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TOP 11: i calciatori più cattivi di sempre

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Nel calcio, da sempre, servono un mix di qualità per emergere. C’è chi ha tecnica, chi ha fisicità, chi ha carattere. I grandi campioni hanno tutte queste qualità riunite.

Ma c’è un altra qualità che può farti arrivare in alto, una che nella vita di tutti i giorni potrebbe causare guai ma che all’interno del rettangolo di gioco può fare la differenza. Essere cattivi.

Perché questa caratteristica può risultare determinante quanto e più le altre per arrivare ad una vittoria, e perché ogni grande squadra ha avuto il suo “duro”, l’uomo che si prende il “lavoro sporco” mentre i compagni più talentuosi pensano a vincere la gara.

Perché, piaccia o non piaccia, la cattiveria all’interno del rettangolo di gioco (e non solo) è sempre stata una parte importante nel gioco del calcio e sempre lo sarà.

Ecco quindi la classifica dei calciatori più cattivi di sempre, naturalmente secondo la mia modesta opinione.

#11 – Emanuel POGATETZ 

Pogatetz è un solidissimo difensore austriaco che ad appena 30 anni sembra già avviato al viale del tramonto, avendo giocato pochissimo nelle ultime stagioni. Una fortuna per gli avversari, visto che quando giocava l’entrata fin troppo dura era sempre dietro l’angolo.

Nel 2005, mentre giocava in Russa in prestito allo Spartak Mosca, in un match contro lo Shinnik Yaroslavl fratturò la gamba in due punti al giovane e promettente Yaroslav Kharitonskiy – di fatto interrompendone la carriera visto che il ragazzo da allora ha giocato solo una quarantina di gare – e che gli costò ben 24 settimane di squalifica.

Episodio eclatante di una carriera sempre al limite della correttezza, spesso anche oltre e che gli è valsa il poco lusinghiero soprannome di “Der Killer” e un’altra vittima eccellente, il promettente italo-brasiliano del Manchester United Rodrigo Possebon, che dopo essersi scontrato con lui non è stato più lo stesso.

Un calciatore duro in campo e anche fuori, con un carattere deciso che poco è piaciuto anche ai vari CT austriaci, e infatti in Nazionale ha giocato molto meno di quel che avrebbe potuto.

Aggiornamento: da poco più di un anno il “buon” Pogatetz gioca nei Columbus Crew in America.


#10 – Terry BUTCHER

Cosa dire di questo colossale pilone di difesa attivo soprattutto negli anni ’80 in Ipswich Town e Rangers Glasgow?

Probabilmente non è stato il difensore più forte, ne quello più cattivo, però grazie ad un episodio è entrato nell’immaginario collettivo.

Settembre del 1989, l’Inghilterra affronta una dura sfida contro la Svezia per le qualificazioni ai Mondiali di Italia ’90: Butcher a seguito di uno scontro si ritrova un profondo taglio in fronte, ma stoicamente non esce dal campo.

Anzi, continua con un bendaggio di fortuna, che il suo colpire ripetutamente il pallone di testa per allontanare gli attacchi svedesi riapre, trasformando il bendaggio in un qualcosa simile alla fascia vista nel film “Il Cacciatore”.

Quando il match si conclude Butcher ha lo sguardo spiritato, l’adrenalina a mille.

Questo episodio non induca in errore però: il buon Terry in campo tutto era tranne che una vittima, e le entrate dure le faceva eccome. A coronare il tutto, una sfilza di multe ricevute nel suo periodo a Glasgow per aver aizzato i fans e per aver preso a calci la porta dell’arbitro dopo un incontro.

Insomma, un tipino tranquillo.


#09 – Marco MATERAZZI

Marco Materazzi è sempre stato uno di carattere: dopo un esplosione tardiva a Perugia andò a giocare in Inghilterra, patria del calcio fisico e degli arbitri poco fiscali, e in una sola stagione collezionò ben 4 cartellini rossi.

È stato un ottimo calciatore, capace di realizzare molte reti (record per un difensore in A) oltre a essere determinante nella conquista della Coppa del Mondo da parte dell’Italia nel 2006: subentrato al posto di Nesta infortunato nello scetticismo generale, segnò due reti pesantissime, di cui una in finale, dove fu anche protagonista di un dissidio con Zidane che portò all’espulsione del francese in seguito ad una testata divenuta celebre.

Pensate che il buon Marco sia stato la vittima? Ecco come andarono le cose: infastidito dalla marcatura stretta del difensore italiano, Zidane chiese ironicamente a Materazzi se volesse la sua maglia, e nel caso di aspettare la fine dell’incontro. “Preferisco la puttana di tua sorella”, la risposta di Marcone, che causò la violenta reazione del campione francese.

