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Pionieri del Football: i protagonisti della copertina

Chi ha acquistato il mio libro “Pionieri del Football – Storie di calcio vittoriano 1863-1889” avrà notato che la copertina rappresenta undici calciatori dell’epoca. Non si tratta di ritratti casuali, ma di una sorta di “squadra ideale” di quel periodo, che la bravissima Sarah Fruncillo ha ritratto su mia indicazione. Non si tratta necessariamente dei calciatori più forti di quel periodo, ma senz’altro ho voluto che venissero raffigurati undici tra i più rappresentativi e unici footballer dei primi anni del nostro amato gioco. Ecco chi sono nel dettaglio i protagonisi della copertina.

#01 – William John Herbert “Herby” Arthur

Uno dei primi grandi portieri che la storia del football ricordi, Herby Arthur fu l’estremo difensore del Blackburn Rovers capace di vincere per tre volte consecutive la FA CUP nel 1884, 1885 e 1886.

Nativo di Blackburn, si distingueva per coraggio, eleganza nei movimenti e per un’agilità straordinaria che gli permetteva di respingere numerosi tiri anche scagliati in rapida successione. Fu il caso a portarlo tra i pali, visto che da giovanissimo si era messo in mostra in due squadre locali (Lower Bank Academy e King’s Own) come mediano. Splendido “amateur”, nella vita di tutti i giorni era un agente di commercio.

Nel periodo di maggiore gloria divenne anche il portiere titolare della Nazionale, con cui disputò in tutto 7 gare nel giro di due anni e vinse il Torneo Interbritannico 1885/1886, quindi ebbe un graduale declino che lo portò fuori dal giro dell’Inghilterra.

Rimase a lungo un punto fermo dei Rovers, disputando con loro la prima edizione della Football League e mantenendo il posto in squadra anche negli anni successivi, seppur come riserva.

Arthur è divenuto famoso per due episodi curiosi e controversi.

Il primo fu un tentativo di rapimento di cui fu vittima alla vigilia di un’importante e non meglio specificata gara di FA Cup: un portiere, che volle mantenere l’anonimato ma fu identificato proprio in Arthur, raccontò di essere stato drogato e poi rinchiuso in uno stanzino, da cui evase grazie al coltellino tascabile.

Venne poi fuori che i rapitori avevano scommesso un’ingente cifra sulla gara, e volevano assicurarsi che sarebbe andata come sperato.

Il secondo, decisamente più comico, avvenne in una gara che i Rovers giocarono contro il Burnley sotto un tempo da lupi: sotto per 3-0, con due uomini espulsi in circostanze dubbie, i giocatori di Blackburn rifiutarono di continuare la gara, gesto che portò l’arbitro a farla continuare pure se in campo, per i Rovers, era rimasto il solo Arthur.

Questi però realizzò che tutta la squadra avversaria era automaticamente in fuorigioco, e fu così che la farsa ebbe termine con la sconfitta a tavolino della squadra di Arthur, ultimo ad arrendersi.


#02 – John “Jack” Hunter

Talentuoso centromediano difensivo, John Hunter nasce e cresce a Sheffield, dove alterna il lavoro di macellaio all’hobby del football. Si distingue con le maglie di diverse compagini locali: Providence, Wednesday Club e Sheffield Albion.

La squadra preferita è comunque lo Sheffield Heeley: qui capisce di saperci fare davvero, quando arrivano in rapida successione ben 7 presenze con l’Inghilterra. Purtroppo nessuna di queste gare è fortunata, dato che arriva soltanto una vittoria risicata (3-2 sul Galles) e diverse umiliazioni quali la prima sconfitta di sempre degli inglesi con i gallesi e due pesantissime disfatte (7-2 e 6-1) contro la Scozia.

Hunter cade definitivamente in disgrazia quando, con altri illustri calciatori di Sheffield, forma la compagine dei The Zulus, finti calciatori africani che disputano gare per raccogliere fondi a favore delle famiglie dei soldati morti nella guerra contro il Regno Zulu.

Alcuni ispettori della Football Association scoprono infatti che Hunter e i compagni trattengono per se gran parte della cifra ricavata in ogni gara, e costringono The Zulus a sciogliersi.

