Lutz Eigendorf, vita e morte del “Beckenbauer dell’Est”

Fino alla sua caduta, avvenuta ufficialmente il 9 novembre del 1989, il muro di Berlino ha rappresentato il simbolo della “Cortina di Ferro”, il confine della spartizione del mondo tra quei Paesi che erano sotto l’influenza dell’Unione Sovietica e quelli che invece erano sotto il controllo occidentale.

Non era semplicemente un muro, quello che divideva la città tedesca. Attraversarlo significava, per chi abitava nell’Est, la possibilità di inseguire una libertà che nella DDR (Deutsche Demokratische Republik) era diventata negli anni, dopo un iniziale illusione di comunismo “reale”, una vera utopia.

In molti tentarono di farlo, qualcuno riuscendovi e qualcuno finendo con il rimetterci la vita. Questa è la storia di uno di loro, un calciatore di grande talento che per inseguire la fama e una vita “normale” finì per diventare il tributo più evidente che il calcio ha pagato a questa follia.

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FLOP 11: I peggiori trasferimenti di sempre della Serie A

Vero che ormai nel calcio frenetico del 2000 le trattative tra i club durano tutto l’anno, ma è d’estate che il calciomercato impazza, è in quei giorni che i tifosi cominciano a sognare e a disegnare le proprie squadre.

Nel giorno della chiusura del calciomercato ho pensato (bene?) di stilare una mia personale classifica dei peggiori affari di calciomercato mai conclusi in Serie A.

Naturalmente è una classifica personale e scritta di getto, per cui sentitevi liberi di commentare e dire la vostra nella mia Pagina Facebook.

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Johnny Moscardini, il primo oriundo

Barga è un piccolo e incantevole paese in provincia di Lucca. Un posto bellissimo ma che a metà del 1800 non offriva grandi prospettive di lavoro.

Fu per questo, per cercare fortuna e magari per la voglia di visitare il mondo, che un giorno del 1872 tre giovani fratelli del posto, i Moscardini, lasciarono la Toscana per partire alla volta della Scozia.

Gli affari evidentemente andarono più che bene, ed essi si stabilirono a Falkirk: fu qui che, nel 1897, uno di essi mise al mondo un figlio, Giovanni.

Sarebbe stato uno dei primissimi grandi campioni del calcio italiano. Il primo vero e proprio oriundo nella storia della Nazionale.

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Mágico González, il tassista che era più forte di Maradona

Nella foto qui sopra potete vedere il più grande giocatore di sempre. Gli anni sono passati, il fisico si è ovviamente appesantito, ma i piedi – si dice – sono quelli di sempre, capaci di accarezzare il pallone come nessuno al mondo né prima né dopo ha saputo fare.

L’altro nella foto, quello che gli contende la sfera, è ovviamente Diego Armando Maradona.

Nessuna confusione, è proprio così. Lo ha detto, del resto, lo stesso Diego. Il più grande giocatore di sempre, da un punto di vista squisitamente tecnico, era salvadoregno. Il suo nome? Jorge Alberto González Barillas, per tutti, semplicemente, Mágico González.

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Canhoteiro, “l’altro Garrincha”

Velocità, fantasia e dribbling ubriacanti. E poi assist perfetti, palloni che andavano solo sospinti in rete, oppure tiri che erano una sentenza tanto erano precisi e potenti.

Nel Brasile degli anni ’60 questa descrizione calzava a pennello a Garrincha, “l’angelo dalle gambe storte”, formidabile ala destra del primo Brasile capace di imporsi al Mondiale.

Eppure la stessa descrizione si sarebbe benissimo potuta adattare ad un altro giocatore, un’ala sinistra, idolo della torcida del São Paulo. Il suo nome era José Ribamar de Oliveira, per tutti era semplicemente Canhoteiro, e fu un grandissimo campione presto dimenticato.

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Cherno Samba, “quello di Championship Manager”

“Dovevo ordinare un nuovo telefono al mio gestore. Ho chiamato, e quando mi hanno detto che avrei dovuto attendere due o tre mesi ho pensato ‘nessun problema!’.

Poi il ragazzo mi ha chiesto come mi chiamassi, ho detto ‘Cherno Samba’. Sorpreso mi ha detto ‘Quello di Championship Manager? Lo avrà domani allora!’…”


“Quello di Championship Manager”. Ecco chi è, nell’immaginario colletivo dei videogiocatori di fine anni ’90, Cherno Samba. Il miglior giocatore del mondo, o almeno questo secondo i programmatori di “Championship Manager: Season 00/01”, che avevano reso l’allora quindicenne originario del Gambia il miglior prospetto di tutto quell’universo virtuale.

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La vita è un pallone rotondo

Questo bellissimo brano parla di passione per il calcio nella massima accezione del termine, ed è tratto dallo splendido libro “La vita è un pallone rotondo” dello scrittore serbo Vladimir Dimitrijević. “Quando ho toccato per la prima volta – avevo dodici anni – un vero pallone da calcio, mi sentivo in presenza di un oggetto sacro. … Leggi tutto

La rapida eclissi di Billy Kenny jr., il “Gazza di Goodison Park”

“Può diventare il Gazza di Goodison Park!”

