Dino Fiorini e Mario Pagotto, uniti dal calcio e divisi dalla guerra

11 giugno 1933.

Dino Fiorini, giovane virgulto del vivaio bolognese, debutta da titolare in prima squadra dove rapidamente scalerà i gradi.

La partita è Pro Patria-Bologna, il risultato finale 3 a 3. Il giovane si distingue bene, considerata l’età (di lì a un mese sarà maggiorenne), gioca con sicurezza mettendo in mostra ottime doti fisiche e tecniche. Insomma, il ragazzo “si farà”, anche se un carattere fin troppo esuberante potrebbe fermarlo: “Mettetevi d’accordo, perché presto uno dei due mi lascerà il posto!” dice alla coppia di terzini titolari della squadra, i fortissimi Monzeglio e Gasperi, che reagiscono con un ceffone bonario.

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“Juan” John Harley, o della nascita del calcio in Uruguay

Nella storia secolare del calcio vi è un antico detto: “Se gli inglesi hanno inventato il football, gli scozzesi hanno insegnato al mondo come questo andava giocato”. Si tratta di un’affermazione del tutto veritiera: se è innegabile che il nostro amato gioco abbia preso forma e sostanza a Londra nella metà dell’800, infatti, è impossibile negare che i primi maestri della tattica siano stati gli uomini delle Highlands, teorici del primo gioco organizzato, il passing game, e abili a superare prima e influenzare poi il modo di giocare di coloro che, forse a torto, si ritenevano i maestri.

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“Dammi tre minuti” (Torino-Juventus = 3-2, 1983)

Quella domenica decisi di prendermela comoda, di non partire troppo presto.

Già in nottata era tornata l’ora legale e le lancette si erano mosse inclementi, quasi furtive, in avanti nel quadrante. Inoltre ad aspettarmi ci sarebbe stata una settimana fatta di alzatacce alle cinque di mattina e mi scoppiava la testa solo a pensarci.

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Lo Stadium di Torino, gigante dimenticato (con Antonio Cunazza)

Un impianto enorme, capace di contenere al suo interno 40.000 spettatori e dotato di ogni comfort possibile. Spogliatoi, uffici e locali di servizio, sale indoor interne per altre manifestazioni sportive e riunioni di vario genere. Gallerie, dormitori per atleti e sale buffet. Multifunzionale, capace dunque di ospitare partite di calcio ma anche corse di auto e moto, gare di atletica, parate e rappresentazioni. Un’eccellenza italiana.

Un monumento atto a celebrare lo sport in ogni sua forma.

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La tribuna più antica del mondo

No dai, questa non la sapete. Questa è bella davvero. Fra le primizie della storia del calcio c’è ne è una davvero curiosa: la tribuna più antica e ancora rigorosamente in funzione è quella del Great Yarmouth Town Football Club, nel suggestivo scenario del Wellesley Recreation Ground, impianto disposto sulla costa ventosa del Norfolk.

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Jack Addenbrooke, il cuore e l’anima dei Lupi

Il nome di Jack Addenbrooke poco dirà alla stragrande maggioranza degli appassionati italiani di calcio, ma anche nell’Inghilterra della ricchissima Premier League, di Guardiola e Mourinho, potrebbe capitare che citando questo nome si ottenga dal nostro interlocutore uno sguardo perplesso e una domanda: “Chi era?”

Eppure, nella storia del football, nessuno più di Jack Addenbrooke ha saputo identificarsi con la squadra della propria città, risultandovi coinvolto sin dal primo giorno e dedicando poi ad essa la maggior parte della propria vita.

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Perugia 1979, trenta e lode

Dove nascondevate quello specchio?

Quello in cui ogni domenica riflettevate la vostra bellezza e restavate assorti, come rapiti da un estasi partorita da uno strano destino. Quello che sussurrava al vostro orecchio che eravate talmente attraenti da non dover rischiare di cedere al passo audace della gloria ma di limitarvi nella contemplazione dell’unicità del primato.

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Arthur Wharton, il “colored” che rivoluzionò il football

La domanda che si fecero i membri del comitato a capo del Darlington Football Club nell’estate del 1885, mentre il giovane Arthur Wharton si presentava al campo d’allenamento per mostrare a tutti le sue qualità di footballer, aveva una risposta tutt’altro che scontata.

“Può un nero giocare al football?”