Tutte queste apparenti sconfitte in realtà ci raccontano di un uomo clamorosamente avanti coi tempi. Quando The Zulus scompaiono, infatti, il professionismo è alle porte. E c’è di più: se è vero che nelle gare internazionali Hunter ha sempre perso, è altrettanto vero che possiede il dono raro, per un footballer inglese dell’epoca, di imparare dalle sconfitte.

Ha capito che il gioco di passaggi praticato dagli scozzesi è migliore, più redditizio, e ha capito che una sorta di professionismo mascherato è possibile, basta trovare il giusto mecenate.

Lo trova a Blackburn nell’industriale dell’acciaio Sidney Yates, che convince a patrocinare la neonata squadra dell’Olympic. Qui Hunter ricopre il ruolo di centromediano e allenatore, facendo assumere nell’acciaieria di Yates i migliori calciatori del circondario e sfruttando alcuni turni lavorativi per allenarli. Nasce così la squadra che cambierà la storia del calcio, la prima capace di vincere la FA Cup arrivando fuori da Londra.

Il Blackburn Olympic distrugge il vecchio calcio degli “old boys” delle scuole, alza la coppa e sposta la mappa del football da Londra al Lancashire.

Purtroppo per Hunter, però, molte altre squadre copiano lo stile dell’Olympic, e in breve la squadra è in bancarotta. Scompare dopo appena dieci anni dalla nascita, dieci anni in cui però ha saputo cambiare la storia del football come mai prima nessuno era riuscito a fare.

Scomparso l’Olympic, Hunter viene ingaggiato come assistente dai rivali Rovers, quindi torna in panchina tentando di ripetere il miracolo-Olympic guidando un’altra squadra che si brucia in fretta dopo aver stupito tutti, il New Brighton Tower.

All’alba del XX secolo si ammala di tubercolosi e muore nel giro di qualche mese, poco più che cinquantenne. La sua bara viene portata dagli ex-compagni negli Zulus e da alcuni campioni da lui scoperti negli anni.

Figura tanto importante quanto purtroppo sconosciuta nella storia del calcio, Hunter ha reso vincente il 2-3-5 (o “Piramide di Cambridge”), ha saputo sconfiggere il football dei nobili rampolli londinesi, ha previsto il professionismo e inventato il ritiro collegiale prima delle gare più importanti. La sua eredità è dunque immensa, e tutti noi amanti del football dobbiamo qualcosa a questo straordinario personaggio.


#03 – Charles Wreford-Brown

Mentre il calcio cambiava forma, passando da essere un passatempo per fieri e nobili sportivi a uno sport per veri specialisti, una squadra si distaccava da un football che non riconosceva più come proprio per continuare a giocare secondo quello che riteneva “il giusto modo di giocare”.

Il Corinthian Football Club, nato come serbatoio per l’Inghilterra nei primi anni ’80 del XIX secolo, rifiutò sempre di partecipare ai tornei professionistici che presero sempre più campo in Gran Bretagna, limitandosi a frequenti amichevoli e tournée dove spesso e volentieri, nonostante uno stile di gioco che ai più poteva apparire ingenuo, si imponeva contro le migliori squadre dell’epoca.

I tour, inizialmente limitati all’Inghilterra, compresero successivamente l’Europa e quindi il mondo intero: dovunque andava, il Corinthian mostrava come il calcio andasse giocato, quali ne erano i veri valori, e contribuì come nessun club alla diffusione mondiale di questo sport.

Figura portante di questa “squadra di gentiluomini straordinari” – per farne parte bisognava infatti essere puri “amateur” ed aver studiato nelle migliori scuole del Paese – era il difensore Charles Wreford-Brown, tanto combattivo quanto elegante. Sportivo completo, si disimpegnava splendidamente sia nel cricket che nel football, e raggiunse in entrambe le discipline risultati ragguardevoli.

Si dice che a lui si debba l’utilizzo della parola “soccer”, storpiatura della parola “association” utilizzata per indicare il calcio, ed è certo che, smessi i panni del calciatore, sia stato una delle figure chiave per la nascita della Amateur Football Alliance, definitiva separazione tra il calcio dei professionisti e quello a lui caro, formato da puri entusiasti della disciplina.

Wreford-Brown vanta 4 presenze in Nazionale, una di queste da capitano, occasione in cui dispenso sovrane d’oro che teneva in tasca ai compagni professionisti che andavano a segno, un modo tanto scherzoso quanto sprezzante di sottolineare che lui il football lo praticava per pura passione. Con il Corinthian rappresentò in due distinte occasioni l’intera Nazionale inglese, e prese poi parte a tour in Africa, Scandinavia e Nord America.

