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TOP 11: I migliori calciatori del football vittoriano

Accade spesso che siti e giornali specializzati, se non la stessa FIFA, pubblichino le proprie liste dei migliori calciatori della storia. E se queste possono variare parecchio, anche per via dell’oggettiva difficoltà di paragonare campioni di epoche tanto diverse, potrete notare come il punto di unione di tutte queste classifiche sia la totale (o quasi totale) assenza di calciatori che giocavano prima del XX secolo.

Se è vero che il football è diventato fenomeno non più esclusivamente britannico solo dopo diverse decadi del 1900, e quindi è comprensibile l’omissione di chi è stato un fenomeno quando ancora il calcio era quasi esclusivamente un gioco, è altrettanto necessario ricordare chi per primo ha saputo emozionare il pubblico prendendo a calci una sfera di cuoio.Avendo studiato a lungo il periodo del football vittoriano per realizzare il mio “Pionieri del Football” – la storia del calcio in Inghiltera dalla nascita alla conclusione del primo campionato – ho pensato di stilare la mia personale classifica dei migliori undici calciatori del periodo che arriva appunto fino al 1901, anno di morte della Regina Vittoria.

Potrete ritovare le gesta della maggior parte di questi straordinari campioni nelle pagine del mio libro.


#11 James Henry “Jimmy” Forrest

Omonimo di due calciatori scozzesi di medio livello, James Forrest è stato uno dei primi veri e propri campioni del football nonché uno dei primi noti e riconosciuti professionisti, caratteristica quest’ultima che lo avrebbe visto anche protagonista di un episodio tanto curioso quanto unico nella storia del gioco. Capitano della squadra della scuola già all’età di 12 anni, a 14 fu notato dai dirigenti dell’ambizioso club locale del Blackburn Rovers mentre giocava con i dilettanti cittadini del Witton, attività che alternava al lavoro in una fabbrica di cotone.

Dopo una breve parentesi in un altro club della città, il King’s Own, Forrest si trasferì ai Rovers quando aveva da poco compiuto 19 anni, nel 1883. La squadra guidata dallo scozzese Thomas Brown Mitchell aveva appena visto i rivali cittadini del Blackburn Olympic conquistare la FA Cup, primo club operaio – e prima squadra non londinese – a riuscire nell’impresa. Occorreva un’immediata reazione, oppure la fama dei rivali avrebbe potuto finire per costringere i Rovers addirittura al fallimento.

La riscossa fu immediata, e passò molto dai piedi di James Forrest: mediano instancabile, non solo giocava come un veterano nonostante la giovane età, ma si dimostrò abilissimo in entrambe le fasi di gioco, una dote non comune ai tempi. Solido in difesa, duro nei contrasti, era altrettanto capace di lanciare con precisione i compagni dell’attacco e a concludere personalmente, dote che mostrò al termine della sua prima stagione con i Rovers decidendo la finale di FA Cup del 1884 con il gol del decisivo 2-1 sugli scozzesi del Queen’s Park.

Fin da subito un punto fermo anche della Nazionale, Forrest sarebbe entrato nella storia quando il 27 marzo del 1886 fu duramente contestato dagli avversari prima di una sfida tra Inghilterra e Scozia. Il professionismo era stato da poco accettato, ma non da tutti e non ancora nelle sfide tra rappresentative nazionali.

Venuti a conoscenza del suo essere un “mercenario”, gli scozzesi chiesero all’arbitro gallese Alexander Hunter Hunter che per questo Forrest giocasse con una maglia diversa. Ed è ciò che avvenne, con il povero Jimmy che disputò i 90 minuti della sfida, caso unico nella storia, con la maglia del suo amato club.

La carriera di Forrest durò 13 anni, tutti interamente spesi con i Rovers tranne l’ultimo passato al Darwen: in questo periodo di tempo conquistò per ben 5 volte la FA Cup, un record condiviso con pochissimi giocatori, e in una squadra a forte matrice scozzese fu il campione inglese che riuscì a rendere il club simpatico agli occhi di un pubblico ancora piuttosto ostile agli stranieri. Abbandonato il calcio, vi tornò nel 1906 diventando un dirigente dei Rovers, squadra a cui dunque è sempre stato indissolubilmente legato.


