Segnando sull’acqua: l’incredibile favola del Panyee FC

Del calcio ti innamori un po’ così: sei un bambino, vedi i grandi campioni in TV, ti esalti per le loro movenze e sogni di ripeterle, magari insieme ai tuoi migliori amici, quelli con cui poi cominci a giocare, sognando palcoscenici invisibili intorno a te, ispirandoti ai grandi campioni.

La Coppa del Mondo del 1986 ebbe questo effetto su milioni di bambini in tutto il pianeta, rapiti soprattutto dalla genialità e la classe di un Diego Armando Maradona forse mai così grande: è senz’altro possibile che mentre “El Pibe de Oro” segnava il “gol del secolo” seminando mezza Inghilterra, in ogni parte del mondo nascevano futuri calciatori.

Il bello del calcio, poi, è che come la fantasia dei bambini non ha confini, arriva dovunque: e così il sogno di emulare le gesta di Maradona arrivò persino in un piccolo villaggio di pescatori nel sud della Thailandia, trasformando l’impossibile in possibile, il sogno in realtà.

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Khalidi Al Rowaihi, l’eroe dimenticato dei “Figli del Deserto”

L’Arabia Saudita che vince il Mondiale. Il suo centravanti miglior marcatore del torneo. Succederà mai? È già successo. Precisamente nel 1989 in Scozia, durante la terza edizione del Mondiale FIFA Under-16: pochissimi dei 22 ragazzi che quel pomeriggio scesero in campo avrebbero poi davvero giocato a livello professionistico, visto che il passaggio al “calcio reale” spesso è una tagliola che spezza tante gambe, lasciando andare avanti solo chi davvero può diventare qualcuno.

Khalid Al Rowaihi ce l’avrebbe potuta fare. E non fu bloccato, come tutti gli altri, dall’impatto con il calcio “adulto”; né ebbe infortuni gravi o comportamenti fuori dalle righe tali da fargli perdere il treno giusto. Morì, semplicemente e tristemente, un giorno di metà marzo in Giordania, il Paese della madre. Un incidente in auto come purtroppo ne capitano tanti, la strada che implacabile decide – spesso capricciosamente – chi deve restare e chi se ne deve andare.

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Iwuchuckwu Amara Tochi, morto inseguendo un sogno

Diventare un calciatore professionista è il sogno di ogni bambino, a maggior ragione quando questa è l’unica strada che può portarti via da una realtà fatta di miseria, violenza e soprusi.

Giocare a calcio era anche il sogno di Iwuchukwu Amara Tochi, bambino nigeriano cresciuto in mezzo a mille difficoltà e che tuttavia, inseguendo un pallone aveva dimostrato di saperci fare.

Forse non abbastanza per inseguire un posto nei campionati più importanti al mondo, ma tanto da poter ambire di giocare nei tornei del sud-est asiatico, dove non circolano i milioni ma dove si può comunque diventare dei professionisti.

Non poteva immaginare che sarebbe andato incontro alla morte, vittima della sua ingenuità e di uomini senza scrupoli.

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Kazu Miura, altro che meteora

Il Dizionario Italiano definisce il significato di “Meteora”, quando si parla di artisti o uomini di sport, come “detto di persona che ha avuto grande fama per poco tempo”.

Per molti appassionati di calcio del Belpaese, Kazuyoshi Miura, primo giapponese a calcare un campo di Serie A, è stato una meteora: una fugace esperienza, appena una stagione al Genoa, e poi la scomparsa dai radar.

Molto si ironizzò su di lui e sulle sue presunte capacità tecniche, e prima dell’arrivo di Hidetoshi Nakata – il miglior calciatore proveniente dal Sol Levante mai visto – si continuò a pensare ai calciatori giapponesi come a delle vere e proprie macchiette, degli esaltati cresciuti con il mito di “Holly & Benji” senza una vera formazione tecnica.

Eppure per molti appassionati nipponici Kazu Miura è stato il più grande calciatore giapponese di sempre, e questa è la sua storia.

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Aleksandar Đurić, la “Goal Machine” di Singapore

La via per l’affermazione, nel calcio, segue a volte strade misteriose e mai battute. Ho raccontato tempo fa dell’avventurosa carriera di Lutz Pfannenstiel, portiere giramondo capace di giocare in tutti e sei i Continenti calcistici.

Una storia simile, anche se di fatto avvenuta principalmente in un solo Paese, è quella di Aleksandar Đurić, che da profugo durante la Guerra dei Balcani è riuscito a diventare la più grande leggenda di un esotico paese asiatico.

