martedì, Novembre 18, 2025

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Viareggio, il foot-ball e le “giornate rosse” del 1920

Nel maggio del 1920 una semplice partita di calcio tra Viareggio e Lucchese trasformò la città toscana in un campo di battaglia. L’uccisione del guardalinee Augusto Morganti da parte di un carabiniere scatenò una rivolta popolare che per tre giorni rese Viareggio una “repubblica autonoma”, isolata dallo Stato. Quelle che passarono alla storia come le giornate rosse furono molto più di un fatto sportivo: il calcio diventò la scintilla di una rivolta sociale nel pieno del Biennio Rosso.

Viareggio, il foot-ball e le “giornate rosse” del 1920

Molto spesso si tende a credere che il calcio degli albori fosse pratica più genuina e meno esasperata dalle masse di quanto accade ai giorni nostri. Ciò è vero in parte: la storia ci insegna che anche molto prima dell’avvento del professionismo, e in partite in cui la posta in palio era quasi esclusivamente l’onore campanilistico, non mancarono episodi di violenza eclatanti.

Il primo di questi fu senza dubbio quello delle giornate rosse di Viareggio, che nel maggio del 1920 vide la città toscana insorgere contro lo Stato. La causa? Una partita di calcio, un derby con i vicini rivali della Lucchese. Quello di quegli anni era un football molto diverso da quello odierno: i calciatori erano dilettanti e, soprattutto ai livelli in cui giocavano le due compagini toscane, ben poco conosciuti al di fuori della città.

Viareggio nel Biennio Rosso

Erano mesi incandescenti in tutta Italia: scioperi, occupazioni, tensioni operaie. A Viareggio il malcontento aveva già lasciato tracce negli anni 1919-1920 (cantieri navali, mobilitazione sindacale, scontri contenuti ma diffusi), e la rivalità con Lucca forniva una cassa di risonanza perfetta per convogliare rancori che andavano oltre il pallone. In questo quadro, il calcio diventava un acceleratore sociale.

Una rivalità troppo sentita

Il pubblico tuttavia cominciava ad appassionarsi in modo netto a quello sport portato in Italia poco più di vent’anni prima, e già erano sorti i primi club di tifosi organizzati, che seguivano cioè la propria squadra in casa e in trasferta. Ad aprile, la Lucchese aveva regolato senza problemi il Viareggio in casa propria: niente di strano, visto che i rossoneri erano decisamente più forti e non avevano mai perso contro i rivali bianconeri.

Tuttavia i tifosi lucchesi avevano accolto con “atteggiamenti ostili e violenti” gli ospiti. L’atmosfera si era infiammata al punto tale che, vista la promessa di rendere pan per focaccia da parte dei viareggini nella gara di ritorno prevista il mese successivo, le autorità invitarono i tifosi della Lucchese a rimanere a casa.

La partita a Villa Rigutti

Così si arrivò al 2 maggio 1920, quando il Viareggio ospitò i rivali con la ferma intenzione di vincere per la prima volta un derby e vendicare i propri tifosi offesi in trasferta nel mese precedente. L’incontro si disputò al campo di Villa Rigutti, impianto cittadino situato nell’area oggi compresa fra via Fratti, via Puccini, via De Amicis e via Raffaelli (poi intitolata “Largo 2 maggio 1920” in memoria degli eventi).

L’aria già elettrica fu alimentata dalla scelta dell’arbitro, residente a Lucca, che quasi per compensazione era affiancato da un guardalinee di Viareggio, un eroe di guerra ed ex tenente dei bersaglieri di nome Augusto Morganti.

Il Viareggio partì deciso e si portò avanti per 2-0, esaltando i tifosi locali che già pregustavano la vittoria mentre, come prevedibile, ben pochi erano i coraggiosi lucchesi che avevano sfidato il buon senso ed erano giunti in città a sostenere i propri beniamini.

Esplode la tensione

Nel finale di gara però, complice un arbitraggio che la stampa sportiva definì “non completamente imparziale”, la Lucchese prima dimezzò le distanze e poi pareggiò, scatenando com’era immaginabile il furioso malcontento dei tifosi locali.

Quando scoppiò una lite tra un giocatore ospite ed il guardalinee, l’arbitro pensò bene di fischiare la fine in anticipo, trovandosi contro proprio Morganti, che invece intendeva far continuare la gara. Troppo tardi, la situazione era già degenerata. I giocatori delle due squadre diedero inizio ad una rissa dove intendevano saldare vecchi conti in sospeso, ed il pubblico inferocito invase il terreno di gioco.