#10 William Henrry “Fatty” Foulke

William Foulke fu, già da giovanissmo, uno dei migliori portieri mai visti: carismatico, imponente, coraggioso, per tutto il periodo vittoriano difese la porta dello Sheffield United, che lo aveva scoperto ventenne in una gara della Derbyshire Cup mentre giocava con i minatori del Blackwell. Fu soltanto in seguito che questo prodigioso keeper assunse l’aspetto che lo avrebbe reso celebre e che gli avrebbe fatto guadagnare il soprannome di “Fatty“, e cioè “Grasso”, quando arrivò a pesare la bellezza di 150 chili: un record, quello di “calciatore più pesante di sempre”, mai battuto.

Ridurre però William Foulke a un fenomeno da baraccone è errato: fu un portiere a tratti insuperabile, distinguendosi oltre che per le parate per un carattere sanguigno e poco incline ai compromessi che lo trasformò nel terrore degli attaccanti avversari ma anche degli stessi difensori che dovevano proteggerlo, e che se sbagliavano potevano benissimo essere raggiunti e strattonati con violenza dal monumentale compagno. Alto 193 centimetri, con i suoi 150 chili Foulke era infatti un vero e proprio gigante per l’epoca.

Alla sua ira non sfuggì neanche l’arbitro Tom Kirkham, “colpevole” di aver convalidato un goal irregolare nella finale di FA Cup del 1902 (poi vinta al replay dallo United) e per questo inseguito da un Foulke riemerso dagli spogliatoi furioso e completamente nudo: per salvare il direttore di gara fu necessario l’intervento di un numero spropositato di uomini. Con le Blades di Sheffield William Foulke vinse, da protagonista, due FA Cup e la Football League del 1898, conquistano anche due secondi posti in campionato e un’altra finale di coppa.

A Foulke si devono due invenzioni del calcio, il primo coro personalizzato da parte dei tifosi (“Who ate all the pies?“, ovvero “Chi ha mangiato tutte le torte?”) e l’invenzione dei raccattapalle: quest’ultima fu una trovata pubblicitaria dei dirigenti del Chelsea, che nella stagione in cui lo ebbero a difendere la porta dei Blues, ormai a fine carriera, misero dietro la sua porta due bambini che sarebbero serviti sia per recuperare il pallone al posto suo sia per enfatizzare la sua stazza agli occhi degli attaccanti rivali.

Sui suoi ultimi anni di vita sorsero molte leggende mai verificate: si disse che era possibile sfidarlo a circhi e fiere con un calcio di rigore, che se fallito gli avrebbe garantito una bevuta, ma è molto probabile che si tratti di puro folklore. Morì di cirrosi epatica, si dice, oppure di polmonite, ad appena quarant’anni. Nessun calciatore prima e nessun calciatore dopo è stato iconico quanto il gigantesco “Fatty” Foulke.


#09 William Isiah “Billy” Bassett

Quando il 24 marzo del 1888 Preston North End e West Bromwich Albion si trovarono di fronte per la finale di FA Cup, in pochi avrebbero potuto immaginare che a sollevare la coppa sarebbero stati i secondi. I Lilywhites di Preston avevano infatti dominato l’intera stagione senza conoscere sconfitta, e potevano contare su straordinari campioni scozzesi pagati a peso d’oro. Di contro il WBA aveva perso due finali di seguito, negli anni precedenti, e poteva schierare un manipolo di calciatori inglesi poco conosciuti.

Al termine dei 90 minuti invece fu il West Bromwich Albion a prevalere, primo club delle Midlands a riuscire nell’impresa e contro ogni pronostico, tanto che prima della gara gli avversari del Preston avevano addirittura chiesto di poter essere fotografati già con la coppa. L’eroe della sfida fu un’ala tascabile neanche ventenne, Billy Bassett, che provvide a fornire i due assist vincenti ai compagni Woodhall e Bayliss e, soprattutto, mise ripetutamente in croce quello che veniva considerato il miglior difensore dell’epoca, Nick Ross.

