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La prima volta dell’Isola di Pasqua

Miguel Ángel Gamboa, nella vita, ne aveva viste davvero tante. Attaccante di buon livello in uno dei periodi forse peggiori nella storia del calcio cileno – fu nella spedizione che partecipò ai Mondiali di Spagna del 1982 – in patria era arrivato a vestire le maglie di Colo Colo e Universidad de Chile ma era in Messico che si era ritagliato uno spazio importante, giocando con Tecos, Club América e Deportivo Neza.

Appesi gli scarpini al chiodo mai avrebbe pensato di allenare, né tanto meno di ritrovarsi a farlo dove sbarcò nell’estate del 2009, autentico pioniere in uno dei Paesi più singolari del mondo: l’Isola di Pasqua.

L’incredibile storia del CF Rapa Nui

Qui una volta viveva una fiera popolazione locale, che tra il 1500 e il 1600 era arrivata a contare 15.000 anime, prima che la spietata colonizzazione europea distruggesse quasi del tutto la storia dell’isola. Annessa al Cile, parte della regione di Valparaíso, l’Isola di Pasqua è oggi tutt’altro che un paradiso terrestre. Bei panorami non mancano – soprattutto quando si tratta di vedere dal vivo i moai, le colossali “teste di pietra” costruite in tempi più che remoti – ma in compenso a mancare sono molte infrastrutture basilari.

E più in generale gli isolani, che nell’ultimo censimento del 2006 erano poco meno di 5.000 (a fine ‘800 erano arrivati a superare di poco il centinaio) patiscono un forte isolamento dalla terra ferma. Sono pochi i voli che collegano Rapa Nui (nome originario dell’isola) al resto del mondo, e poco del resto l’Isola di Pasqua ha da offrire ai visitatori. Oltre ai moai esiste una sola spiaggia sabbiosa, Playa Anakena, e poco altro. Problemi certo di non poco conto, ma qui si parla di calcio e storia: e la domanda che tutti gli appassionati si faranno è la stessa che si fece Gamboa quando sbarcò qui nell’estate del 2009: il pallone è arrivato fino a qui?

Moai contro Robinson Crusoe

La risposta è – naturalmente – negativa. Qualche rudimento dal Cile è senz’altro giunto fin sull’isola, più per curiosità che per vera volontà di divulgare la disciplina, ma fino al giugno del 1996 non è chiaramente mai esistito né un campionato locale né una rappresentativa organizzata.

Mentre il primo è arrivato con la formazione di sei squadre amatoriali, il secondo obbiettivo – la creazione di una sorta di Nazionale – viene raggiunto appunto a metà anni ’90, quando l’Isola di Pasqua fa il suo storico esordio affrontando in trasferta la selezione delle Isole Juan Fernandez e tornando a casa con una roboante vittoria per 5-3. La nascita di un movimento?

Tutt’altro. L’avversario prima di tutto è quello che è, un’isola anch’essa al suo esordio assoluto e che può contare su poco più di 500 abitanti, e poi l’eco della storica gara è talmente basso da far si che in pratica tutto termini lì. Ci vogliono ben quattro anni perché il CF Rapa Nui, adesso organizzato come un vero e proprio – seppur amatoriale – club calcistico, torni a giocare.

Siamo nel settembre del 2000, i volenterosi quanto dilettantistici isolani se la vedono ancora contro Juan Fernandez, che nel frattempo ha abbandonato il progetto calcistico ancor più di quanto non abbiano fatto i nostri eroi: il risultato finale di 15-0 la dice lunga sulla preparazione degli abitanti dell’Isola Robinson Crusoe, così chiamata perché fu teatro delle avventure del marinaio scozzese Alexander Selkirk che ispirarono poi il famoso romanzo a Daniel Defoe.

La selezione della squadra

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Nel 2009, però, la storia cambia. Il CF Rapa Nui viene invitato a partecipare come ospite suggestivo e pittoresco alla Coppa del Cile: entrerà in scena al quarto turno, e l’intenzione di tutti è quella di fare bella figura. In un sorteggio che forse è in parte pilotato emerge che a raggiungere l’isola, con un volo della durata di ben cinque ore, sarà nientemeno che il Colo Colo, la squadra più forte e rappresentativa del calcio cileno.

Si tratta, ovviamente, di una gara dall’esito scontato, e che servirà soltanto a scopo integrativo e promozionale, tuttavia l’intenzione degli isolani è quella di mostrare al governo cileno che il calcio può esistere anche qui, nella terra che un tempo fu la culla di una civiltà forte e fiera. L’allenatore-CT Gamboa, come prima cosa, deve scegliere i giocatori: undici più qualche riserva, impresa quasi impossibile visto che sono pochissimi quelli che hanno calciato un pallone e sono anche capaci di correre per 90 minuti. E nessuno di questi ha mai giocato una gara ufficiale.

Così il coraggioso pioniere seleziona prima di tutto chi ha determinati requisiti atletici, cercando poi in poco più di un mese di insegnare anche i rudimenti del calcio: non soltanto le astuzie dei professionisti, ma anche concetti più basilari quali l’organizzazione tattica e le regole del gioco, e possiamo soltanto immaginare quanto vasto sia il lavoro che si trova ad affrontare. Alla fine, però, la volontà è la cosa più importante: come racconterà in un articolo apparso su FIFA.com “non sono abituati ad allenarsi, ma sono in buone condizioni fisiche e molto entusiasti. Naturalmente non abbiamo calciatori professionisti, ma costruttori di barche, contadini, pescatori e danzatori.”

