Joe Gaetjens è stato l’autore di uno dei gol più importanti nella storia del calcio. Nella vita di tutti i giorni un lavapiatti di New York di origini haitiane, prese il passaporto statunitense proprio alla vigilia dei Mondiali del 1950 e lì stese un’Inghilterra considerata da tutti imbattibile. L’eroe del “Miracolo sull’Erba” sarebbe poi rientrato nel suo Paese in tumulto, trovando una precoce quanto tragica fine.
Quel tiro da poco più di 20 metri di Walter Bahr è ben indirizzato, ma del tutto innocuo: Bert Williams, accreditato come uno dei migliori portieri dell’epoca, non potrà essere battuto così. E infatti rapido si muove, pronto al tuffo che sventerà quell’assurdo e quasi dilettantesco tentativo.
Quand’ecco che dal nulla spunta Joe Gaetjens, che si tuffa e di testa devia il pallone quel tanto che basta per spiazzare il portiere. Williams è sorpreso, la palla lentamente rotola verso la rete. È gol. Chi lo ha realizzato è ancora a faccia in giù nell’erba, forse neanche immagina di aver segnato una delle reti più importanti nella storia del calcio.
È un momento storico. È il Mondiale del Brasile, anno 1950.
Il Miracolo sull’Erba di Joe Gaetjens
Gli Stati Uniti, autentici dilettanti allo sbaraglio, hanno appena segnato un gol ai maestri del football dell’Inghilterra, alla loro prima apparizione dopo anni di auto-esilio imposti da una superbia che si rivela infondata. I maestri inglesi scoprono che non solo nel resto del mondo qualcuno gioca a calcio meglio di loro, ma anche che questo qualcuno può essere la improbabile e malmessa compagine americana.
La partita, dopo il gol di Gaetjens, non si sblocca più. L’ansia assale gli inglesi, la sfortuna li perseguita, ogni rimpallo dice bene agli americani, nella cui porta giganteggia l’addetto alle pompe funebri di origini italiane Frank Borghi. Non sa assolutamente calciare il pallone – nei rinvii da fondo campo se ne occupano i terzini – ma con le mani ci sa fare, e in quello storico pomeriggio prende pure le mosche.
Il difensore Charlie Colombo, soprannominato Gloves per via della sua abitudine a giocare sempre con guanti di pelle tagliati alle dita, è per molti il migliore in campo: picchia come un fabbro gli eleganti ma timorosi attaccanti inglesi, corre e si sfianca per 90 minuti.
Ci si mette pure una traversa, per i figli di Albione, ma finisce così. 1-0 per gli Stati Uniti. E tra Borghi e Colombo spicca ovviamente lui, l’autore del goal, l’eroe della giornata. Joe Gaetjens, cognome dal sapore fiammingo, classe europea. Haitiano in procinto di prendere una cittadinanza americana che invece mai prenderà.
Contro ogni previsione
Eppure non esiste un’immagine chiara di quella rete. I fotografi e i cineoperatori si erano messi tutti dietro la porta degli americani, immaginando una pioggia di reti inglesi in quella che appariva come una partita che sarebbe stata giocata sicuramente in una sola metà di campo e che certo sarebbe andata a senso unico.
Le quote dei bookmaker sui Mondiali del 1950, del resto, indicavano la vittoria finale dell’Inghilterra 3 a 1. Gli Stati Uniti, d’altro canto, erano stati considerati soltanto per dovere ed erano dati dagli allibratori 500 a 1. Una differenza abissale, che nella gara passata alla storia come “il miracolo di Belo Horizonte” (o “The Miracle on Grass”, il miracolo sull’erba per gli americani) non si vide affatto.

Il team degli Stati Uniti era stato costruito in fretta e furia pochi mesi prima, giusto per evitare agli americani un’altra figuraccia come quella rimediata alle Olimpiadi del 1948, dove erano usciti al primo turno sconfitti dall’Italia per 9-0. Un risultato pesante, seguito da due sconfitte in amichevole con Norvegia (11-0!) e Irlanda del Nord (5-0) che aveva convinto i dirigenti americani che ai Mondiali sarebbero arrivate figuracce addirittura più congrue.
Qualificatisi senza molto onore, grazie a una vittoria ed un pari contro Cuba, due sconfitte (6-0 e 6-2) contro il Messico – e con il Canada che si era ritirato – ai dirigenti non rimaneva che mettere su la miglior compagine possibile unendo sei superstiti delle Olimpiadi ad altri giocatori locali.
Uno storico melting pot
Fu così che nacque la squadra americana, che univa un gruppo che si conosceva bene di giocatori della zona di St. Louis ad altri calciatori comunque dilettanti, alcuni dei quali rifiutarono per via del lavoro. Pochi giorni prima della partenza per il Sudamerica arrivarono gli ultimi tre rinforzi.