Fu il caos. I carabinieri presenti furono bravi a salvare i giocatori lucchesi e l’arbitro spingendo i viareggini fuori dallo stadio, sulla strada; ma quando i rinforzi provenienti dalla vicina caserma giunsero sul posto, fu chiaro che i tifosi del Viareggio si erano tutt’altro che rassegnati a perdonare quanto successo e si preparavano a rientrare nello stadio con la forza.

La morte di Augusto Morganti

I carabinieri tentarono di fare il possibile, mentre i lucchesi all’interno venivano fatti uscire da una porta secondaria ed erano costretti a camminare per chilometri fino alla stazione successiva. In quegli attimi concitati fuori dallo stadio, ben quattro carabinieri vennero disarmati, ma quando la situazione sembrava essersi finalmente calmata si udì uno sparo.

In un silenzio surreale, fu a tutti evidente che un colpo di pistola era partito, e un uomo era morto: era proprio Augusto Morganti, colpito al volto da un proiettile esploso dal carabiniere Natale De Carli con cui aveva avuto poco prima un diverbio. È considerato il primo morto in Italia legato alla violenza calcistica.

La calma si trasformò nuovamente in caos. I carabinieri furono linciati dalla folla inferocita e costretti a riparare all’interno della caserma, mentre i tifosi del Viareggio, resi ancor più esasperati dalla tragedia occorsa al Morganti, corsero a prendere le armi di cui disponevano nelle abitazioni che si trovavano in zona dello stadio.

Iniziano le “Giornate Rosse”

Si dice che almeno un centinaio di fucili e diverse rivoltelle comparvero nelle mani dei tifosi, che intendevano vendicare il proprio eroe cittadino e prendere il responsabile dell’omicidio.

Rapidamente furono tagliate le linee elettriche e telefoniche e vennero alzate barricate: l’omicidio di Morganti, che i presenti sostenevano essere assolutamente gratuito e frutto di antichi rancori personali, era solo l’ultimo di una serie di soprusi che i viareggini sostenevano di aver subito negli anni e che non erano più disposti a tollerare.

Erano, del resto, anni delicati per la politica italiana. Il fascismo aveva già preso forma, approfittando della disperazione e del vuoto di ideali derivati dalla Grande Guerra che si era conclusa appena due anni prima, e nel giro di un biennio sarebbero arrivate la Marcia su Roma e la nomina di Mussolini come capo assoluto del Paese. Il 2 maggio 1920 si concluse a Viareggio con la caserma dei carabinieri locali circondata da una folla inferocita che minacciava persino di appiccarvi il fuoco.

Viareggio nel caos

All’alba del 3 maggio, la situazione si è tutt’altro che calmata. Nella mattinata l’autocarro dove viaggiano il maresciallo dei carabinieri e dieci uomini viene assalito, i militari finiscono disarmati e percossi. Altri due autocarri con una cinquantina di carabinieri, inviati dalle città vicine, vengono fatti oggetto di colpi d’arma da fuoco dalle finestre cittadine e infine presi con la forza e messi fuori uso.

I militari presi prigionieri vengono portati nella Camera del Lavoro cittadina, mentre viene addirittura istituito un governo provvisorio che dispone barricate più numerose nei punti cardine della città e pattuglie armate che controllano chi si avvicina, operazione resa più facile anche dall’arrivo degli anarchici delle città circostanti, solidali con i colleghi di Viareggio.

Quando la sera del 3 maggio anche il Comandante della Divisione di Livorno, il generale Carlo Castellazzi, viene fatto prigioniero insieme al suo seguito dopo essere giunto in città nel tentativo di ristabilire un ordine, la situazione è chiara a tutti: Viareggio si considera ormai a tutti gli effetti un regno a parte rispetto all’Italia. Il fuoco della protesta divampato in città sembra inestinguibile.

Cronaca delle Giornate Rosse
  • 2 maggio pomeriggio
    Derby Viareggio–Lucchese a Villa Rigutti; rissa; invasione di campo; uccisione di Morganti da parte del carabiniere Natale De Carli; inizio dell’assedio alla caserma.
  • Notte 2/3 maggio
    Proclamazione simbolica della “Repubblica di Viareggio”; blocchi e barricate; requisizioni di armi.
  • 3 maggio mattina/pomeriggio
    Scontri con reparti giunti da fuori; prigionia di militari; mediazione della Camera del Lavoro; tensione altissima.
  • 4 maggio
    Funerali di Morganti e lenta normalizzazione; intervento deciso del governo (rimozione del prefetto Lualdi, poteri al generale Nobili); avvio dei procedimenti giudiziari.

