Forse non tutti sanno che…La storia del primo “rigore a due tocchi”

Recentemente Lionel Messi ha riportato in auge un metodo di esecuzione dei calci di rigore decisamente inusuale: invece di calciare il pallone verso la porta, il campione argentino ha toccato per il proprio compagno Suarez, trasformando il tiro in un passaggio decisivo.

A livello di regolamento questa tecnica è ineccepibile, a livello di convenienza invece presenta rischi ulteriori nel caso il compagno (posizionato fuori area) non sia abbastanza reattivo una volta toccato il pallone.

Questo “rigore a due tocchi”, da molti considerato eccessivamente irridente nei confronti dell’avversario, è stato probabilmente un omaggio a Johan Cruijff, icona del calcio mondiale e del Barcelona che in questi ultimi mesi sta affrontando una difficile battaglia contro un tumore ai polmoni.

Cruijff è considerato l’inventore di questo tipo di penalty, avendolo eseguito nel 1982 contro l’Helmond Sport insieme al compagno Olsen quando era tornato a chiudere la carriera nel suo Ajax, ma forse non tutti sanno che prima di lui qualcun altro già aveva brevettato questa insolita tecnica di trasformazione dal dischetto.

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Ascesa e caduta dei New York Cosmos

Se oggi socchiude gli occhi, dimenticando per un momento di osservare i ragazzi che allena nella zona di Long Island e annusando invece semplicemente l’odore dell’erba, del campo, Werner Roth può tornare indietro nel tempo fino agli anni d’oro del calcio in America.

Non quello di oggi quindi, ovviamente più organizzato e sicuramente meglio gestito da dirigenti attenti ai bilanci, ma a quello degli anni ’70, quando il soccer divenne improvvisamente cultura di massa anche nel paese del football americano e del basket NBA, attirando colossi imprenditoriali e campioni incredibili.

Colorato, eccessivo, questo è stato il calcio americano nella sua prima incarnazione, quando nel giro di pochi anni ragazzi come Roth passarono da giocare anonime partite in campetti quasi dimenticati a trovarsi allo Yankee Stadium stracolmo, i dollari che abbondavano, le vittorie, la fama e compagni di squadra straordinari.

Qualche nome? Gordon Banks, Franz Beckenbauer, Giorgio Chinaglia, Carlos Alberto, Johan Neeskens. E poi il più grande di tutti, Sua Maestà Pelé, l’uomo che aveva reso possibile l’impossibile.

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Local Derbies in the UK – Derby e rivalità nella terra di Sua Maestà (Luca Garino e Indro Pajaro)

Conoscete le origini del Preston North End, che fu la squadra dominante dei primi campionati inglesi e che ha da sempre un’accesa rivalità con il Blackpool? E sospettereste mai che i tifosi di quest’ultima compagine sono tra i più violenti e temuti d’Inghilterra? Perché la sfida tra West Bromwich Albion e Wolverhampton Wanderers si chiama “The Black Country Derby“? E da dove nasce?

A queste e moltissime altre domande rispondono i giovanissimi Luca Garino e Indro Pajaro con “Local Derbies in the UK – Derby e rivalità nella terra di Sua Maestà”, interessantissimo compendium di tantissime curiosità sul calcio inglese e su alcune delle squadre che ne hanno fatto e ne fanno tuttora la storia e uscito per Urbone Publishing.

Questa casa editrice specializzata in libri di tema calcistico ha avuto coraggio a puntare su due esordienti, per giunta giovanissimi, ma si può dire che l’azzardo si è rivelato vincente.

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Morte sul campo da gioco: l’ultima partita di Bob Benson

19 febbraio 1916: la Grande Guerra è scoppiata da pochi mesi ma è già in una fase estremamente cruenta.

In Inghilterra il football è ormai diventato da tempo lo sport principale, ma ha dovuto piegarsi alla battaglia, spedendo i suoi migliori e giovani talenti al fronte.

Inizialmente si era tentato di risparmiare ai calciatori l’orrore e la morte che li attendevano, fatalmente, sul fronte occidentale. Meglio sarebbe stato che continuassero a fare quello che ormai era il loro lavoro, e cioè intrattenere le masse.

