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Categoria: Storie nel pallone

I racconti degli eroi del calcio e delle loro incredibili vite

Lungarni e vecchie viole

Devo riavvolgere il nastro, lo faccio ogni gennaio. Mio zio Egisto era un omone grande e grosso classe 1935 che abitava in Via Alessandro Manzoni in un appartamento di quei caseggiati austeri intonacati fra il grigio e il bianco che defluiscono nello slargo neoclassico di Piazza Beccaria.

Nel 1989 lavorava alla Sita (Società Italiana Trasporti Automobilistici) ma ormai cominciava a bramare alla meritata pensione dopo una vita passata sui mezzi pubblici. Ogni domenica, o quasi, che la Fiorentina giocava al Comunale mi veniva a prendere alla Stazione di Santa Maria Novella intorno alle 12 dopo essermi fatto un deprimente viaggio ferroviario Siena-Firenze la cui tratta era, e credo lo sia ancora, rimasta invariata, finanche nei vagoni, dai tempi del Granduca Leopoldo.

Questa città è scriteriata mi diceva (mentre con la sua Fiat Ritmo verde bottiglia ci infilavamo nel traffico dei lungarni) dovrebbe avere l’onore di essere ferma da secoli e invece ogni giorno un nuovo senso unico, una nuova direttiva, un nuovo divieto, bah, non ci si capisce più nulla.

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Eric Liddell: vita di un missionario scozzese a Tianjin

L’articolo che state per leggere è stato scritto da Nicholas Gineprini, autore del libro “Il Sogno Cinese 中国梦 Storia ed economia del calcio in Cina” e creatore del portale dedicato al calcio in questa particolare e pittoresca realtà “Calcio8Cina”: il consiglio è quello di seguire questo progetto per scoprire tanti dati e curiosità su un mondo calcistico così diverso e affascinante come quello cinese.

Nell’estate del 2018 alcuni tifosi del Tianjin Teda, si sono recati nella città di Weifang (provincia di Shandong) per assistere al match della propria rappresentativa giovanile valido per il campionato U17. Nulla di rilevante dal punto di vista della prestazione, ma assolutamente per quel che concerne la cultura sportiva. Tianjin e Weifang sono le due città che hanno segnato l’inizio e la fine della vita di Eric Liddell: scozzese, missionario, atleta olimpico, ma soprattutto un eroe per il popolo cinese e i supporters del Tianjin Teda.

Così un tifoso del Teda, Guanpeng Wang, uno dei fondatori del gruppo ultras Flying Tigers of Tientsin, scrive sui propri profili social.

Prima di andare a vedere la partita, sono stato al campo di concentramento di Weifang, con fiori blu e bianchi (i colori della mia squadra), ho scritto una lettera e portato una bandiera. Volevo dire grazie a Mr. Eric Liddell. Questo è il posto dove ci ha lasciati. Non tutti credono negli eroi, ma credo che Eric debba essere definito come tale.

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Asbjørn Halvorsen e Otto Harder, l’eroe e il nazista

L’ascesa del nazismo e lo scoppio della seconda guerra mondiale travolsero come un’onda tutta l’Europa, mutando confini e paesaggi tanto quanto i rapporti tra le persone, i pensieri, i valori umani che fino a quel momento erano stati dati per scontati.

Era inevitabile che questo avrebbe avuto importanti conseguenze in ogni aspetto della vita umana. Umpensabile che il calcio e i calciatori, all’epoca tutt’altro che protetti da una “gabbia dorata”, sarebbero riusciti a evitare una follia che il mondo intero aveva già vissuto pochi decenni prima, quando i morti erano stati innumerevoli e la lezione sembrava essere stata appresa.

L’orrore causato dal nazifascismo avrebbe toccato le vite di milioni di persone: tra queste anche quelle di Asbjørn Halvorsen e Otto Harder, amici di lunga data che avevano scritto a Amburgo pagine di calcio indimenticabili le cui esistenze, in seguito allo scoppio della guerra, avrebbero preso direzioni drasticamente, e drammaticamente, diverse.