Era la prima volta che il calcio inglese sentiva parlare di Billy Bassett, e non sarebbe stata l’ultima: legato indissolubilmente al WBA, ne fu il leader fino al 1899 – periodo in cui i Baggies conquistarono un’altra FA Cup, e quindi direttore e presidente fino alla morte, avvenuta il 9 aprile del 1937 all’età di 68 anni. Da dirigente salvò per ben due volte la squadra dal fallimento, una volta organizzando una colletta e un’altra attingendo dal suo stesso portafogli personale, e questi gesti valsero agli occhi dei tifosi ben più delle due coppe vinte.

Ala destra dinamica e imprendibile quando partiva in dribbling, era capace di effettuare precisi cross per i compagni così come letale nelle conclusioni a rete, qualità che gli permisero anche di essere protagonista nell’Inghilterra, con cui giocò 16 gare andando a segno in 8 occasioni. Fieramente inglese, da presidente non acquistò mai un singolo giocatore scozzese, come invece era di moda – e conveniente, per spesa e resa – all’epoca. Non è affatto azzardato dire che senza Billy Bassett, forse, il West Bromwich Albion sarebbe presto scomparso dalla mappa del calcio inglese.


#08 Ernest “Nudger” Needham

Giunto allo Sheffield United nel 1891 come ala destra, i numerosi infortuni patiti all’inizio di una carriera che prometteva bene spostarono Ernest Needham nel ruolo di mediano sinistro, trasformandolo in uno dei primi “calciatori totali” che la storia del football ricordi.

Fu presto soprannominato “the Prince of half-backs” per la sua straodinaria capacità di incidere in ogni fase di gioco: coraggioso, risoluto, dotato da madre natura di fiato inesauribile e di una incredibile capacità di corsa, Needham fu per ben 18 anni l’idolo dei tifosi del Bramall Lane, ritirandosi a 36 anni dopo 554 gare giocate con le Blades e dopo aver conquistato, insieme a “Fatty” Foulke, un campionato e due coppe d’Inghilterra, la seconda arrivata al replay contro il Southampton grazie a un suo prodigioso tiro non trattenuto dal portiere e ribadito in rete dal giovanissimo William Barnes, uno dei tanti che si era avvicinato al football idolatrando Needham.

Inesauribile, era capace tanto di strappare il pallone dai piedi dell’avversario quanto di catapultarsi poi nell’area avversaria, dove poteva smarcare un compagno con un assist millimetrico oppure concludere con un tiro potente e preciso che gli permise di segnare ben 49 reti in carriera. In fase difensiva era praticamente insuperabile, e fu un pezzo fondamentale in quella che fu a lungo la miglior difesa d’Inghilterra.

Si diceva che facesse il lavoro di tre uomini, e certo fu che molte gare fu capace di vincerle quasi da solo, trascinando i compagni ben oltre i propri limiti e guadagnandosi attestati di stima unanime da parte di tifosi, avversari e specialisti del settore, che sottolineavano come correre per lui fosse equivalente al camminare di un normale essere umano.

La sua profonda conoscenza del gioco lo avrebbe portato poi, una volta appesi gli scarpini al chiodo, a scrivere un libro chiamato semplicemente “Association Football” che fu un grande successo ed è ancora oggi un testo molto valido sui segreti del football, e il suo ritiro coincise con la fine dell’epoca d’oro dello Sheffield United e, forse, di un calcio che non sarebbe più stato lo stesso senza di lui.


#07 Archibald “Archie” Hunter

Uno dei primi veri idoli del calcio vittoriano, Archie Hunter fu l’uomo che rese grande l’Aston Villa, forse il miglior club del XIX secolo. Nato su una panchina di un parco per volere di quattro amici appassionati di football, il club aveva giocato le sue prime partite addirittura contro formazioni locali di rugby, alternando le regole tra primo e secondo tempo.

La storia aveva cominciato a cambiare con l’arrivo dello scozzese George Ramsay, half-back che aveva portato ai Villans il segreto del passing game e una certa organizzazione ma che sul campo non era stato capace di far compiere al club il decisivo salto di qualità. Questo sarebbe riuscito a Archie Hunter, ingaggiato proprio da Ramsay una volta che questi era diventato direttore della squadra e che nel giovane ed energico connazionale aveva visto il futuro.