Un tentativo di rassicurare la popolazione che non solo niente sarebbe cambiato, ma che anzi i proiettili avrebbero smesso di sibilare nel giro di pochi mesi.

Poi però l’opinione pubblica era insorta, trascinata da Sir Arthur Conan Doyle: l’autore di “Sherlock Holmes”, rispondendo alla lettera di un soldato al fronte che lamentava che, mentre molti giovani morivano in battaglia, altri giocavano a pallone, aveva chiesto ai calciatori di unirsi ai soldati come volontari.

“Se un calciatore ha forza nelle gambe, lasciate che la usi per marciare nel campo di battaglia”.

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Tutto calcio che Cola #02 – Niente calcio, siamo inglesi

29 giugno 1950, Estádio Independência di Belo Horizonte, Brasile: dopo aver altezzosamente rifiutato di prendere parte alle tre precedenti edizioni dei Mondiali, l’Inghilterra scende dal trono nel quale si è seduta fin da quando il football è diventato fenomeno planetario e accetta di misurarsi con i comuni mortali. L’attesa per i “Leoni di Sua Maestà” è tanto alta da farli finire nel novero delle squadre favorite per la vittoria finale insieme all’Uruguay e ai padroni di casa, che finiranno poi per giocarsi effettivamente la coppa in quello che il mondo ricorderà come “Maracanaço”. Uno shock, la sconfitta del Brasile strafavorito, che forse fa passare in secondo piano quanto accade quel 29 giugno, dove si verifica qualcosa di quasi altrettanto clamoroso.

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TOP 11: Gli stadi più importanti nella storia

I primi campi da gioco furono i giardini delle scuole pubbliche e delle università inglesi, dove le classi di studenti si sfidavano nell’antenato del football, il “Field Game”, di cui ogni istituto aveva un regolamento differente.

Quando arrivò il momento di codificare le regole in un’unica versione uguale per tutti ecco che anche i campi di calcio vennero regolarizzati, e al posto di colline irregolari e confini dettati da alberi e ruscelli presero ad avere più o meno tutti la stessa forma.

Da allora il pallone ha rotolato per essi per oltre un secolo, e alcuni di questi sono entrati nell’immaginario collettivo al punto di far parte essi stessi della storia del calcio per come la conosciamo.

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Viareggio, il foot-ball e le “giornate rosse” del 1920

Molto spesso si tende a credere che il calcio degli albori fosse pratica più genuina e meno esasperata dalle masse di quanto accade ai giorni nostri. Ciò è vero in parte: la storia ci insegna che anche molto prima dell’avvento del professionismo, e in partite in cui la posta in palio era quasi esclusivamente l’onore campanilistico, non mancarono episodi di violenza eclatanti.

Il primo di questi fu senza dubbio quello delle “giornate rosse” di Viareggio, che nel maggio del 1920 vide la città toscana insorgere contro lo Stato. La causa? Una partita di calcio, un “derby” con i vicini rivali della Lucchese.

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Charles William “C.W.” Alcock, il padre del calcio moderno

“Quello che appena dieci o quindici anni fa era il divertimento di pochi è oggi la passione di migliaia di persone.”

Così parlava Charles William Alcock nel 1876, quando all’età di 34 anni abbandonava agonisticamente lo sport, il football, che forse più di chiunque altro al mondo aveva contribuito a creare.

L’influenza di questo vero e proprio genio visionario, nato a Sunderland il 2 dicembre del 1842, è stata fondamentale nel trasformare, appunto, lo sport a cui si era immediatamente appassionato ai tempi degli studi nella Harrow School in un fenomeno di massa.

Ovunque infatti il football abbia mosso un passo significativo lì era presente questo giovane entusiasta, pieno di idee e capace di vedere oltre, vedere il futuro, gli stadi pieni e i giornali intenti a narrare le gesta degli eroi del rettangolo verde.

Fu per questo che si prese la briga, primo nella storia, di redigere il primo “Annuario del football” nel 1868, un modo per rendere omaggio ai primissimi pionieri senza i quali, forse, non saremmo qui a parlare, a scrivere, a emozionarci per 90 minuti.

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