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Mese: Settembre 2015

Harvey Esajas, il lavapiatti che si riscoprì calciatore

“È certo, andrò in Italia nel fine settimana per firmare col Milan. Quella che ho giocato è stata la mia ultima partita al Tiro Federal.” Parola di Juan Mauri, fratello maggiore di quel José Mauri che si è messo in mostra come uno dei giovani più interessanti della scorsa Serie A distinguendosi nel disastratissimo Parma nonostante un’età verdissima.

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L’arte e il Subbuteo si incontrano grazie al britannico Terry Lee

La notizia di per se non è tanto nuova, essendo stata pubblicata circa due anni fa dal “Mail Online”, ma ho pensato di riproporla qui per chi l’avesse persa: l’artista inglese Terry Lee, oggi 33 anni, è un grande appassionato di “Subbuteo”, il popolare gioco da tavolo basato sul calcio che spopolava negli anni ’70 e ’80 e che oggi invece è passione per nostalgici e collezionisti pur se si continuano a disputare partite in tutto il mondo e persino competizioni nazionali e continentali.

Un giorno Terry, trovandosi a riparare delle miniature rotte, ha un colpo di genio: ricreare nel Subbuteo i momenti più importanti della storia del calcio.

 

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Moacir Barbosa, cinquant’anni di solitudine

Il 7 aprile del 2000 lasciava questa terra un campione, che in pochi avevano riconosciuto come tale e che dentro, ormai, era morto da tempo. Un calciatore che aveva visto tutti i successi accumulati in carriera cancellati da un unico, fatale, errore, e che da allora era stato dimenticato dai propri connazionali, dal proprio calcio.

Un calcio, quello brasiliano, che è sinonimo di allegria e che invece un tragico pomeriggio del 1950 diventò tragedia. Maracanaço lo chiamarono in Brasile, “la disfatta del Maracanà”: il colpevole, l’unico imputato del lutto che colpì un Paese intero, fu lui. Moacir Barbosa Nascimento, condannato all’oblio eterno.

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Sócrates e la “Democracia Corinthiana”, quando vincere era un dettaglio

Chiedete ad un tifoso medio italiano, di quelli che seguono con fatica il calcio nostrano e spesso solo la squadra del cuore, chi sia stato Sócrates: o non avrà idea di chi si stia parlando o lo catalogherà come un fenomeno di folklore, uno dei tanti dei primi anni ’80 della nostra Serie A, un “bidone” della Fiorentina. Sarebbe un errore clamoroso.

Leggere di calcio, provare ad espandere i propri orizzonti e sentire altri racconti aiuta a capire la bellezza di questo gioco: chi lo volesse fare scoprirebbe così che Sócrates non solo è stato uno dei più grandi giocatori brasiliani di sempre ma senza alcun dubbio il più singolare ed unico, una meravigliosa pecora nera.

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Vivian Woodward, l’ultimo amateur

Che il calcio fosse nel destino di Vivian Woodward lo si poteva capire quando, da ragazzino, si appassionò a quello che cominciava ad essere chiamato “The Beautiful Game”.

Nato nel 1879, a pochi passi da casa sua si trovava il Kennington Oval, dove dal 1872 le migliori squadre inglesi disputavano la finale valida per l’assegnazione della FA Cup

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TOP 11: i migliori calciatori brasiliani di sempre

Il Brasile ha sfornato nella sua storia campioni a ripetizione: chiaro dunque che questa classifica dei migliori calciatori brasiliani di tutti i tempi è contestabile, contando tanti esclusi eccellenti: da Bellini, capitano del primo Brazil Campeão do Mundo, a Vavà e Tostao, Romario e Bebeto, Roberto Carlos e Cafu, Ronaldinho. Ho cercato tuttavia di non dimenticare nessuno dei grandissimi, spero che apprezzerete ed eventualmente mi direte la vostra.