Potente, veloce, coraggioso, Hunter era un’ispirazione per i compagni e il terrore di ogni difesa. Dotato di tutte le qualità necessarie per essere un perfetto centravanti, the Old Warhorse – come presto fu soprannominato – era un’autentica macchina da goal ma sapeva anche aprire invitanti spazi per i compagni, che approfittavano della sua capacità di tenere impegnati due, a volte tre uomini. Non era insolito vederlo partire palla al piede quasi da centrocampo e fermarsi soltanto dopo aver depositato il pallone tra i pali, e presto fu l’eroe del Perry Barr, il primo stadio dell’Aston Villa.

Archie Hunter fu il protagonista principale del primo trionfo del club, la FA Cup vinta nel 1887 in cui il centravanti andò a segno in ogni gara compresa la finale, quando con un incredibile scatto bruciò sul tempo la difesa del West Bromwich Albion beffando il noto portiere rivale “Long” Bob Roberts con un tocco di punta disperato.

Quello che la natura gli aveva tanto generosamente concesso glielo strappò il destino ad appena trent’anni, quando il suo cuore smise di battere per qualche minuto durante una sfida contro l’Everton. Fu la fine della carriera dell’eroe del Perry Barr e l’inizio di un calvario che lo avrebbe portato alla morte, per problemi cardiaci, appena cinque anni dopo, un periodo di tempo in cui mai Hunter si allontanò dal gioco che tanto amava. Fu abile giornalista e restò sempre tifoso dei suoi colori, tanto che si dice che in punto di morte volle essere sollevatot dal letto in cui giaceva per osservare un’ultima volta il suo stadio, le sue strade, i suoi tifosi.

PER APPROFONDIRE LEGGI: “Archie Hunter, il primo vero eroe del football”


#06 Lord Arthur Fitzgerald Kinnaird

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Forse il primo vero e proprio campione che la storia del football abbia conosciuto, Arthur Fitzgerald Kinnaird dedicò la sua intera esistenza al gioco del football. Era presente nell’autunno/inverno del 1863, mentre il gioco nasceva nella Freemason’s Tavern di Londra: si era avvicinato da pochissimo al gioco dopo aver conseguito straordinari risultati nel nuoto, nella corsa, nel tennis e nel canottaggio mentre studiava a Cambridge. Lo sarebbe stato fino al 1923, anno in cui morì da presidente della stessa associazione che aveva contribuito a creare.

Di ricca e nobile famiglia, una volta innamoratosi del football non passò giorno senza che vi si dedicasse anima e corpo, passando ore intere ad affinare il tocco di palla e diventando ben presto la stella degli Wanderers dominatori dei primissimi anni della FA Cup. In campo si distingueva, oltre che per la barba rossa e l’abitudine di indossare lunghi pantaloni bianchi, per la sua straordinaria versatilità e l’inesauribile grinta, tanto che si diceva avrebbe potuto correre per tre giorni di seguito.

Fu portiere, difensore, mediano e attaccante, lo fu sempre con enorme profitto e potendo avvalersi di un fisico robusto e prestante e di un carisma senza pari, che gli permise di dominare sempre qualsiasi avversaria. Kinnaird non si faceva intimidire da nessun avversario, sradicava letteralmente il pallone dai piedi di avversari che finivano per terra “come cani bagnati” e poi si lanciava in lunghi assoli che spesso si concludevano in gol.

La sua specialità erano le mischie sotto porta, molto frequenti nel football vittoriano e che lo vedevano sempre, immancabilmente, vincitore. Cultore del dribbling game, continuò a praticarlo anche quando cadde in disuso e con enorme successo, dato che la sua classe era incomparabile: giocò nove (9!) finali di FA Cup e ne vinse cinque, arrivando in una di queste persino a far cancellare dagli annali un autogol che sosteneva non aver mai realizzato nonostante la testimonianza contraria di avversari, giornalisti e persino arbitri e dirigenti.