La partita del secolo

E ancora: “I miei giocatori non sanno cosa vuol dire giocare contro una squadra vera, e ho paura che la differenza tra le squadre sarà evidente. Ma siamo preparati, e certo non ci arrenderemo senza lottare.” I punti di forza del CF Rapa Nui, a sentire Gamboa, saranno il centrocampista trentenne Roberto Pena, le punte Petero Avaka e Edgardo Pastèn e il talentuoso Jovino Tuki, che da giovanissimo era riuscito a farsi notare da due club minori cileni: un bel potenziale, avevano detto entrambi, ma puntarci significava investire soldi per portarlo sulla terraferma. Soldi che naturalmente a quei livelli sono quasi inesistenti e che hanno quindi trasformato il sogno del ragazzo in un nulla di fatto.

Pazienza: Tuki è rimasto sull’Isola, e i rimpianti sono stati sostituiti dalla ferma volontà di dare ad altri, alle generazioni future, quelle opportunità che lui non ha avuto. Oltre ad essere uno dei punti di forza del club-Nazionale, infatti, Tuki è forse più di tutti il responsabile dell’invito ottenuto dalla federcalcio cilena, reso possibile dal desiderio di Canale 13, tv cilena giunta sull’isola con il chiaro intento di realizzare un suggestivo reportage da mandare in onda in diretta nazionale. Insomma, tutto molto bello, ma poi bisogna giocare: potranno mai i malmessi isolani reggere l’urto dei campionissimi del Colo Colo senza rimediare una figuraccia?

L’Isola di Pasqua contro il Colo Colo

Si gioca all’Estadio de Hanga Roa, edificato nel 1950 e capace di contenere fino a 3,000 spettatori, praticamente l’intera popolazione dell’isola. Edificato nel 1950, va detto, ma poi mai utilizzato e abbandonato a se stesso, al punto che il terreno che i campioni professionisti del Colo Colo si trovano a calcare è in condizioni pietose, pieno di buche e avvallamenti e con la parte centrale – quella che va da porta a porta – spelacchiata e raffazzonata alla bell’e meglio.

Dalla spiaggia vicina (Hanga Roa, che è la capitale dell’isola, in linguaggio locale significa “Grande Baia”) arriva un vento fortissimo che disturba gli ospiti più di quanto gli spaventi l’hoko, pittoresca danza tribale che i nativi utilizzavano prima di andare in guerra e che viene naturalmente riproposta in campo prima del fischio d’inizio.

L’equilibrio dura mezz’ora, il tempo di vedere che i giocatori del Rapa Nui hanno preso davvero sul serio l’impegno: corrono, lottano, si difendono e ogni tanto regalano anche qualche perla grazie soprattutto all’esperto idolo locale Miguel Guzman. 35 anni, virtuoso della tecnica, ha iniziato a giocare con un sacco pieno di calzini, prima di darsi alla musica e alla danza.

Una gara senza storia soltanto sul campo

Al trentesimo minuto, però, prese le misure del campo semi-impraticabile e del vento che spira fortissimo modificando notevolmente le traiettorie del pallone, il Colo Colo passa in vantaggio: su calcio d’angolo ospite Javier Pevez, difensore locale, devia disgraziatamente il pallone alle spalle del proprio portiere. Due minuti dopo ecco il 2-0 a firma di Cristian Bogado, abile a concludere in porta una travolgente azione partita dalla sinistra senza che nessuno dei 4-5 giocatori che cercano di fermarlo riesca nell’intento.

È ancora Bogado a segnare il 3 a 0 intorno al 60° minuto, sfruttando stavolta un cross basso giunto dalla destra: il Colo Colo affonda, Rapa Nui non riesce a ripartire ma tutto sommato tiene botta, sostenuto dall’intera isola che si è riversata allo stadio per questo storico appuntamento. Araos chiude una gara che a dire la verità non è mai stata aperta con un rigore al 69′, per un 4-0 finale che comunque è tutt’altro che una sconfitta per gli entusiasti abitanti dell’Isola di Pasqua.

Le conseguenze della sfida

Grazie al calcio, infatti, isolani e cileni si sono potuti incontrare, unire, essere per 90 minuti una cosa sola come in realtà non accade quasi mai, pur essendo entrambi i popoli parte di un’unica nazione. Questa sfida, inoltre, darà il via alla nascita nel 2012 del Campeonato nacional de fútbol de Pueblos Originarios, il torneo che vede scontrarsi i dieci popoli che vivevano in Cile prima dell’avvento degli europei e che nella sua prima edizione vede proprio il popolo di Rapa Nui vincere superando i Mapuche in gare che niente avrebbero avuto da invidiare a quelle raccontate da Osvaldo Soriano ne “Il figlio di Butch Cassidy”.

Partite sentitissime, concluse sempre con punteggi roboanti figli dell’entusiasmo e di quell’allegria contagiosa che calciare un pallone può dare e che a volte aiuta a dimenticare, oltre che a come ci si difende, anche molte asprezze. Un’allegria che nasce grazie a Canal 13, al CF Rapa Nui, al Colo Colo e a Jovino Tuki, il campioncino scartato in quanto isolano, che a fine gara aveva detto di sognare l’approdo di un ragazzo dell’Isola di Pasqua nel calcio dei grandi. Ancora non è successo, ma sognare è lecito, e come dimostra “la partita del secolo” giocata da Jovino e compagni nel 2009 a volte i sogni si realizzano.


SITOGRAFIA:

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