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Josef Uridil, “der Tank”, primo idolo delle folle viennesi

Il fatto che il nome di Josef “Pepi” Uridil non sia noto alla stragrande maggioranza di chi studia, scrive o anche semplicemente ama il calcio è indicativo di come questo nostro amato sport necessiti di conservare e raccontare le storie che lo hanno reso grande, perché del football dei primi anni in Europa Uridil fu uno dei più grandi fuoriclasse.

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John Alexander Brodie, l’inventore della rete

Inglese di Liverpool, appassionato di football e grande tifoso dell’Everton, la storia ricorda John Alexander Brodie come uno dei più famosi ingegneri civili inglesi di sempre, costruttore del “Queensway Tunnel” che passando sotto il fiume Mersey collegava Liverpool e Birkenhead, capolavoro d’ingegneria e ai tempi tunnel subacqueo più lungo al mondo.

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William McCrum, il portiere che inventò il rigore

Il 14 settembre 1891 la storia del calcio mette in archivio una delle sue date fondamentali. È in questo giorno, infatti, che Frederick Heath mette a segno il primo calcio di rigore di sempre. Il teatro è lo stadio Molineux, casa del Wolverhampton che quel giorno travolge l’Accrington 5-0 anche grazie, appunto, a un mai visto prima tiro dagli 11 metri.

Il primo calcio di rigore è del tutto diverso da quello a cui siamo abituati oggi: viene assegnato per un fallo commesso dalla difesa in una qualsiasi zona del campo entro gli 11 metri dalla porta, e l’attaccante può piazzare il pallone in un punto a piacere lungo una linea che di fatto taglia il campo da fascia a fascia. Non esiste il dischetto, e il portiere può avanzare fino a 5 metri e mezzo prima del tiro.

Nasce così uno dei momenti più importanti, iconici e apprezzati del gioco. Non a caso un calcio di rigore è protagonista in “Fuga per la Vittoria”, il più famoso film sul calcio di tutti i tempi, e sempre non a caso questo particolare gesto tecnico ha ispirato racconti e definito partite iconiche. Ma anche se il primo rigore di tutti i tempi viene tirato in Inghilterra, per la sua invenzione dobbiamo spostarci nella vicina Irlanda.

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Ned Doig, il portiere del “Team of all Talents”

Leggenda vuole che Ned Doig, portiere che fu per un periodo considerevole reputato “il più forte del Regno Unito”, avesse un solo punto debole: straordinariamente atletico tra i pali, dove si era allenato forgiando egli stesso alcuni attrezzi appositi, coraggioso nelle uscite alte e basse, robusto abbastanza da reggere le frequenti cariche cui erano soggetti i keeper del football pionieristico, Ned Doig poteva essere superato soltanto dalla vergogna.

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Matthias Sindelar, la “Cartavelina” che il Nazismo non riuscì a piegare

“Giocava a calcio, e non seppe
della vita molto altro.
Visse, perché doveva vivere
di calcio e per il calcio” [1]

A vederlo fuori dal campo nessuno avrebbe mai pensato che fosse uno sportivo: alto, scheletrico, il volto infossato dava risalto a un bel paio d’occhi azzurri che sembravano finiti lì quasi per caso. Se ti mostrava il fianco quasi scompariva, tanto breve era la distanza tra la schiena e il petto, quella fragile intercapedine in cui sono contenuti il cuore e tutti gli altri organi vitali.

Se però nei dintorni c’era un pallone, potevi stare tranquillo che ti saresti inaspettatamente ricreduto. Perché quell’uomo dall’aspetto così bizzarro era, semplicemente, il più forte calciatore al mondo. Lo chiamavano “Der Papierene”, “Cartavelina”, per via del suo aspetto fisico. O anche “Il Mozart del Calcio”, per il fatto di essere austriaco e di aver saputo fare con un pallone quello che il grande Amadeus ha fatto con la musica.

Incantare.

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