Insomma, anche quando è stato vittima, Materazzi ci ha sempre messo del suo. Degna di nota anche la squalifica ricevuta per un pugno mollato al senese Cirillo al termine di una gara in cui lui, squalificato, al massimo poteva essere negli spalti a tifare per i compagni.


#08 – Stig TØFTING

Provateci voi ad avere un carattere docile e tranquillo quando a 13 anni, tornando a casa, trovate i vostri genitori morti in un caso di omicidio-suicidio. Basterebbe questo a spiegare la rabbia e l’irruenza con cui il danese Stig Tøfting (soprannominato “Il Tosaerbe”, che la dice lunga sul suo stile di gioco) si gettava su ogni pallone creando insieme a Gravesen una linea mediana nella Danimarca che avrebbe potuto essere dichiarata illegale da chi ama il bel calcio e l’incolumità di chi lo pratica.

Eppure, se dentro al campo Tøfting era una belva, è fuori dal campo che dava il peggio di se: nel 1999 manda un ragazzo in ospedale in seguito a una rissa e si fa 20 giorni di carcere, nel 2000 si vede negare dal sindaco della sua città il permesso di aprire un bar per via di losche conoscenze tra biker locali, si candida sindaco a sua volta, vince e rifiuta l’incarico.

Nel frattempo gioca a calcio anche a buoni livelli, per carità, pur se sempre in squadre di seconda fascia, fin quando nel 2002 durante i Mondiali di Giappone/Corea è protagonista di una rissa con il compagno di Nazionale Grønkjær, reo di aver reagito piccato ad uno scherzo da prete – una secchiata di ghiaccio.

Pochi mesi dopo ubriaco prende a testate il titolare del ristorante dove i danesi stanno festeggiando, picchiando anche il cameriere accorso, prendendosi altri 4 mesi di carcere. A fine carriera va in Cina (non manca un arresto per rissa pure lì) prima di tornare nella sua Danimarca.

Per lui, comunque, una vita senza rimpianti. “No Regrets”, come recita il suo tatuaggio più vistoso.


#07 – Joey BARTON

“L’educazione è una cosa ammirevole, ma è bene ricordare di tanto in tanto, che nulla che vale la pena conoscere può essere insegnato.” Già uno che apre la sua pagina di Twitter così merita di essere notato. Ma per entrare in questa classifica non basterebbe, giusto?

Ed allora ecco qualcosa che ha combinato in carriera questo mediano inglese che, scartato da giovane a causa del fisico troppo gracile, ha saputo imporsi grazie a grinta e carattere: in galera due volte per rissa, più volte ha mostrato il sedere ai tifosi delle squadre avversarie, ha quasi causato il distaccamento della retina ad un compagno (l’ex-Inter Ousmane Dabo) con un pugno e si è beccato 12 giornate di squalifica dopo un incontro con il Manchester City in cui, espulso, ha picchiato nell’ordine Tevez, Aguero e Kompany, facendo anche abbassare subito la cresta ad un impavido (e incauto) Balotelli che aveva provato a fronteggiarlo.

A corredare il tutto una sfilza di cartellini rossi e situazioni al limite (il fratello fu coinvolto in un omicidio) che hanno trasformato in una macchietta un giocatore che aveva comunque un discreto talento, tanto da essere arrivato anche in Nazionale, pur se solo per una gara.

Adesso, mentre continua a mietere vittime giocare, sentenzia su Twitter su tutto ciò che gli viene in mente con opinioni mai banali ma spesso un po al limite, cosa che gli è costata diversi richiami da parte della Football Association.

Un duro dal cuore tenero però, visto che su Internet si batte per abbattere il muro di omertà intorno all’omosessualità nel calcio ed è impegnato in altre numerose cause civili.


#06 – PEPE

Nato come difensore possente ma cattivo, al Real pensano di reinventare questo focoso portoghese come centrocampista contro il Barcelona dei fini palleggiatori, ma la mossa si conclude nell’unica maniera ovvia: espulsione per Pepe, vittoria del Barcelona.

Nato – probabilmente per sbaglio – in Brasile ma cresciuto calcisticamente in Portogallo, del quale è diventato anche una colonna della Nazionale, Pepe è un ottimo difensore, ruvido ma efficace, e non potrebbe essere altrimenti se ha conquistato un posto nel Real Madrid.

Il suo problema è che ogni tanto ha 5 minuti in cui può fare di tutto, dimenticarsi un avversario che va in rete oppure farsi prendere troppo dalla foga agonistica: come accade a fine Aprile del 2009, quando contro il Getafe causa un rigore, viene espulso, scalcia l’avversario a terra con violenza, ne prende un altro a pugni e insulta pesantemente la terna arbitrale.

Becca 10 giornate di squalifica, e anche grazie a questo il Real alla fine perde la Liga.


