Negli anni ’40 e ’50 il calcio mondiale visse una profonda rivoluzione tattica. Mentre il rigido Sistema inglese mostrava i suoi limiti, nuove idee nate in Sudamerica e in Ungheria portarono innovazioni fondamentali. La “Diagonal” di Flávio Costa e il “centravanti arretrato” di Hidegkuti cambiarono per sempre il modo di intendere il gioco.
Dalla crisi del Sistema alla nascita di nuove idee
Anche se il Sistema era uscito vincitore nel confronto col Metodo e aveva ridisegnato il calcio con ruoli come lo stopper o il mediano, la sua rigidità lo rese obsoleto già negli anni ’40. Nel frattempo il calcio si era globalizzato, e nazioni meno legate alla tradizione britannica iniziarono a sperimentare. A differenza degli inglesi, spesso refrattari al cambiamento, altri popoli seppero reinventarsi.
In Sudamerica, in particolare, la fusione tra cultura locale e conoscenze importate diede vita a nuovi modelli. Mentre gli inglesi restavano ancorati al loro retaggio, i brasiliani, gli argentini e gli ungheresi osarono cambiare, creando soluzioni inedite. Il calcio non era più solo britannico: stava diventando veramente universale.
Una delle prime vere alternative al Sistema nacque in Brasile grazie all’ungherese Izidor Kürschner, che nel 1937 portò al Flamengo i principi del gioco europeo. Sebbene non compreso all’epoca, il suo lavoro fu fondamentale per la nascita di un nuovo modulo: la Diagonal.
La “Diagonal”: genesi di una rivoluzione brasiliana
Kürschner introdusse idee pionieristiche come gli allenamenti senza palla e la cura maniacale della preparazione atletica. Ma fu il suo vice Flávio Costa a coglierne davvero il potenziale. Ex giocatore del Flamengo, giovane e ambizioso, Costa seppe fondere Metodo e Sistema, alleggerendo le rigidità del primo e innovando il secondo. Nacque così la Diagonal, un modulo ibrido che rifletteva l’anima di un calcio in transizione.
Il nome derivava dalla disposizione “a diagonale” dei reparti: una parte della squadra giocava con logiche del Metodo, l’altra secondo il Sistema. La difesa, ancora formalmente a tre, vedeva però uno dei mediani abbassarsi a proteggere il portiere, mentre il centromediano agiva da stopper. Nasceva così, in embrione, l’idea di una linea difensiva a quattro.
Il giocatore chiave era il mediano davanti alla difesa, ruolo affidato a Carlos Volante, argentino rifugiatosi in Brasile dopo le leggi razziali. Ex calciatore in Italia (Napoli, Livorno, Torino), Volante interpretò magistralmente il nuovo ruolo, diventando talmente emblematico che ancora oggi, in Sudamerica, il centrocampista difensivo è chiamato “volante”.
La Diagonal sul tetto del Sudamerica (prima del crollo)
Il centrocampo vedeva un mix dinamico: un centrocampista sistemista, instancabile e lineare, accanto a un interno metodista dedito alla costruzione e a un altro interno con compiti d’inserimento offensivo. L’attacco era composto dal centravanti (detto ponta de lança ovvero “la punta della lancia”) e due ali, una più creativa e una finalizzatrice.
Questo schema fu adottato da club come Flamengo, Fluminense (che invertì le diagonali) e soprattutto dal River Plate della leggendaria Máquina. La consacrazione avvenne durante i Mondiali del 1950, quando il Brasile guidato da Flávio Costa incantò il mondo: con Bauer come volante e un attacco spumeggiante composto da Friaça, Zizinho, Jair, Chico e Ademir, sembrava destinato al trionfo.
Ma la difesa a uomo mostrò tutti i suoi limiti, già noti dalla gara inaugurale contro la Svizzera. Nella drammatica finale contro l’Uruguay, il celebre Maracanaço, il sogno crollò. Non solo fu abbandonata la divisa bianca, ma anche la Diagonal, che pure aveva anticipato il futuro.
Il Sistema ungherese e l’alchimia dell’Aranycsapat
Contemporaneamente, dall’altra parte del mondo, anche l’Europa viveva una trasformazione. In Ungheria, il comunismo vide nello sport uno strumento di potere. Il partito scelse Gusztáv Sebes, ex mediano del MTK, per creare la Nazionale più forte del pianeta. E per un breve ma straordinario periodo, ci riuscì.
La leggendaria Aranycsapat (“Squadra d’oro”) riuniva i migliori talenti del Paese, molti dei quali cresciuti insieme per le strade di Budapest. Il regime li fece confluire nell’Honved, la squadra dell’esercito, per costruire una macchina perfetta. E Sebes, privato del centravanti Ferenc Deák per motivi politici, inventò una nuova interpretazione del ruolo.
Fu così che Nándor Hidegkuti, mezzala dell’MTK, fu schierato da finto centravanti. Invece di restare statico al centro dell’area, arretrava, attirava i marcatori e apriva spazi per gli inserimenti di Puskás e Kocsis, vere bocche da fuoco. Il vecchio W-M si trasformava in un nuovo modulo: l’M-M o Sistema ungherese.
Hidegkuti, il primo trequartista moderno
L’intuizione tattica di Sebes fu rivoluzionaria: Hidegkuti divenne il primo falso nueve della storia. La difesa a uomo, basata su marcature rigide, non riusciva ad adattarsi a un attaccante senza posizione fissa. L’Ungheria dominava. Sembrava invincibile. Ma anche questa rivoluzione si interruppe bruscamente: nella finale del Mondiale 1954, la “Squadra d’oro” fu beffata dalla Germania Ovest nel celebre Miracolo di Berna.
Eppure, come nel caso della Diagonal, l’impatto fu enorme. Il quarto zagueiro brasiliano e il centravanti arretrato ungherese segnarono l’inizio della fine per la marcatura a uomo e prepararono il terreno alla difesa a zona e alla fluidità tattica del calcio moderno.
La Diagonal e l’M-M non vinsero il Mondiale, ma vinsero la partita delle idee. Sono schemi che anticiparono ruoli e movimenti oggi scontati. Dimostrarono che il calcio poteva evolversi non solo nella forma, ma nella filosofia. E che spesso, lo ribadiamo ancora una volta, le sconfitte hanno insegnato più delle vittorie.
Letture consigliate:
- “La Piramide Rovesciata”, Jonathan Wilson, Libreria dello Sport
- “TATTICA: principi, idee, evoluzione”, Francesco Scabar, Urbone Publishing