Appesi gli scarpini al chiodo dopo la sconfitta patita nel 1883 contro il Blackburn Olympic, primo vero sparti-acque nella storia del calcio, Kinnaird fu tra i pochi a riconoscere agli umili avversari i propri meriti per la conquista di una FA Cup che da tempo avrebbe persino dovuto smettere di esistere: vi era infatti una regola che permetteva al club capace di vincerla per tre volte di fila di tenere il trofeo per se, ma quando questa occasione si presentò per i suoi Wanderers il nobile scozzese, con grande sportività, rinunciò.

Nel football fu prima una stella dei campi di gioco, quindi dirigente e infine persino presidente della Football Association, mediando il difficile conflitto tra gli amateurs che rappresentava più di chiunque altro e i club professionstici che, ormai era chiaro, rappresentavano il futuro.

Fu un fiero britannico, disprezzando il football praticato ad altre latitudini e ridendo in faccia ai dirigenti della FIFA giunti a Londra per chiedere alla FA di aderire all’organismo internazionale nato in Francia. Se un uomo ha rappresentato il calcio più di chiunque altro, soprattutto nei primissimi anni dei pionieri, questo è senza dubbio Lord Arthur Fitzgerald Kinnaird.

PER APPROFONDIRE LEGGI: “Lord Arthur Kinnaird, il primo campione”


#05 John Goodall

Figlio di un ufficiale inglese che per dovere si trovò a cambiare spesso residenza, John Goodall nacque a Westminster ma crebbe prendendo a calci un pallone nelle strade di Kilmarnock, Scozia, dove poi fattosi uomo trovò lavoro in un’acciaieria. Dai durissimi ritmi della fabbrica lo avrebbe salvato un cristallino talento per il football, che gli permise di tornare nella terra dov’era nato – ma dove mai aveva vissuto – per intraprendere il mestiere di calciatore professionista.

Dopo un breve periodo nel Great Lever di Bolton si trasferì, poco più che ventenne, nel Preston North End che William Sudell intendeva trasformare nella migliore squadra al mondo. In un team a forte matrice scozzese Johnny All Good, come venne presto rinominato, fu il cardine della squadra che sarebbe passata alla storia come quella degli “Invincibili”, capaci di conquistare nella stagione 1888/1889 sia la FA Cup che la prima edizione della Football League, di cui fu il capocannoniere segnando 21 gol in 21 partite disputate.

Centravanti, Goodall agiva sia da terminale che da regista offensivo, come dimostrano sia i gol che i numerosi assist che procurò ai compagni di quella che venne definita “la miglior linea d’attacco di sempre”. Queste qualità, questo spirito scozzese di giocare di squadra, gli aprì anche le porte della Nazionale: con l’Inghilterra Goodall giocherà 14 partite, andando a segno in 12 occasioni e risultando protagonista nella prima riscossa avvenuta contro l’allora più forte Scozia.

Abbandonati i compagni proprio sul più bello per trasferirsi al Derby County, che per averlo lo ricoprì di soldi e gli donò un pub, con i Rams ritroverà il fratello Archie e terrà a battesimo lo strepitoso bomber Steve Bloomer, che di lui avrà a dire che “mai nessuno ha saputo di calcio più di Mr. Goodall.” La cattiva gestione della fortuna accumulata lo porterà a giocare per diverse squadre fino a tarda età, pioniere persino in Francia alla veneranda età di quasi cinquant’anni, ultimi lampi di un grandissimo della sua epoca, un vero e proprio genio del football.


#04 Nicholas John “Nick” Ross

Per tutti Nick Ross fu The Demon Back, “il demone della difesa”, soprannome che gli fu affibbiato per la sua insolita abitudine di giungere alle spalle dell’attaccante avversario sibilando tra i denti ingialliti dal tabacco. Forse non tutti sapevano che questo energico, a tratti violento e spesso insuperabile difensore era stato in gioventù un centravanti di rara classe.

Era passato in difesa per lasciare spazio nell’attacco del Preston North End al fratello minore James, “Jimmy”, che possedeva la stessa classe e la stessa sapienza calcistica. Quello che rendeva Nick superiore era la capacità quasi ultra-terrena di saper leggere il gioco in un’epoca in cui nessuno ne era capace, da vero allenatore in campo, e di possedere una personalità tanto forte da poter quasi vincere le partite da solo.