La conclusione

Invece, il 4 maggio, la rivolta si spegne rapidamente come si è creata. L’avvocato Luigi Salvatori, stimato dai viareggini in quanto più alto esponente del Partito Socialista cittadino, si rivolge ai propri concittadini dal balcone del Municipio, invitando la popolazione di Viareggio a valutare le conseguenze di un così eclatante e aperto atto di sfida all’autorità nazionale.

Nel corso dei vari gradi di giudizio le responsabilità penali dei vari imputati – quasi tutti semplici popolani che non ricoprivano ruoli importanti all’interno di nessuna organizzazione politica o sindacale – furono notevolmente ridimensionate. Dopo i provvedimenti emessi dal Tribunale di Lucca il 25 novembre 1920 e dopo le decisioni della Corte di Appello del marzo 1921, gli imputati furono quasi tutti assolti ad eccezione di Bandoni, Pelliccia, Gerard e Biagini, che furono condannati per reati minori a pene comprese fra 3 e 8 mesi, anche questi rimessi in libertà in quanto avevano già scontato la pena in carcere in attesa di giudizio.

Risvolti processuali e memoria

Il 13 ottobre 1920 il carabiniere De Carli fu assolto dal Tribunale Militare di Firenze per legittima difesa; parallelamente diversi ufficiali e funzionari furono sanzionati per la gestione dell’ordine pubblico. Nella memoria locale, l’episodio è rimasto vivo: Largo 2 maggio 1920 ricorda ancora oggi il luogo di Villa Rigutti; in occasione dei 100 anni il Comune ha approvato l’intitolazione dello spiazzo antistante Torre Matilde alla data della sommossa.

Le conseguenze

Si concludono le Giornate Rosse di Viareggio, che torna a tutti gli effetti una città facente parte del Regno d’Italia. Il calcio è stato il pretesto ma non la causa scatenante di una rivolta partita dal malcontento cittadino nei confronti delle forze dell’ordine locali.

Quello che è destinato a diventare lo sport più popolare del Paese tornerà ad incrociare la città toscana nel 1926 con la famosa Carta di Viareggio, che riforma il calcio italiano ad ogni livello avvicinandolo a quello che oggi tutti conosciamo, e con la nascita nel 1949 del famoso torneo giovanile che si svolge tutt’ora.

Che cos’era la “Carta di Viareggio”

La Carta fu il pacchetto normativo che, nel 1926, ridisegnò i rapporti fra FIGC e governo, sancendo di fatto il superamento del dilettantismo “puro”, seppur di facciata e già infranto ad esempio con il trasferimento al Genoa di Sardi e Santamaria, e razionalizzando campionati, tesseramenti e inquadramento dei club.

Altro che “calcio romantico”

L’episodio delle Giornate Rosse, pur non essendo legato unicamente al calcio, è il primo episodio di vera violenza tra tifoserie in Italia, un fenomeno che purtroppo capita ancora e che trova radici oggi come ieri nel malcontento dell’uomo verso situazioni che poco hanno a che vedere con lo sport ed il football ma che in questi trovano terreno fertile ed una scusa per esplodere.

Nel maggio del 1920, a Viareggio, il pallone divenne specchio di un Paese inquieto, dove la rabbia sociale si mescolava al campanilismo e il campo da gioco si trasformava in piazza politica. In quelle ore di fuoco nacque la consapevolezza di quanto il calcio sapesse trainare le masse, qualcosa che purtroppo avrebbero sfruttato molto bene numerosi regimi a partire da quello fascista.


SITOGRAFIA:

*attenzione: l’articolo riporta un cognome del carabiniere diverso, che non coincide con le fonti storiche primarie

BIBLIOGRAFIA:

  • Foot, John (2010) Calcio 1898-2010: Storia dello sport che ha fatto l’Italia, BUR – Biblioteca Universale Rizzoli
  • Genovali, Andrea (2018) Fare come in Russia. La Repubblica viareggina, i disordini nel derby con la Lucchese e l’insurrezione del 1920: una storia del Biennio Rosso, Red Star Press
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Simone Cola
Simone Colahttps://www.uomonelpallone.it
Amante del calcio in ogni sua forma e degli uomini che hanno contribuito a scriverne la leggenda

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