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Andrew Watson, la vita del primo calciatore di colore nella storia

Il 12 marzo del 1881 i quasi diecimila tifosi inglesi che avevano raggiunto l’Oval di Londra per assistere all’annuale sfida tra Inghilterra e Scozia restarono senza parole. Non tanto per il risultato maturato in campo dai propri beniamini, una sconfitta 6-1 che purtroppo non era una novità ma l’ennesima batosta rimediata contro i cugini, quanto perché per la prima volta furono testimoni di un fatto allora considerato quasi incredibile: un nero era capace di giocare a calcio.

Non solo: quel “nero” aveva indossato anche la fascia di capitano della Scozia, e nonostante i sei gol segnati dai suoi era stato lui, difensore, il migliore in campo. Elegante dentro e fuori dal campo, straordinariamente potente, tatticamente acuto e allo stesso tempo coraggioso e pulito nell’intervento, aveva giganteggiato sugli avversari in modo innegabile.

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2 marzo 1878, Scozia-Inghilterra 7-2: la caduta dei Maestri

Se si dovesse stilare una lista delle partite che hanno letteralmente cambiato la storia del football, Scozia-Inghilterra 7-2 del 2 marzo 1878 meriterebbe senz’altro di essere inserita nelle prime dieci. Questo perché fu in questa gara che emerse prepotente la consapevolezza degli uomini delle Highlands di aver compreso meglio dei cosiddetti “Maestri” i segreti del gioco che soltanto ufficialmente aveva preso forma a Londra nell’autunno-inverno del 1863.

Non solo questa partita sarebbe rimasta per ben 76 anni la peggior sconfitta mai patita dall’Inghilterra, ma anche perché fu la prima prova di come gli orgogliosi ideatori del football fossero un popolo restio ai cambiamenti, soprattutto se partoriti da Paesi naturalmente considerati sudditi dell’Impero. Non è certo un caso, del resto, che la successiva, storica, debacle sarebbe arrivata ancora una volta per gli stessi motivi, un 7-1 inflitto agli inglesi dall’Ungheria di Puskas e del “calcio socialista” già vittoriosa 6-3 a Wembley pochi mesi prima e che fu affrontata senza cambiare minimamente schieramento, strategia o mentalità.

In ogni caso la sconfitta del 1878 segnò per la prima volta la fine della superiorità inglese: pur non volendolo riconoscere, i “Maestri” si trovarono impotenti di fronte al gioco degli scozzesi, incapaci di reagire e infine, dopo altre batoste di simile entità, costretti a ripensare le basi del proprio movimento calcistico. È più che probabile che fu proprio Scozia-Inghilterra 7-2 a dare il via a quei cambiamenti che negli anni avrebbero portato alla nascita degli scotch professors, l’ascesa del professionismo e infine la nascita della Football League e del calcio moderno.

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Eugène Maës, la prima stella del calcio francese

Per scoprire chi fu Eugène Maës bisogna compiere un lungo viaggio a ritroso nel tempo, fin quasi all’inizio del XX secolo: un tempo in cui il calcio aveva appena fatto la sua comparsa ufficiale in Europa, anni in cui onesti mestieranti inglesi, fuori dai patri confini considerati veri e propri fuoriclasse, avevano da poco insegnato i fondamentali del gioco a italiani e spagnoli, tedeschi e francesi, popoli che un giorno quello stesso gioco lo avrebbero dominato.

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Sir Francis Marindin, il Colonnello del football

Nato nella città di mare di Weymouth, nel Dorset, Francis Marindin non poteva sapere che proprio una missione al di là del mare avrebbe finito per sottrargli il solo, meritatissimo, successo che sarebbe stato in grado di cogliere come calciatore.

Accadde il 13 marzo del 1875, quando la sezione calcistica dei Royal Engineers, che lui stesso aveva fondato poco più di dieci anni prima, riuscì al terzo tentativo a trionfare in quella che era la quarta edizione della Football Association Challenge Cup, la Coppa d’Inghilterra.