La stagione in cui il Preston fu “invincibile” Nick Ross, storico capitano del club, la giocò a Liverpool, all’Everton, che per averlo gli aveva offerto la clamorosa cifra di 10 sterline alla settimana, una somma che a lungo lo avrebbe reso il calciatore più pagato al mondo. Tornò la stagione successiva, e per sostituire il partente Goodall accettò di tornare a ricoprire il ruolo di centravanti: arrivò un altro titolo per i Lilywhites, e Nick Ross fu capocannoniere del campionato con 22 gol.

Negli anni successivi purtroppo la sua salute peggiorò sensibilmente, conseguenza di una forma di tubercolosi che prima lo portò a diradare i suoi impegni sul campo e poi a tentare una vacanza salvifica a Madeira, in Portogallo. Fu tutto inutile, e il 7 agosto del 1894, ad appena 31 anni, The Demon Back si spense nella sua casa di Preston. La città osservò il lutto cittadino, e tutti gli appassionati di football furono consapevoli che con la sua morte si chiudeva un’epoca che non sarebbe mai più tornata.

PER APPROFONDIRE LEGGI: “Nick Ross, il migliore degli Invincibili”


#03 Gilbert Oswald “G.O.” Smith

Delle tante public schools che videro nascere il calcio, una delle più influenti fu senz’altro Charterhouse: qui, negli antichi e stretti chiostri della scuola dov’era impossibile lanciarsi in dribbling a tutto campo, fu concepito per la prima volta il concetto di passare il pallone che, sviluppato principalmente dagli scozzesi, avrebbe reso il football primordiale quello che conosciamo adesso.

Una lezione appresa benissimo da Gilbert Oswald Smith, che a Charterhouse concluse gli studi come insegnante e affinò l’arte calcistica in cui si era già messo in mostra mentre studiava ad Oxford, dov’era stato il leader della squadra capace di battere ripetutamente i rivali di Cambridge nell’annuale, e sentitissimo, varsity match che le due scuole mettevano in scena.

Vero gentleman, puro amateur in un’epoca in questa figura stava definitivamente lasciando il posto ai calciatori professionisti, Smith giocò a lungo nella Oxford University e poi appena una stagione negli Old Carthusians, prima di prendere posto nella squadra che più di tutti avrebbe rappresentato sia sul campo sia a livello ideologico: gli immacolati e fortissimi dilettanti – per scelta – del Corinthian.

Vi arrivò a 26 anni, ma già da cinque era finito nel giro delle convocazioni dell’Inghilterra, che in lui aveva scoperto il centravanti ideale: intelligente nella giocata, freddo ed elegante, G.O. Smith non perdeva mai la calma e una volta giunto in prossimità della porta avversaria poteva colpire in numerose maniere. Il tiro era forte e soprattutto preciso, raramente mancava il bersaglio, ma la sua maggiore soddisfazione era quella di assistere i compagni, smarcandoli con tocchi rapidi e geniali.

Alto e magro, afflitto sin dalla giovane età da una cronica asma, era l’esatto opposto dell’archetipo del centravanti inglese, possente e senza paura, che sarebbe diventato lo standard appena pochi anni dopo. Eppure la sua classe eccezionale, dentro e fuori dal campo, lo portò ad essere considerato una vera leggenda vivente, il centravanti a cui tutti i giovani si sarebbero dovuti ispirare.

In 20 gare con l’Inghilterra andò a segno in 11 occasioni, mentre il suo score con il Corinthian è a dir poco impressionante: 132 gol in 137 gare giocate contro le migliori squadre professionistiche del Paese, spesso demolite da questo attaccante tanto gracile quanto etereo, intelligente nel trovare la giusta posizione e di cui era impossibile prevedere le mosse.

Il suo ritiro, avvenuto nel 1901 pochi mesi prima della morte della Regina, coincise con la fine dell’epoca vittoriana: un’epoca che senz’altro G.O. Smith rappresentò più di chiunque altro.