#05 – Thomas GRAVESEN

Se nella Danimarca c’è stato Tøfting e nel Real gioca Pepe, nella Danimarca E nel Real c’è stato lui, Thomas Gravesen. Che nel Real dei “Galacticos” Zidane, Raùl, Ronaldo, Beckham era l’oscuro portatore d’acqua, colui incaricato del lavoro sporco, arrivato a sostituire Makelele che dopo anni a sputare sangue si era trasferito al Chelsea.

Beh, Gravesen è stato un signor centrocampista, a volte anche difensore, pur senza mai giocare ad alti livelli: nelle 2 stagioni al Real, infatti, finisce per mettere insieme appena 34 presenze, saltando diverse gare più per motivi disciplinari che per scelta tecnica, visto che in panchina siede uno come Capello che a un mediano così tenace difficilmente rinuncerebbe.

E invece finisce per farlo, soprattutto dopo che “Shreck” (il soprannome dice tutto) picchia duro Robinho in allenamento. Pur senza mai entrare in episodi eclatanti Gravesen si è costruito una fama da duro per via delle numerose entrate al limite con gli avversari e per il bullismo mostrato verso i compagni, cosa che in Nazionale gli veniva ancor meglio con il suo amico Tøfting: c’era lui anche dietro lo scherzo a Grønkjær finito in rissa.


#04 – Vinnie JONES

Il gallese Vinnie Jones, mediano dalle limitatissime capacità tecniche, è stato l’anima dello Wimbledon che vinse la FA Cup 1988 contro ogni pronostico o aspettativa. Per quanto appunto sapesse a malapena come si colpisce un pallone (il francese Ginola di lui dirà: “non merita nemmeno di essere considerato un calciatore”) Jones rimediava con una grinta fuori dal comune ed una serie di atti tesi a minacciare fisicamente il rivale diretto, spesso finendo per intimidirlo al punto tale da farlo fuori dal match.

E se ciò non accadeva, passava direttamente ai fatti: record per l’espulsione più veloce della storia (3 secondi!), 12 espulsioni in carriera, strizzata alle parti intime a Gascoigne e entrata così violenta a Gary Stevens del Tottenham da determinarne la fine della carriera.

A coronare il tutto un video (“Uomini duri del calcio”) dove da consigli su come picchiare in campo e farla franca, cosa che tra l’altro a lui non riusciva poi così bene: il video viene censurato da molti calciatori e dalla Football Association, che lo squalifica per sei mesi.

Conclude la carriera con lo Wimbledon, la sola squadra che lo abbia fatto giocare, prova ad allenare il QPR ma la cosa non fa per lui: Hollywood chiama, ed eccolo apparire in numerosi film (“Lock & Stock”, “The Snatch”, “Mean Machine”) diretti da Guy Ritchie, l’ex “signor Madonna”. Il ruolo? Quello del duro, naturalmente.


#03 – Roy KEANE

Si può essere grandi campioni e allo stesso tempo autentici psicopatici? La risposta è si, e l’esempio è Roy Keane, signor centrocampista “totale” capace di difendere, impostare, concludere egli stesso, giocatore forte e carismatico con però dentro una vena di follia che lo faceva sembrare sempre una bomba sul punto di esplodere.

Da giovane si distingue nel Nottingham Forest, dove mostra subito tutte le sue peculiarità: in tre stagioni segna 22 reti, non poche per un mediano, ma si prende anche una barcata di espulsioni e giornate di squalifica.

Costruisce un rapporto di amore-odio con l’allenatore, il leggendario Brian Clough, che alla fine lascia per diventare il perno del centrocampo del Manchester United di Sir Alex Ferguson: nei “Red Devils” giocherà 13 anni, vincendo 7 Campionati, 4 Coppe d’Inghilterra e la Champions League e diventandone il capitano e uno dei trascinatori.

Insomma, un signor giocatore, non estraneo però a episodi di follia, di cui il più famoso è quello con il norvegese Alf Inge Haaland: succede che durante un Manchester United-Leeds, in seguito ad uno scontro con il norvegese, Keane si rompa i legamenti dovendo stare fermo per mesi e che Haaland, che non ci crede sul momento, lo inviti a rialzarsi e a “non fare la scena”.

Passano QUATTRO ANNI, siamo al derby di Manchester, lo United di Keane contro il City dove adesso gioca Haaland: sul finire della partita l’irlandese punta deciso il ginocchio del rivale, lo colpisce e di fatto ne interrompe la carriera. Nella sua biografia dichiarerà di averlo fatto, ovviamente, apposta.

Robe da psicopatici, che certamente gli valgono il terzo posto in classifica.