In un’epoca infatti in cui persino l’Encyclopædia Britannica definiva “the Negro” come un essere “mentalmente inferiore al bianco” per via “dell’impossibilità del cervello di svilupparsi completamente a causa della particolare forma del cranio”, in un periodo in cui l’Impero Britannico invadeva l’Africa per aumentare le proprie ricchezze senza curarsi di chi quelle terre abitava – ed era evidentemente “sacrificabile” in nome di Sua Maestà la Regina – a tutti doveva sembrare ben strano che quel giovane ed energico ragazzo di colore avesse deciso di cimentarsi con il pallone.

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Gigi Meroni, ala di farfalla

L’arazzo sembra abbia i contorni particolarmente confusi e invece a guardarlo bene i fili che lo intrecciano sono fissati da una rara combinazione di bellezza e talento, dove la parola bellezza va strappata dalla stretta attualità per riportarla dentro la sua densità semantica primordiale, ossia nella grazia, in quelle note apparentemente dissonanti che regalano una melodia contro cui non può competere la più trionfante espressione del contemporaneo.

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Tra finte e zagaglie: l’incredibile avventura degli Sheffield Zulus

Quando il pubblico che aveva preso posto sugli spalti del Recreation Ground di Chesterfield, il 24 novembre del 1879, vide entrare la misteriosa squadra che avrebbe affrontato i beniamini locali, non furono pochi i presenti che dovettero stropicciarsi gli occhi per capire l’inganno.

Curiosi, gli appassionati di football presenti in città avevano acquistato il biglietto per assistere a una sfida contro la rappresentativa calcistica del Regno Zulu, ed ecco che quando questa misteriosa selezione fece il suo ingresso in campo lo stupore zittì per un momento gli spalti.

Fu il capitano degli africani, Re Cetewayo, a prendere la parola e a rivolgersi ai presenti in un’insospettabilmente ottimo inglese: oltre a combattere strenuamente i britannici nel lontano Sud Africa, disse, gli Zulu erano capaci di sfidare i sudditi di Sua Maestà anche in casa propria, e di farlo nel football, il gioco che stava lentamente ma inesorabilmente diventano lo sport nazionale inglese.

Cetewayo e i suoi, dunque, avrebbero percorso l’Inghilterra cercando avversari all’altezza, accontentandosi di mietere vittorie e lasciando l’incasso delle sfide al popolo inglese, che avrebbe potuto utilizzare il denaro per aiutare le tante famiglie private di un proprio caro caduto al fronte, magari trafitto da una zagaglia come quelle che gli Zulu mostrarono orgogliosi, prima di esibirsi in una singolare danza rituale che avrebbe preceduto il calcio d’inizio.

C’era da crederci?

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Hughie Gallacher, leggenda e tragedia

Chi era mai quel piccolo uomo di mezza età che, da almeno un’ora, percorreva avanti e indietro la banchina della stazione ferroviaria di Gateshead?

Erano ben pochi i presenti che se lo domandavano: nonostante avesse appeso gli scarpini al chiodo da almeno vent’anni, tutti in città sapevano chi fosse Hughie Gallacher, il grande centravanti del Newcastle e della Scozia.

Il mago dell’area di rigore, capace di sbattere la palla in fondo al sacco in qualsiasi modo e contro qualunque avversario.

Quello che una volta era stato il più grande centravanti del Tyneside piangeva e imprecava, lo sguardo perso nel vuoto e le orecchie sorde ai saluti dei presenti. Da tempo le cose non andavano più bene, del resto.

Da quando, terminata la gloria dei campi di gioco, si era ritrovato come molti altri eroi del suo tempo dall’altare alla polvere nel giro di un attimo.

Il football, che tanto gli aveva dato nei suoi anni migliori, esigeva sempre nuovi eroi, e non c’era proprio modo che si fermasse ad onorare chi un tempo aveva scaldato i cuori dei tifosi e adesso, per sopraggiunti limiti di età, non ne era più capace.

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Genoa, you are red and blue

Se qualcuno avesse dovuto dipingere Genova in quel momento, nell’attesa, col sole basso sul mare, avrebbe usato colori a olio per ottenere una pasta lucida e spessa allo stesso tempo.

Avrebbe mescolato il blu e il rosso in una tonalità intensa con cui avrebbe coperto tutto, ma schiacciando forte il pennello sulla tela, per separare le setole e lasciare lunghe strisce biancastre sporcate appena di colore. Allora avrebbe aggiunto ancora del rosso per sfumare quel cielo, assottigliarlo e dilatarlo fino a farlo scivolare lentamente in una tonalità meno accesa.

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