#02 Stephen “Steve” Bloomer

Prima di ogni gara del Derby County è possibile ascoltare una canzone che si intitola “Steve Bloomer’s Watching”, l’inno che un’intera città ha dedicato a quello che è stato senza ombra di dubbio il suo miglior calciatore nonché uno dei migliori di sempre nella storia del gioco.

Steve Bloomer ebbe, fin da giovanissimo, un rapporto privilegiato con il gol: centravanti nato, in una partita arrivò a segnare la bellezza di 12 gol, una delle tante imprese che gli valsero le attenzioni del Derby County, che lo prelevò dal Derby Midland appena fallito nel 1891 quando aveva 17 anni. Da un paio d’anni con la maglia dei Rams folleggiava il fantastico John Goodall, che lo prese sotto la sua ala protettrice e ne affinò le doti insegnandogli tutti i segreti del mestiere.

Fu così che questo letale centravanti divenne anche un eccellente uomo-squadra, aggiungendo al suo repertorio composto da velocità, dribbling, un fisico possente rinforzato durante gli anni passati come apprendista fabbro e un tiro portentoso, anche passaggi rapidi e precisi e un grande senso della posizione.

Nel Derby County formò una coppia straordinaria proprio con Goodall, eroe di cui ritrovò le qualità nell’Inghilterra in G.O. Smith, con cui si diceva avesse un’intesa tale che bastava un’occhiata per ritrovarsi solo davanti al portiere, il pallone semplicemente da spingere in porta.

I numeri, del resto, parlano chiaro: pur non ottenendo alcun successo significativo, Bloomer segnò 352 reti in 598 partite in una carriera che durò fino ai quarant’anni e che lo vide vestire la maglia del Derby County in due periodi distinti con un notevole intermezzo al Middlesbrough. In Nazionale la sua resa fu persino superiore, 28 gol in sole 23 presenze dal 1895 al 1907, periodo in cui giostrò con Smith prima e poi con il leggendario Vivian Woodward conquistando ben 8 volte il British Home Championship, torneo tra le Nazionali britanniche fino ad allora dominato dalla Scozia. Alla sua città regalò gioie anche nel baseball, dove da sportivo vero a 360° fu tra i protagonisti della vittoria di ben tre campionati nazionali.

Conclusa la carriera andò ad allenare in Germania, ma lo scoppio della prima guerra mondiale lo portò ad essere internato in un campo prigionieri dove, insieme ad altri ex-colleghi calciatori, organizzò alcuni tornei calcistici mantenendo alto il morale dei detenuti.

Liberato andò in Spagna, dove guidò il Real Unión alla conquista della Copa del Rey nel 1924 prima di tornare a Derby, dove tutto era iniziato molti anni prima, e vivendo il resto dei suoi anni in un modesto appartamento a pochi passi dallo stadio che lo aveva visto eroe indiscusso e la cui tifoseria, ancora oggi, ne canta le gesta.


#01 William Henry “Billy” Meredith

Tra il 1887 e il 1894 una squadra di minatori dominò il calcio gallese, conquistando 5 volte la Coppa Nazionale. Il Chirk AAA era la fortissima espressione calcistica di un piccolo villaggio di minatori che aveva adottato il football come passatempo preferito, e Billy Meredith ne era la stella.

Senza aver forse mai pensato di fare del calcio una professione, vi fu costretto quando nel 1893 le tensioni sociali tra i minatori e i propri datori di lavoro portarono a una serie di scioperi e al conseguente bisogno di prestare giovanissimo i suoi servigi al modesto Nortwich Victoria.

Quando due emissari del Manchester City raggiunsero la miniera dove Meredith lavorava, intenzionati a offrirgli un contratto da professionista dopo averlo visto all’opera, l’accoglienza non fu delle migliori: per questa povera gente il calcio era un’illusione, qualcosa da giocare senza però abbandonare il lavoro, e fu così che fino a quando non esplose definitivamente il giovane Billy continuò ad alternarsi tra il football e la miniera.