Appesi gli scarpini al chiodo fu eccellente dirigente, servendo la Football Association come vice-presidente per un decennio e occupandosi del comitato che selezionava i calciatori per l’Inghilterra. Ulteriore dimostrazione della sua mente acuta fu la sua buona carriera come scacchista, durante la quale riuscì a ottenere una patta (pareggio) contro uno dei più grandi giocatori di sempre, il russo Aleksandr Alechin.


#04 – James Henry “Jimmy” Forrest

21 marzo 1885: la gara decisiva per l’assegnazione del British Home Championship tra Inghilterra e Scozia sta per avere inizio quando scoppia un’inedita polemica tra i giocatori scozzesi e l’arbitro.

Questi infatti protestano con il direttore di gara, ravvisando la presenza tra gli avversari di un calciatore che è da ritenersi a tutti gli effetti un professionista, un mercenario dunque non degno di giocare una gara così importante.

Anche se la legalizzazione del professionismo è ormai dietro l’angolo, una volta constatato che il calciatore in questione riceve dal suo club, il Blackburn Rovers, il compenso di una sterlina settimanale, il direttore di gara, l’irlandese John Sinclair, non trova altro modo che accettare l’inedita condizione richiesta dagli scozzesi: se il mercenario ama tanto il suo lavoro, e chi glielo fornisce, allora che giochi con la maglia del suo club, piuttosto che con quella della Nazionale.

È in questo modo che James Forrest entra nella storia del calcio, come il primo calciatore professionista della storia dell’Inghilterra, un disonore che consegna agli annali uno dei centrocampisti più forti e completi della sua epoca.

Figlio di un tessitore di cotone, orfano del padre in giovanissima età, Jimmy Forrest già a 12 anni è il capitano di una squadretta locale, l’Imperial United FC. Da qui passa ad un’altra selezione cittadina, il King’s Own, ma in breve cambia ancora maglia, passando al club con cui giocherà il resto della carriera.

Si tratta del Blackburn Rovers che, sulla spinta del vento rivoluzionario che soffia dal Lancashire – e che è stato ispirato da un’altra compagine di Blackburn, l’Olympic – si appresta a dominare i primi anni del calcio professionistico inglese.

Nel ruolo di mediano destro nel 2-3-5 in voga all’epoca, Forrest è un giocatore straordinario per corsa, dinamismo e qualità tecniche. Sa difendere con precisione, è abile nel lanciare le punte e anche nel proiettarsi egli stesso in avanti alla ricerca del gol. Segna spesso, grazie a perfetti tempi di inserimento e un gran tiro, potente e preciso.

Con i Rovers conquisterà 5 volte la FA Cup, un record condiviso, e sarà per 75 anni il più giovane marcatore di sempre in una finale del torneo più antico del mondo. Con l’Inghilterra disputa 11 gare, lasciando il calcio quando ormai questo è diventato un vero e proprio business e sport di interesse nazionale dopo una stagione conclusiva al Darwen.

Jimmy Forrest rappresenta forse più di chiunque altro la figura del “footballer professionista”, figura ai tempi invisa quanto, oggi lo sappiamo, necessaria per l’evoluzione dello sport più amato del mondo. Non solo: Forrest è stato uno dei più grandi calciatori della sua epoca, uno dei più vincenti della storia e, in quanto nativo di Blackburn, il vero simbolo di una squadra vincente quanto ricca di veri e propri “mercenari del pallone”.

Se i Rovers degli anni ’80 del XIX secolo furono comunque amati dalla folla inglese, gran parte del merito andò a questo straordinario mediano a tutto campo.


#05 – Arthur Fitzgerald Kinnaird, 11° Lord Kinnaird

Di nobili origini e atleta polivalente, tanto da distinguersi con eccellenti risultati nel tennis, nella corsa e nel canottaggio, Arthur Kinnaird scoprì il football intorno ai vent’anni e ne rimase rapito.

È presumibile che ancora mentre studiava, al Trinity College di Cambridge e a Eton, avesse praticato il gioco del calcio, ma è certo che la passione nacque in lui con la maturità, quando decise che quello sarebbe stato lo sport in cui avrebbe lasciato il segno.

