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Categoria: Storie di calcio

I racconti degli eroi del calcio e delle loro incredibili vite

David Arellano, il maestro della “Chilena”, e i suoi eterni “Enlutados”

Santiago del Cile, 4 aprile 1925: da diversi mesi la squadra più forte del Paese, il Club Deportivo Magallanes, attraversa una pesante crisi interna. I giocatori più giovani e forti, guidati dal più talentuoso di loro, David Arellano, chiedono che il club diventi professionistico e che certi calciatori anziani, che ormai giocano più per riconoscenza che per merito, vengano esclusi dalla formazione titolare.

Ne stanno parlando con il direttivo del club, il quale li ha appena informati che oltre a non accettare ordini, da quelli che considera poco più che dei niños, ha intenzione di partecipare all’elezione del capitano che deve svolgersi quella stessa sera. Arellano avrebbe la squadra dalla sua parte, ma i giocatori più anziani – quelli che lui voleva estromettere dal club – e i membri del direttivo, che mai avevano partecipato prima alle votazioni, la pensano diversamente.

Finisce che Arellano non può indossare la fascia di capitano del club: è una sconfitta ingiusta, ma che segna anche qualcosa di importante. Già, perché il giovane talento e i compagni a lui fedeli ne hanno le tasche piene. Lasciano il Magallanes e si preparano a fondare quello che diventerà il club più importante di tutto il Cile. Se la storia del calcio è contraddistinta da decisioni forti, quanto accade a Santiago quella sera è un vero e proprio spartiacque tra passato e futuro.

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Alexandre Villaplane, da eroe a nazista

13 luglio 1930. Allo stadio “Pocitos” di Montevideo, davanti a un migliaio di spettatori, ventidue uomini stanno per dare inizio a uno degli appuntamenti fondamentali nella storia del calcio, i Mondiali FIFA. Non sono gli unici a dire il vero, visto che in contemporanea su un altro campo, il glorioso “Gran Parque Central”, anche Stati Uniti e Belgio si sfideranno.

Rimane comunque, quella che si svolge al “Pocitos” tra Francia e Messico, una partita storica: non solo una delle prime due del Mondiale, ma anche quella dove viene siglato il primo gol di sempre nella lunga epopea della Coppa del Mondo.

Lo sigla Lucien Laurent, operaio della Peugeot, e l’incontro termina 4-1 per gli europei. L’attaccante francese, tuttavia, pur essendo l’autore della storica rete, non è il protagonista della nostra storia. Per trovarlo bisogna andare qualche decina di metri indietro, arrivando fino al centrocampo. Ed eccolo, il nostro uomo: Alexandre Villaplane, centromediano metodista, capitano e leader dei francesi. Campione sopraffino dall’animo nero come la notte.

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Nikon El Maestro, il wonderkid che non è mai diventato grande

A chiunque sia capitato di passeggiare per le Ramblas di Barcelona, in Spagna, sarà capitato di vedere tra i numerosi artisti di strada presenti alcuni veri e propri fenomeni del calcio. Personaggi capaci di eseguire un numero impressionante di palleggi, fenomeni del numero ad effetto.

La domanda, che spesso sorge in questi casi all’osservatore casuale, è il perché questo talento venga usato per gli show in strada e non all’interno di uno stadio, magari in un contesto professionistico. La risposta, in realtà abbastanza banale, è che nel calcio il talento è solo uno degli ingredienti necessari per raggiungere il successo. E spesso neanche quello più importante.

La prova? Tra le tante la storia di Nikon Jevtić, meglio noto al mondo con il nome di Nikon El Maestro: un decennio fa il mondo del web impazziva per il nuovo fenomeno del calcio serbo, prospettandogli un futuro da fenomeno per via di un talento cristallino e innegabile. Il prossimo 3 giugno, invece, Nikon avrà 22 anni e lo si può già considerare un ex-calciatore.

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Uruguay, 1933, Nacional contro Peñarol: la partita più lunga di sempre

Uno dei pezzi di storia più importanti del calcio sudamericano fu scritto in Uruguay nel 1934. Proprio mentre dall’altra parte dell’oceano l’Italia si apprestava – su ordine di Mussolini – a ospitare e vincere la seconda edizione della Coppa Rimet, a Montevideo andava concludendosi l’incredibile campionato uruguaiano del 1933.

