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Tag: tragedie

Roberto Chery, il portiere-poeta maledetto

Il Brasile adottò i colori attuali, dove spicca il giallo-oro, dopo la disfatta del “Maracanazo” ai Mondiali del 1950. Fino ad allora aveva vestito il bianco oppure il blu, mai ufficialmente il giallo.

Eppure una gara in cui la Seleção indossò la maglia gialla c’è stata: accadde nel 1919, il giallo (insieme al nero) era quello del Peñarol.

Ancora più curioso che la squadra avversaria, l’Argentina, indossasse la maglia “celeste” degli odiati rivali dell’Uruguay.

Le due Nazionali si sfidarono per l’inedito “Trofeo Roberto Chery”, la partita finì 3 a 3 tra applausi unanimi e grandi abbracci, il trofeo andò al Peñarol e l’incasso alla famiglia di tale Roberto Chery, scomparso il giorno precedente. Ma cos’era successo? E chi fu Roberto Chery?

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L’ultimo tè di Jimmy Main

Era stata una partita davvero sfortunata, quella che l’Hibernian aveva giocato il giorno di Natale del 1909 al nuovissimo Firhill Park di Glasgow: ospiti del Partick Thistle, gli Hibs, nonostante il gol del vantaggio firmato da John Sharp, si erano dovuti piegare di fronte al veemente ritorno dei padroni di casa, capaci di imporsi per 3-1 in rimonta.

Non era stata una semplice partita, ma quasi una tortura. Novanta minuti spesi a correre su un campo sabbioso e ghiacciato, che rendeva ogni movimento faticoso e incerto, ogni slancio atletico non esente da rischi. Eppure l’atmosfera non era del tutto negativa negli spogliatoi ospiti immediatamente dopo la gara. I giocatori si erano come sempre presi un bel tè ristoratore, e tra essi figurava anche il neo-capitano Jimmy Main.

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“Astle is the King”: la storia di Jeff Astle, il Re di West Bromwich

“Astle is the king!
Astle is the king!
The Brummie Road will sing this song,
Astle is the king!”

Non sono pochi i tifosi inglesi che rimpiangono i “bei vecchi tempi di una volta”. Quelli in cui il campionato organizzato dalla Football Association non aveva i milioni e gli sponsor di adesso, i i ricchi contratti TV, i campioni patinati. Può sembrare paradossale a prima vista, eppure la Premier League di oggi, cioè il torneo più ricco e seguito al mondo, ha generato in tanti tifosi un insopprimibile senso di smarrimento e nostalgia.

Per cercare le emozioni di un tempo è necessario guardare lontano dalle moderne capitali del pallone come Londra, Manchester, Liverpool. Il football inglese, oggi, giocoforza non può più raccontare le storie di calcio e di uomini che raccontava un tempo. Storie magiche, e tragiche, come ad esempio quella di Jeff Astle, il Re di West Bromwich nei ruggenti anni ’60.

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Carlo Castellani, l’eroe di Empoli scomparso a Mauthausen

Il 3 dicembre 2011 è una data da ricordare nella storia dell’Empoli, club che rappresenta un piccolo comune in provincia di Firenze e nella storia del calcio italiano ha già scritto alcune pagine molto interessanti. Nella sfida con l’Ascoli valida per il campionato di Serie B, dopo appena 4 minuti di gioco, Francesco Tavano porta in vantaggio i toscani e diventa il nuovo miglior marcatore all time del club. Prende il posto di Carlo Castellani, a cui è intitolato proprio lo stadio di Empoli.

Niente però potrà cancellare il ricordo di chi sia stato quest’ultimo per tutta la comunità empolese. Tra i primi calciatori toscani di rilievo, Castellani era stato in assoluto il primo eroe calcistico di Empoli, e al termine della carriera si era prodigato per salvare il club in crisi economica prima di trovare una tragica fine nell’inferno del campo di sterminio di Mauthausen.

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Valerij Voronin, il campione che morì due volte

Sugli splendori e le miserie del calcio sovietico si potrebbe scrivere un libro intero – e qualcuno lo ha fatto del resto: come è sempre accaduto il potere sfruttò lo sport come straordinario mezzo di propaganda, interna e internazionale, raggiungendo i propri obiettivi grazie a straordinari atleti come ad esempio Lev Jasin, considerato dagli storici il miglior portiere al mondo e unico capace di conquistare il Pallone d’Oro fino a oggi.

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Milutin Ivković, l’eroe serbo che diede un calcio al Nazismo

6 maggio del 1943. Quando scese in campo per l’ultima partita, per far contenti gli amici, non poteva sapere che la fine era dietro l’angolo: appena due settimane dopo quell’ultima gara, Milutin Ivković sarebbe morto fucilato dai nazisti che avevano invaso il suo Paese, lasciandosi alle spalle una vera e propria leggenda. Era stato tra quei calciatori che avevano partecipato alla prima edizione della Coppa del Mondo, il primo europeo mai nominato in una formazione ideale dei Mondiali. Era uno dei migliori difensori d’Europa dell’epoca. Ed era, prima di tutto, un vero patriota.

