Premi "Invio" per passare al contenuto

Tag: anni ’20

Viareggio, il foot-ball e le “giornate rosse” del 1920

Molto spesso si tende a credere che il calcio degli albori fosse pratica più genuina e meno esasperata dalle masse di quanto accade ai giorni nostri. Ciò è vero in parte: la storia ci insegna che anche molto prima dell’avvento del professionismo, e in partite in cui la posta in palio era quasi esclusivamente l’onore campanilistico, non mancarono episodi di violenza eclatanti.

Il primo di questi fu senza dubbio quello delle “giornate rosse” di Viareggio, che nel maggio del 1920 vide la città toscana insorgere contro lo Stato. La causa? Una partita di calcio, un “derby” con i vicini rivali della Lucchese.

Lascia un commento

Herbert Chapman, l’inventore del Sistema

Da sempre tra l’Inghilterra e il resto del mondo, calcisticamente parlando, esiste una differenza fondamentale che risiede nella figura di chi siede in panchina: mentre in ogni parte del pianeta si parla di allenatore, nel Paese che ha dato vita al football questo ruolo viene chiamato manager.

La differenza non risiede soltanto nel nome, naturalmente, ma nello stesso ruolo che questi ricopre: mentre infatti l’allenatore ha il compito di mettere in campo nel modo migliore i giocatori che la società gli mette a disposizione, potendo al massimo dare qualche suggerimento ai vari direttori sportivi, nel Regno Unito il manager si occupa di tutto quel che riguarda la squadra, dall’allenamento al calciomercato, dai rinnovi contrattuali alla parte tattica.

Si potrebbe dire che è così da sempre, ma il primo degno di essere chiamato in questo modo fu un allenatore leggendario capace di vincere due campionati consecutivi con l’Huddersfield Town per poi, nel momento di maggior successo, spostarsi a Londra per far diventare l’Arsenal la superpotenza calcistica che oggi tutti conosciamo.

Quest’uomo, una delle figure più importanti nella storia del calcio, rispondeva al nome di Herbert Chapman, il primo vero manager che il football ricordi.

3 commenti

Ferenc Plattkó, baluardo insuperabile del Barcelona

All’inizio degli anni ’20 il Barcellona è già una delle squadre più forti di Spagna: campione incontrastato del campionato della Catalogna, pur potendo contare su campioni affermati come Paulino Alcántara, Josep Samitier e Félix Sesúmaga è stato da poco privato del suo giovane ma già fortissimo portiere, Ricardo Zamora.

El Divino infatti ha cominciato a fare le bizze, chiedendo molti soldi e sbandierando un’offerta dell’Espanyol, squadra dov’è cresciuto e dove intende tornare. Nonostante un anno di squalifica ce la farà, e così i blaugrana devono trovarsi un nuovo guardiano dei pali: la scelta ricade alla fine sul possente ungherese Ferenc Plattkó.

1 commento

Paulino Alcántara, la prima stella del Barcelona

Quando lasciò questo mondo, il 13 febbraio del 1964 all’età di 67 anni, Barcelona lo pianse come un figlio e come un eroe nonostante la sua fosse stata una vita con moltissimi lati oscuri.

Abissi in cui era sprofondato una volta appesi gli scarpini al chiodo, quando quello che una volta era l’eroe del “Camp de Les Corts” – “casa” del Barcelona prima del Camp Nou – si era ritrovato ad essere un fedele servitore di Francisco Franco, il “Generalissimo” che dominò la Spagna dal 1939 fino al 1975, anno della sua morte.

Prima di arruolarsi al servizio di Franco, prima di partecipare attivamente alla Guerra Civile Spagnola insieme al battaglione fascista Flechas NegrasPaulino Alcántara era stato un calciatore, il migliore mai visto in un campo spagnolo.

Un attaccante straordinario che univa tecnica e potenza a una ferocia caratteriale senza pari, quella che gli permetteva di scontrarsi con difensori molto più grandi di lui senza alcuna paura e di calciare con violenza inaudita – e con immancabile, chirurgica, precisione – il pallone in fondo alla rete.

2 commenti

Grigio, granata e azzurro: omaggio a Baloncieri, il primo mito

23 aprile 1944: è uno strano campionato quello che si gioca in un’Italia che va via via liberandosi del regime fascista. Due giorni prima è nato ufficialmente il Governo Badoglio, ma mentre l’attenzione degli italiani è interessata a tutt’altre questioni il calcio deve andare avanti: così ha voluto la FIGC e così i giocatori si sono adeguati, anche se ovviamente gli inconvenienti non mancano.

Ad esempio, quel 23 aprile, l’Alessandria si trova sul campo del Torino ma l’arbitro non può fischiare il calcio d’inizio tra i “grigi” ospiti e lo squadrone che sta cominciando un ciclo di vittorie che terminerà soltanto con lo schianto di Superga: manca un giocatore ospite, ed è così che per evitare che i suoi perdano la partita a tavolino l’allenatore alessandrino decide di scendere in campo.