Centrocampista a tutto campo, fieramente legato allo stile inglese dei primordi fatto di cariche a testa bassa verso la porta avversaria, anche quando questo modo di giocare divenne desueto continuò a praticarlo con successo, dimostrandosi tanto forte da resistere alla naturale evoluzione del gioco.

Stretta una salda amicizia con Charles Alcock, fondatore della Football Association e creatore degli Wanderers, i primi dominatori del football, ne fu in campo sia fiero avversario che eccellente compagno, e nella vita di tutti i giorni assistette la federazione calcistica come nessuno avrebbe più fatto: fu prima consigliere, quindi tesoriere, infine a lungo presidente della FA, creò gli Old Etonians, organizzò insieme a Alcock le prime sfide internazionali.

In campo fu, forse, il più forte calciatore del XIX secolo: giocò ben 9 finali di FA Cup, trionfando in 5 occasioni, fu bomber, regista, mediano e persino portiere. Kinnaird amava la battaglia, non tirava mai indietro la gamba e non si lamentava mai neanche di fronte alle entrate più dure degli avversari.

Per lui il football era battaglia, si esaltava nello scontro fisico. Amante del calcio degli amateurs, si oppose al professionismo ma da presidente seppe accettarlo, mostrandosi tanto modesto nelle vittorie – fu lui a rinunciare all’assegnazione ufficiale della FA Cup ai suoi Wanderers, assicurandosi che il mito della coppa continuasse – quanto onesto nell’ammettere le sconfitte. Il suo unico limite forse fu quello di snobbare, da presidente della FA, il resto d’Europa che andava organizzandosi e che per lui non meritava attenzione.

Fiero cristiano, fu a vita presidente delle associazioni giovanili cristiane maschili e femminili. Nella vita si dedicò alla gestione dell’impero di famiglia, contribuendo alla fondazione della Barclays Bank.

Prima di Messi, prima di Maradona, prima di Pelé e di tutti gli altri campioni vi fu lui, Lord Arthur Kinnaird, il primo vero campione che la storia del calcio ricordi.


#06 – Fergus “Fergie” Suter

Quando vestì per la prima volta la maglia del Darwen, una squadra del Lancashire che non nascondeva l’ambizione di rivoluzionare il calcio inglese diventandone la nuova forza dominante, il difensore scozzese Fergus Suter divenne il primo calciatore professionista ufficialmente riconosciuto come tale.

In patria, dove si era distinto nel Partick fino a farsi notare dal comitato del Darwen durante un breve tour del club nel nord d’Inghilterra, Suter svolgeva infatti il lavoro di tagliapietre, professione che abbandonò quasi immediatamente dopo il suo sbarco sul suolo inglese.

Le pietre con cui lavoravano in Inghilterra, disse, erano troppo dure e difficilmente lavorabili rispetto a quelle a cui era abituato, ma il sospetto che effettivamente fosse venuto unicamente per giocare a calcio era forte.

Talmente forte che il Darwen protestò ma non fece mai ufficialmente reclamo con la Football Association quando, nel 1880, Suter svestì la maglia del club per indossare quella del più ambizioso e ricco Blackburn Rovers.

Uno sgarbo che fu mal digerito dagli ex-compagni e ancor meno accettato dai vecchi tifosi, che durante un’amichevole tra le due squadre invasero il campo in seguito alla reazione di Suter, stremato dal trattamento duro a lui riservato da quelli che una volta erano i suoi compagni di squadra.

Fergus Suter, difensore polivalente abile a giocare anche in mediana, fu uno dei punti di forza dei Rovers che, dopo il successo “apripista” dei rivali dell’Olympic, spostarono il riferimento del football nazionale da Londra al Lancashire, laddove poi sarebbe salito alla ribalta anche il Preston North End.

Nel giro di cinque anni Suter apparve con i compagni in quattro finali di FA Cup, perdendo nel 1882 e poi vincendo nel 1884, 1885 e 1886. Quando la Football League, il primo campionato professionistico al mondo, fu realtà, Suter aveva più di trent’anni e il meglio lo aveva ovviamente già dato.

Disputò in quel torneo appena una partita, un match contro il West Bromwich Albion dove operò nell’inedito ruolo di portiere al posto dell’infortunato Arthur, quindi si ritirò per occuparsi di un hotel che aveva aperto da poco proprio a Darwen, laddove la sua storia di calciatore professionista aveva avuto inizio.


