viso color cartapecora ed il fisico di tipo fragile così ben si prestavano.

E, pur vivendo in una città che i suoi campioni li idolatrava, fu amato come pochi. Uridil, il famoso tank del Rapid, ebbe l’onore di una delle più popolari canzoni di Vienna; Siegl ricevette il nomignolo di Burgmeister, Podestà, ma Sindelar divenne un idolo. Non è morto da eroe questo idolo delle folle danubiane.

Un’ultima “finta”

Pare che strida, che urti col senso morale, il fatto che un uomo ammirato, idolatrato per le sue virtù atletiche ed artistiche, muoia nelle braccia di una donna, o per le meno, per mano od in compagnia di una donna.

Eppure la cosa è così umana, che la folla che lo ha tanto amato gli perdonerà anche questo suo modo di allontanarsi dalla vita. E’ stata l’ultima sua “finta”…

Gli sportivi italiani, che lo hanno a suo tempo ammirato e temuto, i calciatori nostri, che nella conquista del primato mondiale considerarono lo studio per neutralizzare l’opera di “carta velina” come una delle più difficili tappe della loro marcia, si inchinano davanti alla scomparsa dell’uomo in cui non vedono più l’avversario, ma il collega, l’artista, il supremo esponente di una scuola.
Lo salutano commossi” [4]

E sono importanti anche le parole di Angelo Schiavio, uno dei migliori centravanti che il calcio italiano ricordi e rivale del campione in tante partite, che così ne sintetizzò la grandezza.

“Era cresciuto senza scarpe, soffrendo la fame. Era il migliore, e non c’era un perché. Sindelar aveva tutto. Sindelar ERA tutto.”

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NOTE E FONTI:

[1] “Auf den Tod eines Fußballspielers“, di Friedrich Torberg. Liberamente interpretata e tradotta da Eleonora Baldelli, che si è occupata anche dell’editing di questo articolo.

[2] Alfred Polgar, noto critico teatrale austriaco, scrisse un necrologio su Sindelar apparso nel Pariser Tageszeitung. Io l’ho tratto dallo splendido libro di Jonathan Wilson La Piramide Rovesciata“, Libreria dello sport, 2011, pag. 94

[3] P. Mei, “Cartavelina” in “Il primo gol”, Sperling & Kupfer, 2006

[4] Pozzo, Vittorio (1960) “Campioni del Mondo – Quarant’anni di storia del calcio italiano”, Centro Editoriale Nazionale

 

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