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1° luglio 1916: partita contro la morte sul fiume Somme

Nella sua breve vita Wilfred Nevill fu molte cose: fiore all’occhiello del college di Dover, era studente modello, capoclasse, capitano della squadra di cricket e giocatore titolare delle rappresentative di rugby, hockey, oltre ad essere una stella dell’atletica leggera dell’istituto.

Eppure, nonostante del calcio fosse soltanto un semplice tifoso, è proprio attraverso questo sport che il nome di questo giovane capitano dell’Esercito Britannico, morto in guerra a due settimane dal suo 22° compleanno, è entrato nella storia.

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Archie Hunter, il primo vero eroe del football

“Archie Hunter fu un principe del dribbling. Non era un atto insolito per lui partire da metà campo e superare in dribbling l’intera squadra avversaria!

Non si sarebbe liberato del pallone fino a quando non lo avrebbe letteralmente accompagnato in mezzo ai pali”.

(“Association Football and the men who made it”, 1906)

Si mormora che sul letto di morte abbia espresso un ultimo singolare desiderio: quello di essere sollevato dal letto per osservare dalla finestra lo spettacolo di una folla sul punto di dirigersi al “Perry Barr”, lo stadio della sua squadra del cuore. E che solo allora sia spirato. Pochi minuti o poche ore dopo non è dato saperlo, considerato che l’episodio risale alla fine del 1800, e tutto ciò che possiamo ricostruire sul calcio dell’epoca rimane sospeso fra mito e realtà.

Di certo possiamo attestare che a morire in quella fredda sera di fine novembre del 1894 nella sua casa di Aston, a Birmingham, fu una delle prime leggende della storia del football inglese, uno dei primi eroi, quindi, della storia del calcio mondiale. Il suo nome era Archie Hunter.

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Moacir Barbosa, cinquant’anni di solitudine

Il 7 aprile del 2000 lasciava questa terra un campione, che in pochi avevano riconosciuto come tale e che dentro, ormai, era morto da tempo. Un calciatore che aveva visto tutti i successi accumulati in carriera cancellati da un unico, fatale, errore, e che da allora era stato dimenticato dai propri connazionali, dal proprio calcio.

Un calcio, quello brasiliano, che è sinonimo di allegria e che invece un tragico pomeriggio del 1950 diventò tragedia. Maracanaço lo chiamarono in Brasile, “la disfatta del Maracanà”: il colpevole, l’unico imputato del lutto che colpì un Paese intero, fu lui. Moacir Barbosa Nascimento, condannato all’oblio eterno.

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Matthias Sindelar, la “Cartavelina” che il Nazismo non riuscì a piegare

“Giocava a calcio, e non seppe
della vita molto altro.
Visse, perché doveva vivere
di calcio e per il calcio” [1]

A vederlo fuori dal campo nessuno avrebbe mai pensato che fosse uno sportivo: alto, scheletrico, il volto infossato dava risalto a un bel paio d’occhi azzurri che sembravano finiti lì quasi per caso. Se ti mostrava il fianco quasi scompariva, tanto breve era la distanza tra la schiena e il petto, quella fragile intercapedine in cui sono contenuti il cuore e tutti gli altri organi vitali.

Se però nei dintorni c’era un pallone, potevi stare tranquillo che ti saresti inaspettatamente ricreduto. Perché quell’uomo dall’aspetto così bizzarro era, semplicemente, il più forte calciatore al mondo. Lo chiamavano “Der Papierene”, “Cartavelina”, per via del suo aspetto fisico. O anche “Il Mozart del Calcio”, per il fatto di essere austriaco e di aver saputo fare con un pallone quello che il grande Amadeus ha fatto con la musica.

Incantare.

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Il tragico destino di John Thomson, il “Principe dei portieri”

A guardarlo bene, quel ragazzino che lavorava in miniera non aveva certo il fisico di un portiere. Eppure qualcuno lo definiva un fenomeno, una cosa mai vista. Del resto Steve Callaghan, scout per conto del Celtic Glasgow, era giunto in quel piccolo paesino di minatori vicino a Fife esclusivamente per accertarsi che tutte le meraviglie che si dicevano su di lui fossero vere.

Lo aveva visto ergersi sopra a tutti in una partita di poco conto quando il Wellesley Juniors aveva affrontato il Denbeath Star. Quel ragazzino di soli 17 anni, che al termine della gara firmò per la squadra più importante di tutta la Scozia, era John Thomson. Qualcuno pensava che sarebbe diventato un campione, ma nessuno poteva immaginare che sarebbe diventato una leggenda del calcio.

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Jimmy Thorpe, il martire dei portieri

Entrato nel Sunderland ad appena 17 anni, nel 1930, Jimmy Thorpe era un promettente portiere che dopo un paio di stagioni era riuscito a imporsi come titolare in una delle squadre più forti nel calcio inglese dell’epoca. Dopo la gloria dei 5 campionati conquistati tra il 1892 e il 1902, i Black Cats erano riusciti a ripetersi soltanto in un’occasione nei successivi 30 anni. Ma anche grazie al loro giovane guardiano dei pali le cose erano finalmente tornate a funzionare.

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