#07 William “Billy” Mosforth

Anche noto come “The Sheffield Dodger” (“Il furbacchione di Sheffield”), Billy Mosforth nella vita di tutti i giorni era un oste, ma fin da giovanissimo fu noto per il suo enorme talento calcistico, che lo portò a diventare in breve tempo il giocatore più rinomato della città di Sheffield.

Ai tempi in cui Mosforth era un ragazzo (circa 1870) la “Steel City” era ricolma di squadre e partite, e fu in questo contesto fervido che Billy riuscì ad emergere: capace di giocare indipendentemente come interno o come ala, dotato di un sinistro magico e di gran velocità, poteva percorrere l’intera lunghezza del campo senza trovare opposizione e poi, giunto nelle vicinanze dell’area avversaria, colpire con un gran tiro in porta o con un perfetto cross per i compagni.

Nel contesto di Sheffield, dove il football veniva giocato di squadra, Mosforth era considerato un individualista, ma quando venne chiamato a giocare per l’Inghilterra egli stesso si rese conto che i veri individualisti erano i footballer londinesi, che ignorarono a lungo la sua presenza e la sua richiesta di un gioco corale.

Il suo talento fu tale da permettergli comunque di collezionare 9 presenze con l’Inghilterra, un record per i tempi, e di segnare 3 gol, anche se queste avvennero in uno dei periodi più bui per la Nazionale di Sua Maestà la Regina.

Andò meglio a livello di club: pur non raggiungendo mai risultati di rilievo in ambito nazionale, Mosforth fu il vero re di Sheffield e vestì la maglia di praticamente tutte le squadre della città, vendendosi – pur se non ufficialmente – al miglior offerente e consapevole del talento eccezionale di cui era in possesso.

Una volta, a pochi minuti dal calcio d’inizio, svestì la maglia dell’Hallam e indossò quella dello Sheffield Wednesday dopo che un tifoso gli promise 10 pence e bevute gratis.

Giocando con e contro Jack Hunter ne divenne amico, seguendolo nell’avventura dei The Zulus, la squadra di finti africani che apparentemente faceva beneficenza ma in realtà tratteneva grosse somme per se. Scoperto, la squadra disciolta, mentre la Football League aveva inizio e il calcio diventava moderno Mosforth tornò a Sheffield, in città, folleggiando ancora per qualche anno su campi ormai quasi dimenticati.

Con i soldi guadagnati nel football aprì una propria taverna, il Portobello, dove restò fino alla morte avvenuta a 71 anni nel 1929, intorno a lui un calcio profondamente diverso da quello che aveva conosciuto.


#08 – Archibald “Archie” Hunter

La leggenda racconta che l’Aston Villa nacque sotto ad alcuni lampioni nei pressi di un parco di Birmingham, sulle cui panchine quattro giovani membri della locale parrocchia metodista fantasticavano del neonato football finché non nacque in loro l’idea di creare una propria squadra.

La scintilla che trasformò una squadra parrocchiale nel club più vincente dell’epoca del calcio vittoriano venne, come spesso accadeva in quegli anni, dalla vicina Scozia. Da qui arrivò George Ramsay, talentuoso centrocampista che insegnò ai “Villans” il gioco corale, di squadra, tipico delle Highlands.

Fu sempre Ramsay a benedire l’ingresso in squadra del giovane Archibald Hunter, che in campo si posizionò al centro dell’attacco e sostituì il carismatico regista quando questi abbandonò il campo per dirigere il club dalla scrivania.

Archie Hunter non fu soltanto il miglior giocatore di una squadra fortissima, il capitano. Ne fu l’anima, ne fu il trascinatore prima ancora che la squadra diventasse fortissima, fu il protagonista del primo grande trofeo vinto, la FA Cup del 1887 dove “the Old Warhorse” (“Il vecchio cavallo da guerra”) andò a segno in ogni turno.

In finale fu eccezionale la rete che chiuse la sfida contro il West Bromwich Albion, una corsa strepitosa che entusiasmo l’intero pubblico presente, che a fine gara esaltò Hunter, lo abbracciò, ne cantò le gesta insieme allo stesso arbitro – e presidente della FA – Sir Marindin, che disse senza mezzi termini che era la vittoria di tutti, ma forse un po’ più di Hunter.