Sono il terzino belga Joseph “Joe” Maca, un passato nella terza serie del suo Paese che ha anche servito con onore durante la seconda guerra mondiale. Il mediano scozzese Ed McIlvenny, che ha indossato le maglie di Grennock Morton e Wrexham e che addirittura vestirà, seppur per breve, anche quella del Manchester United. Infine Joe Gaetjens, bomber e stella dell’American Soccer League con i New York Brookhattan Galicia. Studia per diventare contabile e sbarca il lunario come lavapiatti al Rudy’s Cafè, un ristorante ispanico ad Harlem.

In gioventù stella dell’Etoile Haitienne, compagine di Haiti dove ha esordito ad appena 14 anni e con cui ha vinto due campionati nazionali, Joe Gaetjens è venuto in America per studiare alla Columbia University, e nel tempo libero lavora come lavapiatti nel ristorante di uno dei tanti proprietari di squadre più o meno dilettantistiche nella zona di New York.
È figlio di una nobile famiglia decaduta: i Gaetjens sono arrivati ad Haiti grazie al bisnonno di Joe, Thomas, emissario del regno di Prussia per conto di Federico Guglielmo III. Arrivato sull’isola si è sposato con la figlia di uno degli eroi dell’indipendenza di Haiti. Anche se non hanno più la fortuna di una volta, vivono commerciando rum e tabacco e hanno un peso politico notevole nell’isola Caraibica. Gaetjens, non essendo americano, non può partecipare ai Mondiali, ma gli Stati Uniti trovano la soluzione.
Americano per un mese
Visto che ogni Paese crea la sua selezione nazionale secondo le proprie regole interne, ai dirigenti americani basta una dichiarazione dove Gaetjens si impegna ad assumere la nazionalità degli Stati Uniti in futuro. Ed ecco che è abile e arruolabile. I compagni se lo ritrovano in squadra così, dalla sera alla mattina, e non hanno ovviamente niente da ridire: il ragazzo è nella piena maturità, 26 anni, e mostra numeri da gran giocatore.
Molto agile e incredibilmente rapido, ha il gol nel sangue e una discreta tecnica di base, ottima considerato il livello qualitativo del team a stelle e strisce. La prima partita del Mondiale è una piacevole sorpresa: gli americani passano in vantaggio con la Spagna grazie ad un gol di Gino Pariani, uno dei numerosi italo-americani presenti in rosa, e solamente nel finale, a causa della loro inesperienza, vengono raggiunti e superati dalla Spagna.
È un 3-1 che non fa male, anche perché l’attenzione di tutti è già alla partita successiva, contro gli esordienti (ai Mondiali) maestri del calcio, la fortissima Inghilterra del Pallone d’Oro Stanley Matthews.
Davide contro Golia
Gli inglesi dominano, poi vengono sorpresi dalla rete di Joe e perdono. Lo shock è così grande che in Inghilterra, pensando ad un errore dei telegrafi, leggono 1 a 0 e pensano 10 a 0, come se dal Brasile si fossero dimenticati uno 0. Leggenda vuole che alcuni giornali pubblichino addirittura questo risultato.

E invece no, gli americani stupiscono il mondo sconfiggendo i supponenti inglesi: si tratta di un fuoco di paglia, e nella successiva (e decisiva, ai fini della qualificazione) partita vengono impallinati dal Cile ed escono. Finisce 5-2 per i sudamericani, con Borghi che torna umano e Colombo che abbandona il campo di sua spontanea volontà in piena crisi di nervi, distrutto moralmente dai numeri irrisori dei cileni.
Per la cronaca l’Inghilterra si dimostrerà squadra effettivamente sopravvalutata, perdendo con la Spagna e salutando anch’essa la competizione al primo turno.
Meteora in Francia
Anche gli Stati Uniti tornano a casa, ma molti dei giocatori ricevono interessanti proposte. McIlvenny torna in Gran Bretagna per una fugace esperienza nel Manchester United, e anche Maca torna a casa in Belgio, anche in questo caso per una sola stagione. A Colombo viene proposto addirittura un futuro in Brasile, a cui però rinuncia per restare ad allenare nell’area della sua amata St. Louis.
Joe Gaetjens vola invece in Francia, dove lo vuole il prestigioso Racing Club de Paris. Sarebbe una grande opportunità per lui, ma a causa di una serie di infortuni riesce a giocare appena 4 gare, e pur segnando 2 gol non si guadagna la conferma. L’anno successivo scende in seconda divisione per giocare all’Alés. Ancora 2 gol, stavolta però in 15 presenze per la maggior parte anonime a causa anche di un ginocchio che non ne vuole sapere di stare bene.
Nel 1953, a 29 anni e ad appena 3 dal “gol che è stato sentito in tutto il mondo”, Gaetjens torna a casa. Non negli Stati Uniti, ma a Haiti. Non solo sarà la stella del modesto campionato locale con la maglia dell’Etoile Haïtienne, ma anche il testimonial di importanti brand come Colgate e Palmolive. O almeno questa è l’intenzione: accolto da centinaia di tifosi, si ritirerà però poco dopo. Forse il successo gli ha dato alla testa, forse è semplicemente stufo del calcio. O forse c’entrano quei numerosi acciacchi patiti e alcune misteriose perdite di sangue dal naso quando il fisico è sotto sforzo. Nessuno lo saprà mai.