Questo accadeva dopo quasi un anno, un ritardo dovuto ad un’incredibile serie di eventi che avrebbe portato le due squadre più importanti del Paese – il Nacional e il Peñarol, entrambe di Montevideo – a scontrarsi in una serie di gare che sarebbe passata alla storia, nella sua totalità, come “la partita più lunga di sempre”.

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Heleno de Freitas, “il Principe Maledetto”

La maggior parte degli infermieri che se ne prendevano cura, in quel sanatorio quasi dimenticato da Dio nei pressi di Barbacena, ignorava chi fosse quel giovane uomo malandato che si aggirava nei corridoi della struttura, percorrendoli avanti e indietro senza pace. La sigaretta costantemente in bocca, lo sguardo spiritato, apriva la bocca quasi esclusivamente per offendere il primo che gli capitava a tiro. Di tanto in tanto, però, si calmava. E raccontava storie incredibili.

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Kazu Miura, altro che meteora

Il Dizionario Italiano definisce il significato di “Meteora”, quando si parla di artisti o uomini di sport, come “detto di persona che ha avuto grande fama per poco tempo”.

Per molti appassionati di calcio del Belpaese, Kazuyoshi Miura, primo giapponese a calcare un campo di Serie A, è stato una meteora: una fugace esperienza, appena una stagione al Genoa, e poi la scomparsa dai radar.

Molto si ironizzò su di lui e sulle sue presunte capacità tecniche, e prima dell’arrivo di Hidetoshi Nakata – il miglior calciatore proveniente dal Sol Levante mai visto – si continuò a pensare ai calciatori giapponesi come a delle vere e proprie macchiette, degli esaltati cresciuti con il mito di “Holly & Benji” senza una vera formazione tecnica.

Eppure per molti appassionati nipponici Kazu Miura è stato il più grande calciatore giapponese di sempre, e questa è la sua storia.

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Aleksandar Duric, la “Goal Machine” di Singapore

La via per l’affermazione, nel calcio, segue a volte strade misteriose e mai battute. Su questo sito potete trovare storie in questo senso singolari come quella di Lutz Pfannenstiel, portiere giramondo capace di giocare in tutti e sei i Continenti calcistici. Un altro esempio può essere la straordinaria quanto curiosa carriera di Aleksandar Duric, che da profugo durante la Guerra dei Balcani è riuscito a diventare la più grande leggenda di un esotico paese asiatico.

Quella che state per scoprire è la storia di un uomo nato canoista e scopertosi calciatore, nato nella ex-Jugoslavia e che dopo essere fuggito dagli orrori della guerra ha trovato una nuova vita e una nuova patria a Singapore, dove è diventato addirittura eroe indossando la maglia della Nazionale e la fascia di capitano. Il tutto, naturalmente, a suon di gol.

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Duncan Edwards, per sempre giovane

La secolare storia del football inglese è colma di leggende, personaggi unici ed irripetibili che dai tempi dei pionieri sono pervenuti fino ai giorni nostri, conservando immutato il loro fascino. Il gigantesco portiere William Foulke, il talento sprecato di Paul Gascoigne e poi George Best, Stanley Matthews, Bobby Charlton, Robin Friday e molti altri ancora, cui non basterebbero centinaia di pagine per raccontarne la storia.

Per molti tifosi inglesi, però, sopra tutti i grandi c’è stato un solo giocatore. “Il più grande” di tutti. Duncan Edwards, un calciatore entrato nella leggenda pur avendo giocato appena cinque stagioni da professionista. Tanto gli bastò per entrare nel cuore dei tifosi inglesi e non uscirne mai più.

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Allez Calais: l’incredibile storia dei dilettanti che conquistarono la Francia

Chi si ricorda del Calais?

Quando in Italia ci lamentiamo dello scarso appeal calcistico che ha la nostra Coppa Nazionale dimentichiamo spesso che basterebbe ben poco per restituire dignità a questo trofeo.

Il fatto che venga snobbato da media e tifosi è una conseguenza diretta dello scarso interesse che i nostri club per primi provano per quello che poi, al termine della stagione, è pur sempre il secondo trofeo nazionale.