#02 – Pasquale BRUNO

Già il fatto che fosse soprannominato “O’ Animale” dovrebbe far capire di chi stiamo parlando: Pasquale Bruno da Lecce, stopper di ruolo, duro di professione. Un vero duro, che in sedici anni di calcio ha collezionato più cartellini gialli e rossi di chiunque altro in Italia, che ha litigato con tutti i migliori e che è stato un idolo dei tifosi del Torino, la squadra dove più si è distinto, che ne apprezzavano il gioco violento e anzi lo incitavano a perseguirlo.

Questo durissimo difensore è diventato un idolo del popolo granata dopo una discreta militanza (tre stagioni) addirittura nell’odiata Juventus, ed è in questo periodo che si distingue per aver fatto perdere i nervi addirittura al pacifico Baggio, con i due che finiscono per essere espulsi entrambi durante uno Juventus-Fiorentina, oltre che per una rissa sfiorata nel derby con la Juve dopo un espulsione-lampo (15 minuti, due cartellini gialli) a seguito della quale perde la testa e dove viene portato fuori dai compagni.

A proposito di tale episodio dirà, anni dopo: “avevo perso la testa, non so cosa avrei fatto. Diciamo che i miei compagni mi salvarono la carriera.”

Dopo il periodo al Torino (con cui esordisce con un espulsione e dove colleziona cartellini rossi come se piovesse) finisce proprio ai Viola appena retrocessi in B, beccandosi una lunga squalifica per aver manipolato un test anti-doping e per una rissa in un sottopassaggio con alcuni giocatori del Brescia.

Il biennio a Firenze lo vede spesso esser messo fuori rosa, quindi torna a Lecce ma le prestazioni sono così pessime che non evitano ai salentini la retrocessione in C1. Termina la carriera in Gran Bretagna, prima di diventare opinionista (!?) e mito: già, perché Pasquale Bruno sulla sua “durezza” ci ha costruito un personaggio che ancora è pietra di paragone per i duri di oggi.

Intendiamoci però, Bruno non fu solo “personaggio”, e le oltre cinquanta giornate di squalifica rimediate in carriera parlano chiaro: “O’ Animale” era un duro, uno vero. Celebre il coro che gli dedicò la curva del Torino, che diceva “Picchia per noi, Pasquale Bruno” e che indica le aspettative che i tifosi granata avevano nei suoi confronti.


#01 – Paolo MONTERO

Intendiamoci subito: Paolo Montero è stato uno dei più forti difensori centrali al mondo negli ultimi anni, uno che sul campo dava tutto e anche di più, l’anima, il trascinatore della Juventus per quasi dieci anni.

Uno che non aveva un gran fisico ma che aveva buon piede e soprattutto attributi oltre la norma, che più veniva odiato e più trasformava questo sentimento in una carica agonistica capace di fare la differenza.

Se da bambino Montero sognava di ricalcare le orme del padre (membro della Nazionale dell’Uruguay negli anni ’70) crescendo lo ha decisamente sopravanzato, diventando un icona del calcio per i tifosi della Juventus e anche di tutta Italia: in campo era ruvido e grintoso come solo certi sudamericani sanno esserlo, uno che gettava il cuore oltre l’ostacolo e che finiva per sacrificarsi per il bene di squadra.

Il suo record di espulsioni (ben 21) deriva infatti, oltre che dal gioco al limite della correttezza, anche dall’evidente sbilanciamento della Juve di allora, che pur aveva una delle migliori difese ad ogni campionato se non la migliore. Montero era un duro, uno che diceva “o passa la palla o passano le gambe, ma entrambe mai”, uno che riempì di botte alcuni tifosi del Panathinaikos che avevano osato spintonare il suo grande amico Zidane, che in discoteca finiva per picchiarsi con i tifosi della Fiorentina.

Uno che sul campo menava duro ma per cui sul campo tutto si concludeva, amato dai tifosi e rispettato dagli avversari. Beh, quasi sempre, visto che a volte si concedeva episodi di follia inspiegabile, come quando picchiò un fotografo a bordo campo, quando quasi spaccò la faccia al russo Karpin con una gomitata o come quando colpì Di Biagio al volto con un pugno, tutti episodi di cui a più riprese interrogato non si è mai pentito.

Un vero duro, insomma, ma dal cuore tenero: quando l’ex-compagno Pessotto tentò il suicidio, nel 2006, si trovava in Uruguay, eppure fu il primo ad accorrere al suo capezzale. Un grande uomo, dunque, oltre che un grande calciatore. Ma anche un duro oltre ogni limite, roba che persino Ancelotti, che lo amava come un figlio e lo allenò alla Juve, di lui disse: “lo adoravo, puro di cuore e di spirito. Un galeotto mancato, certo, ma con un suo codice d’onore.

Paolo Montero è stato un duro, un collezionista di cartellini da record, a volte un violento. Ma soprattutto è stato l’ultimo simbolo, fondato su grinta e durezza, di un tipo di difensore romantico e generoso come ora non ce ne sono più.

 

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