Rapidissimo, coraggioso, dotato di un tiro secco e implacabile, Hunter aveva tutte le qualità che si possono richiedere al perfetto footballer: modesto di carattere, uomo squadra, capace di servire assist millimetrici, il fisico robusto gli permetteva di sfidare i duri difensori dell’epoca e di rialzarsi dopo ogni fallo ancor più deciso a lasciare il segno.

Una delle stelle della prima edizione della Football League, alla seconda stagione un malore lo colse mentre inseguiva il pallone in una sfida contro l’Everton. Si trattava del cuore, motivo per cui i medici lo costrinsero al ritiro poco più che trentenne. Hunter fu quindi eccellente giornalista e scrittore, ma il destino aveva ormai deciso che breve dovesse essere il suo soggiorno sulla Terra, e nel 1894, ad appena 35 anni, se lo portò via.

L’Aston Villa proprio in quei mesi iniziava a dominare il calcio vittoriano, un dominio che forse mai sarebbe stato possibile senza il grande Archie Hunter, “the Old Warhorse”.


#09 – Tinsley Lindley

Dilettante per scelta, non certo per limiti tecnici, Tinsley Lindley era il figlio benestante di un noto cittadino di Nottingham e da subito mostrò di essere particolarmente abile nella neonata arte del football.

A segno fin da subito, in una stagione arrivò a mettere la firma in ben 85 gol, continuando parallelamente gli studi fino a diventare avvocato, una carriera che lo avrebbe portato anche al ruolo di giudice della Contea di Nottingham una volta appesi gli scarpini al chiodo.

A proposito di scarpini: quelli che indossava Lindley durante le gare, in un’epoca in cui tutti già utilizzavano scarpe con i tacchetti, erano semplici scarpe da corsa, perfettamente usuali e atte a passeggiare nei parchi nella vita di tutti i giorni. Egli sosteneva che quelle “dei professionisti” non si adattassero al suo stile, limitandone scatto e mobilità. Mancino, quasi ambidestro, giocò come centravanti, interno e ala senza mai patire problemi di adattamento.

Negli anni ’80 dell 1800, mentre vestiva la maglia del Corinthian, Lindley fu la stella dell’attacco dell’Inghilterra, segnando ben 14 gol in 13 partite e riuscendo sempre a mantenere il posto mentre intorno a lui esplodevano attaccanti fenomenali. Nonostante le ottime offerte, rifiutò sempre con grande signorilità di diventare un “professional”, rimanendo un “gentleman amateur”, forse addirittura il più grande che il calcio inglese abbia mai conosciuto.

Quando morì il football si dimenticò inspiegabilmente di lui: sepolto in una tomba senza nome, fu riscoperto, e finalmente onorato come meritava, da un tifoso e storico di Nottingham soltanto nel 2013.


#10 – John Goodall

Al termine della prima edizione della Football League il Preston North End si laureava come il primo club campione d’Inghilterra e senza aver subito alcuna sconfitta. La stella di una squadra invincibile, punta di diamante di un attacco stellare, fu John Goodall, soprannominato per la sua completezza in ogni fondamentale “Johnny All Good”.

Nato a Westminster, figlio di un membro dell’esercito britannico che per questo si spostava regolarmente attraverso tutto il Regno Unito, Johnny crebbe a Kilmarnock insieme al fratello Archie, nato invece su suolo irlandese. In Scozia i due fratelli appresero l’arte del football dalla scuola che allora era dominante, uno stile di gioco tanto elegante quanto pratico e vincente.

Questa sua qualità fu del tutto evidente quando i Goodall sbarcarono su suolo inglese alla ricerca di un ingaggio: dopo gli inizi nei pressi di Manchester entrambi furono adocchiati da Billy Sudell, il principale promotore della legalizzazione del professionismo e manager che ambiva a far diventare il suo Preston North End la squadra più forte mai vista.

Sudell non voleva soltanto vincere, ma lasciare un segno, tangibile ed eterno, conquistando trofei dando però anche continue dimostrazioni di classe ed eleganza. E questo fu il Preston North End degli “Invincibles”, una squadra straordinaria che dovunque giocasse vinceva, imponeva il proprio gioco ed esaltava folle sempre più numerose.

Il perno dell’attacco era appunto John Goodall, straordinario finalizzatore ma anche vero e proprio regista avanzato di una squadra fortissima. Nelle frequenti giornate di vena era capace di andare a segno di potenza e in dribbling, da lontano e da vicino, ma mai una volta metteva i propri interessi personali davanti a quelli della squadra.