Questa è la storia di un uomo scopertosi calciatore, nato nella ex-Jugoslavia e che poi, anni dopo, ha trovato una nuova patria a Singapore, arrivando addirittura a indossare la fascia di capitano della Nazionale asiatica.

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Lutz Pfannenstiel, globetrotter inarrestabile

Ogni calciatore ha la sua storia. C’è chi da bambino sogna di giocare per la propria squadra del cuore, chi sogna di vincere coppe e trofei, giocare negli stadi più prestigiosi del mondo e magari vestire la maglia della Nazionale.

Per quei pochi che arrivano a realizzare questi sogni molti altri finiscono per essere piccole comparse nel grande racconto del calcio, magari giocando nelle divisioni minori e riuscendo comunque a fare del football il proprio lavoro ma con un pizzico di malinconia di quello che poteva essere e invece non è stato.

A volte è sfortuna, a volte mancanza di talento o di carattere, spesso una combinazione di tutte queste cose. C’è chi potrebbe deprimersi.

Ma questa è la storia di un calciatore che, pur dotato di un certo talento, ha deciso di vivere la sua vita calcistica in modo completamente diverso, inseguendo più la conoscenza che il denaro e la fama, più la crescita personale che quella sportiva. Finendo per avere una carriera unica ed inimitabile, una carriera da “Guinnes dei Primati” quasi impossibile da ripetere.

Finendo per diventare non il portiere di una squadra, o di un certo numero di squadre, o di una Nazionale, ma “il Portiere del Mondo”, un nomade inarrestabile affamato di calcio e voglia di conoscere le diverse realtà – calcistiche e non – del pianeta.

Questa è la storia di Lutz Pfannenstiel.

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Nii Lamptey, il Pelé perduto

Molte qualità servono per affermarsi nel calcio. Spirito di sacrificio, predisposizione fisica, capacità tattica e conoscenza dei fondamentali, unite a un po di fortuna, possono portarti ad essere un buon giocatore.

Ma senza il Talento, quello con la T maiuscola, non sarai mai un fenomeno. E’ il talento, una qualità innata, a fare la differenza tra essere un buon calciatore ed una stella mondiale. Il talento puro, quello che non si insegna, quello che non si spiega.

Nii Odartey Lamptey di Talento ne aveva da vendere. Eppure, dopo un inizio sfolgorante, la sua carriera è diventata via via sempre piu’ tortuosa, sempre piu’ lontana dai percorsi calcistici che contano, fino a fare sbiadire il suo nome, che oggi è conosciuto da pochi appassionati.

Questa è la storia di un ragazzo che da piccolo superò mille difficoltà grazie al suo talento ma che poi non riuscì a diventare un uomo, finendo per essere risucchiato nella periferia estrema del pallone. Un ragazzo che, però, non si è mai arreso.

Meteora o sopravvissuto? Questa è la storia di Nii Lamptey.

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Il fantastico viaggio di Dale Tempest, il Marco Polo del calcio

Questa è la storia di un buon calciatore che, quando ancora nessuno nel calcio aveva ancora mai usato l’abusata frase “scelta di vita”, decise di lasciare il calcio occidentale per diventare un idolo delle folle di un paese asiatico, con cui strinse un rapporto unico.

Un centravanti che credeva di aver perso il treno giusto per la gloria, ma che ha saputo non perdersi d’animo e prenderne subito un altro.

Un salto nel buio che lo ha portato a essere l’idolo calcistico di un intero Paese, così lontano e diverso da quello dove era nato.

Questa è la storia di Dale Tempest.

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Australia-Samoa Americane 31-0, la partita dei Record

L’incantevole villaggio di Pago Pago è la capitale delle suggestive Samoa Americane.

Un luogo dove il tempo sembra essersi fermato (ed in effetti qui è ancora possibile trovare in vendita la “New Coke”, una bevanda della Coca-Cola uscita di produzione nel 2002) e dove gli sport più praticati sono il Cricket, il Baseball e soprattutto il Football Americano.

Ah, le Samoa Americane hanno anche una Nazionale di Calcio. E si, ne parleremo, in quanto è stata protagonista di una delle partite più incredibili nella storia.

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Theyab Awana, la breve vita del “Tacco di Allah”

La partita ormai non conta niente, mancano poco più di dieci minuti alla fine e gli Emirati Arabi Uniti stanno conducendo agevolmente per 5-2 un amichevole contro il Libano quando viene fischiato loro un rigore a favore.

L’allenatore della Nazionale, Srečko Katanec, vecchia gloria del calcio europeo e visto in Italia con la Sampdoria, ordina che a tirare quel penalty sia la giovane promessa Theyab Awana, uno di quei pochi talenti emiratini per cui si prospetta, forse generosamente, un futuro nel calcio che conta.

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