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Mese: Luglio 2013

Il Miracolo di Berna, spartiacque tra due ere

Quel 4 Luglio del 1954, i giocatori della Germania Ovest fissavano il campo nei momenti precedenti la partita con ferrea determinazione. Non sarebbero stati carne da macello, ma anzi avrebbero tentato di riscrivere la storia in una partita, “il miracolo di Berna”, che sarebbe entrata nella storia.

Erano ben 9 anni che l’inno nazionale non veniva suonato dal vivo in nessuna occasione, 9 anni da quando il Nazismo era stato sconfitto e in cui il popolo tedesco aveva cercato faticosamente di ricostruire sulle macerie dei bombardamenti alleati.

4 commenti

Ma come ti vesti? – Flop 11: Le peggiori maglie della storia del calcio

Ci sono maglie che rappresentano la storia di questo sport.

La maglia dell’Uruguay, primo Campione del Mondo della storia, con i lacci bianchi intorno al colletto. La maglia dei Celtic Glasgow, da sempre strisce orizzontali bianche e verdi, una rarità nel calcio.

Ci sono maglie semplici ma leggendarie, quella arancione dell’Olanda di Crujiff, quella verde-oro che il Brasile adottò all’indomani del Disastro del Maracanà (ne parleremo), e ci sono quelle rare, come la maglia del Casale, nera con una stella bianca sul petto.

La maglia sta ad un calciatore come la divisa ad un soldato, sta ad un club come la bandiera ad una patria. I tifosi amano la maglia, e chiedono sempre ai loro giocatori di fare altrettanto.

Ma a volte ci sono maglie così brutte che nessuno può fare altro che ridere. Maglie che, forse, possono condizionare una stagione, perché la divisa fa tanto, portarla con orgoglio anche: e come si possono portare con orgoglio certe divise?

Ispirato da certe novità calcistiche, ecco a voi le peggiori maglie di sempre secondo me.

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Nii Lamptey, il Pelé perduto

Molte qualità servono per affermarsi nel calcio. Spirito di sacrificio, predisposizione fisica, capacità tattica e conoscenza dei fondamentali, unite a un po di fortuna, possono portarti ad essere un buon giocatore.

Ma senza il Talento, quello con la T maiuscola, non sarai mai un fenomeno. E’ il talento, una qualità innata, a fare la differenza tra essere un buon calciatore ed una stella mondiale. Il talento puro, quello che non si insegna, quello che non si spiega.

Nii Odartey Lamptey di Talento ne aveva da vendere. Eppure, dopo un inizio sfolgorante, la sua carriera è diventata via via sempre piu’ tortuosa, sempre piu’ lontana dai percorsi calcistici che contano, fino a fare sbiadire il suo nome, che oggi è conosciuto da pochi appassionati.

Questa è la storia di un ragazzo che da piccolo superò mille difficoltà grazie al suo talento ma che poi non riuscì a diventare un uomo, finendo per essere risucchiato nella periferia estrema del pallone. Un ragazzo che, però, non si è mai arreso.

Meteora o sopravvissuto? Questa è la storia di Nii Lamptey.

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La recensione di Jimmy Grimble

La storia del calcio al cinema è piena di esempi di film dal budget altisonante che si rivelano incredibili flop. Allo stesso tempo, però, c’è qualche raro esempio di come, con mezzi tutto sommato ridotti, si possa narrare una storia con poche pretese con il risultato finale di avere un film gradevole e che scorre via che è un piacere.

È questo il caso della commedia inglese “Jimmy Grimble” (“There’s only one Jimmy Grimble”, in originale), film del 2000 diretto dall’allora esordiente John Hay ed ispirato al celebre, in Inghilterra, fumetto “Billy’s Boots”, di cui riprende grosso modo la storia.

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La recensione di Goal! – La Trilogia

Quando ero piccolo pensavo che, se c’era un genere che avrebbe reso bene al cinema, questo era il calcio: del resto questo è lo sport più popolare al mondo, narra di sudore, di virtuosismi, di gioco di squadre. Appunto storie di uomini e di calcio, con tutti i possibili risvolti.

Eppure raramente ho visto un bel film di calcio. Crescendo (sono del 1979) vedevo crescere intorno a me la tecnologia, e la fiducia continuava ad esserci. “Vedrai che ora, con le tecniche di adesso, faranno…” e niente, siamo rimasti più o meno al punto che non esiste un film di calcio universalmente bello. E lo dico a ragion veduta eh, visto che me li sono praticamente sciroppati tutti!