Se un compagno era meglio piazzato lo serviva con un assist al bacio, se un altro era giù di morale cercava di mandarlo a segno, vero leader di una squadra che presto fu rispettata da tutti, “professionals” e “gentlemen“, tanto che i giocatori del Corinthian sovente dicevano che l’unico professionista che avrebbero mai accettato in squadra era proprio lui.

Al termine della prima stagione vincente Goodall fu il protagonista del primo vero e proprio “calciomercato”, trasferendosi al modesto Derby County per una cifra ingente, un pub e la possibilità di ritrovare il fratello Archie, che nel frattempo aveva lasciato i “Lilywhites” per trovare spazio nell’Aston Villa.

Nonostante uno stile di vita piuttosto sobrio, John Goodall non fu capace di capitalizzare le grandi cifre intascate in carriera, vivendo una volta appesi gli scarpini al chiodo una vita abbastanza modesta e con frequenti tentativi di rilancio: giocò fin quasi ai cinquant’anni, pioniere del calcio in Francia.

Con la Nazionale segnò 12 reti in 14 gare, agendo grazie alla sua completezza sia come centravanti di manovra che come interno, e tenne a battesimo sia per l’Inghilterra che per il Derby County il grande Steve Bloomer, che in seguito avrebbe detto che mai più un uomo avrebbe potuto raggiungere i livelli di abilità e conoscenza della materia raggiunti da “Johnny All Good“, la prima vera stella del campionato di calcio inglese.


#11 – William Isiah “Billy” Basset

24 marzo 1888: la folla che si è radunata al Kennington Oval di Londra per assistere alla finale numero 17 della FA Cup ha le idee molto chiare su quale sarà l’esito della gara che sta per cominciare. Nonostante il West Bromwich Albion sia già arrivato in finale nelle due precedenti edizioni, perdendo la gara decisiva, i pronostici sono largamente a favore del Preston North End, la squadra che si appresta a scrivere la storia del football inglese e che Billy Sudell ha costruito con calma, mattone su mattone, mettendo insieme i più grandi professionisti disponibili.

90 minuti dopo, a sorpresa, sono invece i “Baggies” di West Bromwich ad alzare il trofeo, seconda squadra nella storia – dopo il Blackburn Olympic – a farlo dopo aver giocato con soli giocatori inglesi. E se le reti del 2-1 decisivo portano la firma di capitan Bayliss e di Woodhall, l’uomo della partita è senza alcun dubbio il giovanissimo e minuto Billy Basset.

Alto poco più di 160 centimetri, si è fatto notare giovanissimo in alcune squadre locali e il giorno della finale ha appena 19 anni. Ala destra, è rapidissimo nella corsa e soprattutto capace di repentini cambi di direzione che disorientano persino colui che è considerato il miglior difensore del mondo, Nick Ross, capitano del Preston North End. Ha ispirato i gol, ha spaccato in due la difesa della più forte squadra in circolazione: è nata una stella.

Nel corso dei suoi 13 anni al West Bromwich Albion come calciatore Basset, che era già nel team sconfitto all’ultimo tuffo nel 1887 ma era stato autore di una prestazione anonima, alza al cielo la FA Cup del 1888 e del 1892 e collezionerà oltre 300 presenze con l’unica squadra della sua vita, calcistica e non.

Considerato in breve tempo la migliore ala destra del Paese, sarà a lungo punto fermo dell’Inghilterra, giocando con la Nazionale 18 gare e andando a segno 6 volte: tanti sono anche i gol che segna nel club, grazie ad un tiro preciso e a una grande capacità d’inserimento.

Appesi gli scarpini al chiodo Basset diventa prima direttore del club e poi presidente, salvandolo in diverse occasioni dalla bancarotta. Rimane legato al club fino alla morte, che giunge improvvisa nell’aprile del 1937, all’età di 68 anni.

Quando lascia questo mondo, Billy Basset ha servito il West Bromwich Albion per oltre mezzo secolo, è stato il protagonista delle prime vittorie e poi, da presidente, ha permesso al club di continuare ad esistere.

Per questo motivo questo straordinario campione, quest’uomo eccezionale, non potrà mai essere dimenticato dai suoi tifosi e da nessun appassionato del football e dei suoi autentici valori.


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