Non ci volle comunque molto per capire che si trattava di un predestinato: ala straordinariamente veloce, dotato di un dribbling stupefacente, Meredith era un accentratore di gioco. Voleva sempre il pallone, e quando questo non gli veniva recapitato poteva indispettirsi e assentarsi dal match, ma quando entrava in possesso della sfera era capace di regalare magie in serie. Nonostante la posizione defilata amava tagliare dentro come una punta moderna, dialogare con gli interni e andare a segno personalmente.

Fu la stella del Manchester City dal 1894 al 1906, quando una squalifica per corruzione lo colpì: ritenendo di essere stato scaricato dal club, che forse ne pativa l’alto stipendio e i vezzi da star, si trasferì ai rivali del Manchester United all’età di 32 anni, ritenuto da molti ormai finito. Con i Red Devils invece disputò ben 15 stagioni ad altissimo livello, tanto che quando nel 1921, alla veneranda età di 47 anni, tornò al City non furono pochi gli ex-tifosi che lo riaccolsero a braccia aperte.

Leggenda di entrambe le squadre di Manchester, si ritirò prossimo ai cinquant’anni dopo aver giocato 390 gare con il City e 335 con lo United, dove agì da vero e proprio uomo-squadra rinunciando ai personalismi e ai numeri fini a se stessi. Conquistò una FA Cup con i Citienzs e 2 volte la Football League e una volta ancora la FA Cup con i Red Devils, oltre ad essere un punto fermo del Galles per oltre un ventennio. Billy Meredith fu anche tra i calciatori maggiormente attivi nella creazione del sindacato calciatori, nato per assicurare a lui e ai colleghi diritti prima di allora inesistenti.

La sua leggenda ispirò canti e tantissimi giovani calciatori, la sua iconica figura – con lo stuzzicadenti in bocca, un vezzo che manteneva anche nelle sfide più dure – lo portò ad essere la prima superstar globale del calcio inglese nonché il mito che ancora oggi unisce le due squadre rivali di Manchester, che possono a ragione entrambe identificarsi in lui.


Come anche per la stesura del libro, per questi ritratti sono state fonti fondamentali i siti “Before the D” e “Spartacus Educational” oltre al libro di Richard Sanders “Beastly Fury – The Strange Birth of British Football”.

 

PIONIERI DEL FOOTBALL – STORIE DI CALCIO VITTORIANO (1863-1889)

Nato come passatempo per i ricchi studenti delle migliori scuole private di Londra e dintorni, il calcio cresce e si espande assistendo alle imprese dei primi grandi eroi del rettangolo verde.

Sono i “pionieri del football”, nomi oggi in gran parte dimenticati ma che hanno contribuito in modo fondamentale alla nascita e alla diffusione di quella che è oggi la religione laica più praticata al mondo.

Dai primi calci a un pallone, dati quasi per caso, il football arriva al suo primo campionato professionistico attraverso numerose vicende: i primi regolamenti, le prime sfide internazionali, la FA Cup giocata da club ormai scomparsi, così esotici e ricchi di storia e vicende personali.

“Pionieri del football – Storie di calcio vittoriano” vi racconta tutto questo e molto di più, 283 pagine in cui troverete narrati, per la prima volta in Italia, i primissimi anni del calcio inglese. Aneddoti, rivoluzioni, epiche sfide in un’epoca così diversa eppure così simile, per molti versi, alla nostra.

Scoprite chi furono Lord Arthur Kinnaird, il primo dominatore del cuoio capace di giocare ben nove finali di FA Cup; gli Wanderers, la più grande squadra del football quando questo aveva appena cominciato a chiamarsi così; Jack Hunter e il Blackburn Olympic, il club che rivoluzionò regole che sembravano immutabili.

E poi ancora Archie Hunter e l’Aston Villa, il Preston North End degli “Invincibili”, la Scozia e i suoi “professori”, le lotte di classe e di potere che seguirono, parallelamente, quelle che si svolsero nell’Inghilterra in piena Rivoluzione Industriale.

Perché per quanto diversi dagli eroi moderni, questi pionieri furono veri eroi, e meritano di essere conosciuti da ogni vero appassionato di calcio. Perché è grazie a loro, in fin dei conti, che oggi possiamo goderci questo meraviglioso sport.

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