Sebbene si sia ritirato molti anni prima i tifosi di entrambe le squadre sanno bene chi sia, visto che è stato idolo di entrambe le squadre e uno dei migliori calciatori italiani di sempre: il suo nome è Adolfo Baloncieri, il primo mito del nostro calcio.

3 commenti

Virgilio Felice Levratto, “lo sfondareti”

Che anno unico e irripetibile fu il 1922 per il calcio italiano! Mentre la misconosciuta Novese, superando la Sampierdanerese dopo uno spareggio finale, conquistava il titolo di Campione d’Italia in un torneo orfano di tutte le grandi realtà calcistiche dell’epoca – che in polemica con la FIGC avevano disputato un proprio campionato – viene disputata anche la prima edizione della Coppa Italia, trofeo che viene alzato per la prima volta al cielo dal Vado, piccola società ligure militante in Promozione, uno dei gironi del secondo livello calcistico di allora.

Lascia un commento

Julio Libonatti, il primo oriundo

Quel mattino di gennaio del 1938, al porto che da Genova lo avrebbe riportato in Argentina, Julio Libonatti guardò per l’ultima volta il Paese che era stato dei suoi avi e in cui lui era tornato come campione di “Foot-Ball”.

Così era ancora chiamato il calcio in Italia, quando il giovane centravanti argentino vi aveva messo per la prima volta piede. Da quel giorno molte cose erano cambiate: l’ascesa al potere del Fascismo aveva trasformato il Paese e infine anche il gioco stesso, facendo diventare l’Italia una compagine prima rispettata e poi temuta.

Gli azzurri, nel momento in cui Libonatti fissava per l’ultima volta il mare di Genova, erano diventati i più forti al mondo. Campioni, in casa, nel contestato Mondiale del 1934.

Pochi mesi dopo si sarebbero confermati in Francia, spazzando via le malelingue che avevano parlato di una vittoria, quella di quattro anni prima, politica. Voluta e ottenuta con la forza dal Duce.

No, gli Azzurri erano ormai una vera e propria forza. Merito anche dei tanti oriundi, gli argentini “di ritorno” in Italia, naturalizzati per fare la differenza in campo con la Nazionale. Campioni come Raimundo Orsi, Luisito Monti, Enrique Guaita, Michele Andreolo, talenti determinanti che avevano dato la svolta al calcio italiano. Il capostipite dei quali, indiscutibilmente, era stato lui, Julio Libonatti da Rosario, stella del Torino.

2 commenti

Américo Tesoriere

Nella vita avrebbe potuto essere un poeta, uno scrittore. Il suo animo sensibile lo portò in effetti a prendere foglio e penna in mano, ma questo giunto ai trent’anni, quando improvvisamente concluse una carriera, quella del portiere di calcio, che lo aveva portato alle più alte vette e che gli ha regalato memoria eterna.

Il suo nome era Américo Tesoriere, ed è stato il più grande portiere di sempre in Argentina.

Lascia un commento

Leopoldo Conti, il campione rubato

Nell’epoca pionieristica del calcio italiano, uno dei primi “trasferimenti” capaci di generare scalpore in tutta la città avvenne a Milano. Il protagonista fu un ragazzo appena maggiorenne, letteralmente rapito sul campo e tenuto “prigioniero” fino a quando non fu ufficializzato il suo trasferimento, per molti il primo vero trasferimento in Italia. Il suo nome era Leopoldo Conti, e si apprestava a diventare uno dei primi eroi nella storia dell’Inter.

Lascia un commento

Carlo Bigatto, sigarette e Juventus

In un calcio italiano che stava rapidamente cambiando il proprio volto, e in una Juventus che stava finalmente scoprendo il proprio destino – diventare la squadra più vincente d’Italia – Carlo Bigatto fu uno dei più grandi protagonisti, simbolo di passaggio dal calcio dei pionieri e dei dilettanti a quello dei professionisti protagonisti dei grandi stadi in tutto il Paese.

Lascia un commento

Rafael Moreno Aranzadi, “Pichichi”

Il “Trofeo Pichichi” è un trofeo che il quotidiano sportivo spagnolo Marca assegna ogni anno al miglior marcatore della prime due divisioni del campionato spagnolo; e si chiama così in omaggio al primo grande goleador del calcio iberico: Rafael Moreno Aranzadi, soprannominato appunto Pichichi per via delle sue dimensioni ridotte.

Aranzadi era infatti alto appena 154 centimetri, ma questo non gli impedì di essere un gigante delle aree di rigore, terrore di ogni difesa.

Lascia un commento

Josef Uridil, “der Tank”, primo idolo delle folle viennesi

Il fatto che il nome di Josef “Pepi” Uridil non sia noto alla stragrande maggioranza di chi studia, scrive o anche semplicemente ama il calcio è indicativo di come questo nostro amato sport necessiti di conservare e raccontare le storie che lo hanno reso grande, perché del football dei primi anni in Europa Uridil fu uno dei più grandi fuoriclasse.

Lascia un commento
error: Content is protected !!