Ecco Cinema nel Pallone!

E’ per questo motivo che nasce la rubrica “Cinema nel Pallone”, nella quale raccoglierò tutte le mie recensioni sui film di calcio visti in questi anni. Cercando di raccontarvene la trama, i fatti storici a cui si ispirano – se presenti – e spiegarvi perché guardarli. O perché evitarli.

Naturalmente sono un grande appassionato di calcio ma, è bene premetterlo, non sono un esperto di cinema e parlerò a titolo personale, per cui se vi andrà di fidarvi bene…se no potrete benissimo dirmi la vostra in merito nei commenti. Cominciamo?

Ispirandomi ad Alan Shearer (l’accostamento non è casuale) voglio esordire con una tripletta, e quindi in questo lungo articolo vi parlerò della trilogia di “Goal!”, il cui primo film uscì tra squilli di tromba, il secondo nel silenzio generale e il terzo…beh, voi sapevate che ne esisteva un terzo???

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Abdón Porte, “il fantasma del Parque Central”

Nel calcio le bandiere non scompariranno mai. I soldi potranno comprare qualunque cosa, persino la felicità; talvolta avranno il potere di addestrare i giocatori al ruolo di trepidi soldati mercenari all’interno di una guerra combattuta fra società calcistiche. Il fenomeno odierno del calciomercato ha sicuramente avvalorato con forza questo assioma moderno.

La storia dimostra, però, che le cose possono andare diversamente. Perché i calciatori sono esseri umani e, in quanto tali, possono amare una squadra o un club, al punto tale da un volersene mai separare.

È stato il caso di Zanetti all’Inter, Del Piero alla Juventus, Giggs al Manchester United, Totti alla Roma. Di Matthew Le Tissier, “Dio” a Southampton, e del quasi sconosciuto turco Sait Altinordu, bandiera per 27 stagioni del club da cui prese il proprio cognome.

Ma se il fenomeno delle bandiere è vivo tutt’oggi, in un momento in cui i calciatori sono trattati come celebrità professioniste superpagate, immaginate cosa poteva essere un tempo, quando chi giocava lo faceva solo ed esclusivamente per passione, per l’urlo della folla.

La storia del calcio degli albori abbonda di giocatori che hanno vissuto per la propria squadra. Qualcuno è anche morto in nome della propria bandiera, per servire la propria fede. E quella che state per leggere è la storia di uno di loro. Questa è la storia di Abdón Porte, “il fantasma del Parque Central”.

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Quattro storie di calcio e politica

Il calcio e la politica sono due cose molto diverse che però, nel corso del secolo di storia di questo sport, hanno avuto numerosi incroci.

I più famosi regimi del mondo hanno sempre visto infatti il calcio come un mezzo di propaganda, interferendo con esso. Queste sono quattro storie in cui la politica è entrata prepotentemente, spesso tragicamente, nella vita dei calciatori.

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Il fantastico viaggio di Dale Tempest, il Marco Polo del calcio

Tra le numerose storie di calcio che trovate su questo sito quella di Dale Tempest è davvero unica. La storia di un buon calciatore che, quando ancora nessuno nel calcio aveva ancora mai usato l’abusata frase “scelta di vita”, decise di lasciare il calcio occidentale per diventare un idolo delle folle di un paese asiatico, con cui strinse un rapporto unico.

Un centravanti che credeva di aver perso il treno giusto per la gloria, ma che invece di perdersi d’animo è riuscito a reinventarsi, prendendone subito un altro e diventando pioniere in un mondo sconosciuto ai più. Un salto nel buio che lo ha portato a diventare l’idolo calcistico di un intero Paese, così lontano e diverso da quello dove era nato.

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Bert Trautmann, l’Uomo di Ferro eroe di due mondi

“Ci sono stati due soli portieri di classe mondiale.
Uno era Lev Yashin, l’altro era il ragazzo tedesco che giocava a Manchester.
Bert Trautmann.”

(Lev Yashin, primo ed unico portiere a vincere il Pallone d’Oro)

Se qualcuno avesse detto a Bert Trautmann, giovane soldato tedesco prigioniero in Inghilterra al termine della Seconda Guerra Mondiale, che Albione sarebbe diventata la sua nuova casa, probabilmente lui avrebbe pensato ad uno scherzo. Se poi gli avessero detto che non solo quella sarebbe stata la sua nuova casa, ma che addirittura avrebbe avuto un posto immortale nella galleria degli eroi di sua Maestà, e grazie al calcio, avrebbe pensato che non era uno scherzo. Era delirio.

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