Con questo entusiasta e forse affrettato paragone Peter Beardsley, che sta concludendo la carriera all’Everton, risponde ai giornalisti che gli chiedono lumi sul giovane compagno Billy Kenny, esploso improvvisamente nel derby del Merseyside contro il Liverpool.

“Il Gascoigne di Goodison Park”. Un complimento importante se arriva da un nazionale inglese come Beardsley, e Gascoigne (siamo nel 1992) è il calciatore che va di più in Inghilterra al momento.

Aggiungeteci che l’oggetto di questo complimento è nato in città, tifa Everton e quello tra i “Toffees” ed il Liverpool non solo è il primo derby a cui prende parte, ma è proprio una delle sue prime gare in assoluto da professionista. Roba da montarsi la testa.

È quello che succede, infatti. E Beardsley si rivelerà fin troppo bravo come profeta, dato che Billy Kenny (Junior, per distinguerlo dal padre omonimo e già giocatore dell’Everton) finirà come Gascoigne senza però essere minimamente arrivato agli stessi livelli.

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Raffaele De Martino, di corsa contro la sfortuna

Raffaele De Martino sembrava avere davanti a se un futuro da predestinato quando, il 7 novembre del 2004, aveva fatto poco più che maggiorenne il suo esordio in Serie A con la maglia della Roma.

Era arrivato nella società giallo-rossa nel 2000, a 14 anni, seguendo un percorso che dall’Invicta Agro – dove aveva dato i primi calci – lo avrebbe sicuramente portato ai grandi palcoscenici, sulla scia di Daniele De Rossi e Alberto Aquilani.

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“La piramide rovesciata” (Jonathan Wilson)

All’inizio del secolo le squadre di calcio schieravano almeno cinque attaccanti, attualmente a volte neanche uno: una piramide rovesciata, l’evoluzione della tattica nel calcio moderno.

Pur non avendo ancora compiuto quarant’anni (è nato il 9 luglio del 1976) il giornalista inglese Jonathan Wilson è una delle più autorevoli voci nel mondo del football, sia per quanto riguarda la storia che l’analisi tattica.

Unendo queste due competenze Wilson divenne famoso in tutto il mondo nel 2008, quando pubblicò “La piramide rovesciata”, libro arrivato in Italia nel 2012 grazie alla casa editrice “Libreria dello Sport”.

Nelle oltre 500 pagine che lo compongono possiamo così capire come un tempo il football fosse così diverso da quello che oggi conosciamo, e mentre leggiamo come la tattica si è evoluta nel corso della storia scopriamo i nomi e le vite di chi questo sport ha contribuito a crearlo ed evolverlo fino alla forma che oggi conosciamo.

Wilson parte dall’epoca del “Football Vittoriano”, aprendo il libro con un epico incipit.

“All’inizio regnava il caos, e il calcio non aveva forma. Poi arrivarono i Vittoriani, che lo codificarono, e dopo di loro i teorici, che lo analizzarono.”

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Carlo Rampini, bomber di un calcio di altri tempi

Nell’incredibilmente variegato oceano di aneddoti che riguardano il calcio italiano alle sue origini, quando fieri dilettanti nostrani cominciavano a prendere sempre più confidenza con quel gioco, il “foot-ball”, che sarebbe diventato “calcio” e che sarebbe passato dall’essere passatempo per benestanti a religione popolare, un posto speciale lo avrà sempre la mitica Pro Vercelli, la squadra che dominò i primi anni del XX° Secolo conquistando ben 5 Scudetti dal 1908 al 1913 e perdendone uno soltanto in finale, e in pratica per propria libera scelta.

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David Arellano, il maestro della “Chilena”, e i suoi eterni “Enlutados”

Santiago del Cile, 4 aprile 1925: da diversi mesi la squadra più forte del Paese, il Club Deportivo Magallanes, attraversa una pesante crisi interna.

I giocatori più giovani e forti, guidati dal più talentuoso di questi, David Arellano, chiedono che il club diventi professionistico e che certi calciatori anziani, che giocano più per riconoscenza che per merito, vengano esclusi dalla formazione titolare.

Ne stanno parlando con il direttivo del club, che li ha appena informati che, oltre a non accettare ordini da quelli che considera poco più che dei niños, ha intenzione di partecipare all’elezione del capitano che deve svolgersi quella stessa sera.

Arellano avrebbe la squadra con sé, ma i giocatori più anziani – quelli che lui vuole estromettere dal club – e i membri del direttivo, che mai avevano partecipato prima alle votazioni, la pensano diversamente.

Finisce che Arellano non può indossare la fascia di capitano del club: è una sconfitta ingiusta, ma che segna anche qualcosa di importante.

Già, perché Arellano e i compagni a lui fedeli ne hanno le tasche piene e lasciano il Magallanes e si preparano a fondare il club più importante di tutto il Cile, il club che di quel Paese diventerà il motore dal punto di vista calcistico e non solo.

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