L’alto numero di partite che si giocano in un’annata calcistica non può poi essere realmente considerata una giustificazione per quelle squadre (anche di bassa classifica) che usano la Coppa Italia per dare spazio alle riserve mai utilizzate in campionato, visto che in molti paesi evoluti calcisticamente di coppe ce ne sono addirittura due o più.

Si tratta di un mero calcolo economico: una squadra anche di medio livello trae più soldi da un buon piazzamento in campionato (con magari una qualificazione in Europa) piuttosto che dal raggiungimento di un turno finale di Coppa.

È però anche questione di cultura e di tradizione, e resto dell’avviso che bisognerebbe donare alla nostra Coppa Italia un senso, in un modo o nell’altro.

In altri paesi, come detto, la Coppa Nazionale ha tutto un altro significato, e tutt’altro fascino.

Ad esempio in Francia, dove nel 2000 accadde un piccolo miracolo calcistico: protagonista una minuscola squadra di dilettanti di un meraviglioso paese sulla Manica, il Calais.

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Enéas, il brasiliano triste che fece innamorare Bologna

Quel 27 Dicembre del 1988 si dice che ogni tifoso del Bologna versò una lacrimuccia. In seguito ai postumi di un incidente stradale, dopo quattro mesi di battaglia, si spegneva – a 35 anni ancora da compiere – la giovane vita di Enéas de Camargo, per il mondo del calcio semplicemente Enéas.

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Leônidas, il “Diamante Nero”

Quasi ogni calciatore sogna un giorno di giocare i Mondiali con la maglia del proprio paese. Infatti, quasi tutti i più grandi calciatori della storia sono stati protagonisti nella Coppa del Mondo, a lungo e forse anche a tutt’oggi la vetrina più importante che il calcio offra.

Eppure ci sono stati grandi calciatori che ai Mondiali non hanno lasciato il segno: alcuni per essere parte di un movimento calcistico incapace di offrire una Nazionale abbastanza competitiva, ed è il caso del gallese Giggs, del nord-irlandese Best, dello svedese Ibrahimovic, del liberiano Weah e di molti altri.

Il grandissimo Alfredo Di Stefano (da molti considerato il più grande calciatore della storia, più di Pelé e Maradona) giocò sia con la Spagna che con l’Argentina, ma senza lasciare traccia: per entrare nella storia ha però vinto 5 Coppe dei Campioni consecutivamente, trascinando un Real Madrid zeppo di campioni sul tetto del mondo.

Ma il giocatore di cui oggi vorrei raccontare qualcosa, sconosciuto ai più in quanto simbolo di quel calcio dei pionieri mai abbastanza conosciuto, pur avendo deluso con la sua Nazionale in ben due Mondiali, è riuscito in una edizione ad essere il capocannoniere del torneo.

E poi, per tutti quelli che lo conoscono, è stato colui che ha inventato la rovesciata. Parliamo di Leônidas da Silva, per tutti semplicemente Leônidas, il Diamante Nero.

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Lutz Pfannenstiel, globetrotter inarrestabile

Ogni calciatore ha la sua storia. C’è chi da bambino sogna di giocare per la propria squadra del cuore, chi sogna di vincere coppe e trofei, giocare negli stadi più prestigiosi del mondo e magari vestire la maglia della Nazionale.

Per quei pochi che arrivano a realizzare questi sogni molti altri finiscono per essere piccole comparse nel grande racconto del calcio, magari giocando nelle divisioni minori e riuscendo comunque a fare del football il proprio lavoro ma con un pizzico di malinconia di quello che poteva essere e invece non è stato.

A volte è sfortuna, a volte mancanza di talento o di carattere, spesso una combinazione di tutte queste cose. C’è chi potrebbe deprimersi.

Ma questa è la storia di un calciatore che, pur dotato di un certo talento, ha deciso di vivere la sua vita calcistica in modo completamente diverso, inseguendo più la conoscenza che il denaro e la fama, più la crescita personale che quella sportiva. Finendo per avere una carriera unica ed inimitabile, una carriera da “Guinnes dei Primati” quasi impossibile da ripetere.

Finendo per diventare non il portiere di una squadra, o di un certo numero di squadre, o di una Nazionale, ma “il Portiere del Mondo”, un nomade inarrestabile affamato di calcio e voglia di conoscere le diverse realtà – calcistiche e non – del pianeta.

Questa è la storia di Lutz Pfannenstiel.

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