14 settembre 1891: Billy Heath del Wolverhampton realizza il primo rigore di sempre assegnato in campionato, vittima l’Accrington. Per l’ideatore di quello che diventerà uno dei momenti più importanti e teatrali del calcio, invece, bisogna spostarsi in Irlanda.
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Leggenda vuole che Ned Doig, portiere che fu per un periodo considerevole reputato “il più forte del Regno Unito”, avesse un solo punto debole: straordinariamente atletico tra i pali, dove si era allenato forgiando egli stesso alcuni attrezzi appositi, coraggioso nelle uscite alte e basse, robusto abbastanza da reggere le frequenti cariche cui erano soggetti i keeper del football pionieristico, Ned Doig poteva essere superato soltanto dalla vergogna.
Lascia un commentoA guardarlo bene, quel ragazzino che lavorava in miniera non aveva certo il fisico di un portiere. Eppure qualcuno lo definiva un fenomeno, una cosa mai vista.
Steve Callaghan, scout per conto del Celtic Glasgow, era giunto in quel piccolo paesino di minatori vicino a Fife esclusivamente per lui.
Lo aveva visto ergersi sopra a tutti in una partita di poco conto quando il Wellesley Juniors aveva affrontato il Denbeath Star.
Quel ragazzino di diciassette anni, che al termine della gara firmò per la squadra più importante di tutta la Scozia, era John Thomson.
In molti pensavano che sarebbe diventato un campione, ma nessuno poteva immaginare che sarebbe divenuto una leggenda del calcio.
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Robert Gardner forse non sapeva, quel 30 novembre del 1872, di stare per scrivere la storia. Sicuramente ignorava che quel gioco che tanto amava, il football, sarebbe diventato un giorno la più grande religione laica al mondo, né poteva immaginare che, forse involontariamente, stava interpretando per la prima volta ad alti livelli un ruolo che avrebbe ispirato poeti e letterati, un ruolo unico.
2 commentiOgni calciatore ha la sua storia. C’è chi da bambino sogna di giocare per la propria squadra del cuore, chi sogna di vincere coppe e trofei, giocare negli stadi più prestigiosi del mondo e magari vestire la maglia della Nazionale.
Per quei pochi che arrivano a realizzare questi sogni molti altri finiscono per essere piccole comparse nel grande racconto del calcio, magari giocando nelle divisioni minori e riuscendo comunque a fare del football il proprio lavoro ma con un pizzico di malinconia di quello che poteva essere e invece non è stato.
A volte è sfortuna, a volte mancanza di talento o di carattere, spesso una combinazione di tutte queste cose. C’è chi potrebbe deprimersi.
Ma questa è la storia di un calciatore che, pur dotato di un certo talento, ha deciso di vivere la sua vita calcistica in modo completamente diverso, inseguendo più la conoscenza che il denaro e la fama, più la crescita personale che quella sportiva. Finendo per avere una carriera unica ed inimitabile, una carriera da “Guinnes dei Primati” quasi impossibile da ripetere.
Finendo per diventare non il portiere di una squadra, o di un certo numero di squadre, o di una Nazionale, ma “il Portiere del Mondo”, un nomade inarrestabile affamato di calcio e voglia di conoscere le diverse realtà – calcistiche e non – del pianeta.
Questa è la storia di Lutz Pfannenstiel.
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“Ci sono stati due soli portieri di classe mondiale.
Uno era Lev Yashin, l’altro era il ragazzo tedesco che giocava a Manchester.
Bert Trautmann.”
(Lev Yashin, primo ed unico portiere a vincere il Pallone d’Oro)
Se qualcuno avesse detto a Bert Trautmann, giovane soldato tedesco prigioniero in Inghilterra al termine della Seconda Guerra Mondiale, che Albione sarebbe diventata la sua nuova casa, probabilmente lui avrebbe pensato ad uno scherzo.
Se poi gli avessero detto che non solo quella sarebbe stata la sua nuova casa, ma che addirittura avrebbe avuto un posto immortale nella galleria degli eroi di sua Maestà, e grazie al calcio, avrebbe pensato che non era uno scherzo.
Era delirio.
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