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Sam Bartram, il portiere nella nebbia

Il rinomato allenatore Alan Curbishley, che dal 1991 al 2006 si è seduto sulla panchina del Charlton, descrisse con poche ma efficaci parole l’eredità lasciata al club da uno dei suoi giocatori più rappresentativi di tutti i tempi:

Quando parli del Charlton uno dei primi nomi che qualsiasi tifoso o semplice appassionato cita è quello di Sam Bartram.

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Lutz Pfannestiel, il portiere che resuscitò tre volte

Il football nasce ufficialmente in Inghilterra nel dicembre del 1863, quando gli uomini illuminati che hanno da pochi mesi fondato la Football Association scrivono per la prima volta quelle che saranno le Laws of the Game, le regole del gioco. Nel giro di poche decine di anni il gioco diventa molto più che un semplice passatempo, coinvolge città, smuove le folle, attira denaro e soprattutto entra prepotentemente nella vita e nella cultura britannica come nessuno sport prima è stato capace di fare.

Sul campo il gioco compie diverse evoluzioni, ma una tradizione rimane salda: il Boxing Day, l’equivalente del nostro Santo Stefano, il giorno successivo a Natale, si gioca su tutti i campi, dai fangosi pantani delle divisioni inferiori alle modernissime pelouse della ricca Premier League.

E se è vero che il gioco, ad alti livelli, si è evoluto – pur con notevole ritardo rispetto al resto d’Europa – nei gradini più bassi della piramide calcistica nazionale in giù vige ancora il buon vecchio kick and rush. Calcia e corri, dove più che il buon tocco di palla o la raffinata visione tattica contano corsa, fiato, coraggio, le qualità che richiede – e di cui si accontenta – chi per Santo Stefano si trova a guardare una partita di settima, ottava, nona divisione.

Si gioca il 26 dicembre dal 1860, da quando cioè, ben prima che nascesse la Football Association, si disputò la prima partita ufficialmente registrata come tale, il derby tra Sheffield FC e Hallam, all’epoca le uniche due squadre esistenti al mondo, e si sa quanto gli inglesi siano legati alle tradizioni. Nel corso degli anni niente ha scalfito questa usanza, e numerosi sono stati gli episodi da ricordare, ma quello che riguardò il tedesco Lutz Pfannenstiel nel 2002 merita di essere raccontato.

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José Leandro Andrade, “la Meraviglia Nera”

In principio fu Montevideo, in principio fu l’Uruguay. Il luogo dove si svolsero i primi Mondiali di sempre, datati 1930; la squadra che per prima alzò al cielo la Coppa Rimet.

Una compagine che univa classe e forza. La prima rappresentata da un attacco di artisti quali El Vasquito Pedro Cea, el Divino Manco Castro e Héctor Scarone, soprannominato el Gardel del fútbol per la sua eleganza infinita; la seconda sintetizzata nella durezza e nella tenacia di capitan Nasazzi, el Gran Mariscal, leader di una difesa a tratti insuperabile.

Tra difesa e attacco lui, José Leandro Andrade, mirabile sintesi di tutte le qualità che possono servire per creare il calciatore perfetto: fisico, eleganza, capacità di trattare la sfera e abilità nell’essere ugualmente efficace in entrambe le fasi di gioco.

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Il Tottenham Hotspur e la Coppa UEFA 1984

Questa storia incomincia un giorno prima. Incomincia la notte precedente alla finale di andata della Coppa Uefa 1983/84. Il gestore del locale “Les Mosquetairs”, situato nel quartiere a luci rosse di Bruxelles, uccide un tifoso degli Spurs con un colpo di fucile per difendersi da quella che lui definì un’aggressione.

Il caduto si chiamava Ian Flanagan, un irlandese. Pericoloso? Forse. Gli altri: “Ci hanno provocato”.

Non ci fu tempo per le riflessioni. Gli inglesi sfogarono la loro rabbia per la morte del ragazzo mettendo a ferro e fuoco la città per tutta la notte. Saccheggi, vetrine in pezzi, auto distrutte: risultato oltre 300 arresti.

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