“Un ragazzo adorabile”
La promessa di prendere la cittadinanza americana non verrà mai mantenuta, e ciò gli permetterà di giocare anche con la maglia della Nazionale di Haiti una volta, prima di ritirarsi. Nel 1953 gli Stati Uniti visitano Haiti per le qualificazioni ai Mondiali del 1954, e Gaetjens ospita i suoi ex-compagni in un party nella sua villa a Port-au-Prince. È la prima volta che gli eroi che fecero l’impresa contro l’Inghilterra si rivedono.
Tutti ricorderanno quel giorno, quello in cui rivedono l’amico Joe. Allegro come sempre, generoso in modo naturale, non artefatto. Capace di perdersi per ore dietro ai tanti bambini che gli chiedono monete, magliette, palloni, tanto da tornare a casa spesso quasi in mutande.
“Un ragazzo adorabile, puro e ingenuo come un bambino”, ricorderà anni dopo il compagno Keogh.
E un bimbo non può credere che esista il male. Joe Gaetjens ama la moglie, i suoi figli, il calcio, e non ha nessun interesse nella politica. La sua famiglia però è ancora influente e appoggia Louis Déjoie, un parente che perde le elezioni politiche del 1957 a favore di François Duvalier.
Anche se i Gaetjens residenti ad Haiti hanno un buon rapporto con il nuovo Presidente, i due fratelli più giovani di Joe sono in Repubblica Dominicana da dove, si dice, vogliono organizzare un colpo di Stato. Quando l’8 luglio del 1964 Duvalier annulla la democrazia haitiana dichiarando se stesso presidente a vita, i Gaetjens rimasti capiscono che aria tira e lasciano l’isola.
Tutti meno Joe. In fondo, lui lì ha il suo paradiso, è un eroe nazionale, è solo un uomo a cui piace il calcio.
La prigionia e la morte
Joe Gaetjens è come un bambino che non crede che il male esista, ma due giorni dopo “Papa Doc” François Duvalier ordina un brusco risveglio per mezzo dei suoi soldati scelti, i Tonton Macoutes. Il mattino del 10 luglio la polizia segreta irrompe in casa Gaetjens, lo arresta e lo trasferisce nella prigione di Port Dimanche. È qui che vengono tenuti i prigionieri delle famiglie scomode fuggite dal regime.
L’eroe del football paga per il suo cognome, per la sua famiglia. È questa l’ultima parte nota della vita di Joe Gaetjens: ogni mezzanotte, a Port Dimanche, un prigioniero viene portato nel cortile e giustiziato.
C’è chi dice che Joe muoia così, due giorni dopo l’arresto, uccidso addirittura da Duvalieri in persona. Chi invece nei giorni successivi per via delle enormi privazioni che patiscono i reclusi. In ogni caso è giovane, Gaetjens, ha appena quarant’anni. Il suo corpo non sarà mai ritrovato.
Finisce così la storia di Joe Gaetjens, l’autore del goal decisivo nel celebre “Miracolo sull’Erba” del 1950. Una delle più grandi sorprese nella storia del calcio, una sgangherata e improvvisata band of brothers che superò i Maestri del football. Proprio grazie a un suo gol. Di lui restano poche foto e le testimonianze degli allora compagni, che ne ricorderanno le notevoli capacità tecniche ed atletiche.
Precisando però che questo era niente di fronte al carattere del ragazzo, una persona semplice e buona sempre pronta a sorridere e a far sorridere. Uno sportivo vero, entrato nella storia del calcio così nitidamente così come poco nitidamente è sparito da quella dell’uomo. A volte il calcio ti può rendere immortale. Per Joe Gaetjens è stato così.
Joe Gaetjens
- Nazionalità: Stati Uniti/Haiti
- Nato a: Port-au-Prince (Haiti) il 19 marzo 1924
- Morto a: Port-au-Prince (Haiti) il 10 luglio 1964
- Ruolo: attaccante
- Squadre di club: Etoile Haïtienne (HAI), Brookhattan (USA), Racing Clu de Paris (FRA), Olympique Alès (FRA)
- Trofei conquistati: Ligue Haïtienne 1942, 1944

SITOGRAFIA:
- Gee, Allison (22/03/2014) Joe Gaetjens – the footballer who disappeared – BBC
BIBLIOGRAFIA:
- Gaetjens, Lesly (2010) The shot heard around the world – The Joe Gaetjens Story [GUARDA SU AMAZON]
FILMOGRAFIA:
- (2005) In campo per la vittoria – Regia: David Anspaugh – [GUARDA SU AMAZON]





