martedì, Dicembre 3, 2024

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Heleno de Freitas, “il Principe Maledetto”

Heleno de Freitas è stato il primo vero grande campione mediatico nel calcio brasiliano. Fenomenale in campo, era costantemente al centro del gossip e della vita notturna, invidiato dagli uomini e bramato dalle donne. Il suo era però un dono maledetto, che in breve consumò la sua fama, i suoi soldi, la sua carriera e infine la sua vita.

La maggior parte degli infermieri che se ne prendevano cura, in quel sanatorio quasi dimenticato da Dio nei pressi di Barbacena, ignorava chi fosse quel giovane uomo malandato che si aggirava nei corridoi della struttura, percorrendoli avanti e indietro senza pace. La sigaretta costantemente in bocca, lo sguardo spiritato, apriva la bocca quasi esclusivamente per offendere il primo che gli capitava a tiro. Di tanto in tanto, però, si calmava. E raccontava storie incredibili.

Diceva di essere stato un calciatore. Un campione, un genio del futbol, “il più grande di sempre”. Affermava che Pelé, il giovanissimo fenomeno che appena un anno prima era riuscito per la prima volta a trascinare il Brasile alla vittoria dei Mondiali, avrebbe soltanto potuto portargli la borsa. Di avere avuto, un tempo non troppo lontano, soldi come se piovessero dal cielo e oltre mille amanti tra cui, addirittura, Evita Peròn.

Chi lo ascoltava rideva, o sorrideva compassionevole, con la pietà che si prova per un povero pazzo. In pochi sapevano che quasi tutte quelle storie erano vere, testimoniate dai giornali che lui stesso aveva mostrato con orgoglio. Per poi, magari, farli a pezzi un attimo dopo. Questo era ormai, negli ultimi giorni della sua breve vita, Heleno de Freitas, la prima vera “superstar” del calcio brasiliano. Questo era sempre stato.

O Rei de Copacabana

Eppure, appena dieci anni prima, l’intero Brasile era ai suoi piedi. Ed era unanime nel considerarlo il più grande talento calcistico espresso dal Brasile negli anni ’40, l’idolo della tifoseria del Botafogo e l’uomo su cui tutti puntavano per prendersi quella Coppa Rimet che era sempre sfuggita per un soffio.

Nel 1930 la squadra si era presentata divisa dalle rivalità dei diversi stati brasiliani, nel 1934 aveva pagato l’inesperienza nell’affrontare il ruvido calcio europeo, nel 1938 soltanto sfortuna e un pizzico di superbia aveva fermato la squadra di Leônidas ad un passo dalla finale. Poi era arrivata la seconda guerra mondiale, che aveva rinviato a data da destinarsi l’edizione del 1942. Quella che si sarebbe dovuta svolgere proprio in Brasile.

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Ribelle nato

Heleno de Freitas nasce a São João Nepomuceno, stato di Minas Gerais, figlio di Oscar, ricco commerciante di caffè e zucchero. Quando questo muore la famiglia, composta dalla madre Maria e da 5 figli, si trasferisce a Rio de Janeiro dove vive tra mille difficoltà che però non impediscono a Heleno di studiare con profitto. La sua vera passione, però, è quella di milioni di altri brasiliani: il calcio, le partite sulla spiaggia di Copacabana, un luogo che ha plasmato migliaia di futuri campioni.

Forse è talento naturale, forse è il suo desiderio innato già da giovanissimo di primeggiare sugli altri. Probabilmente è un mix tra le due cose, ma una cosa è certa: Heleno, da adolescente e in un contesto molto più competitivo di quello che si potrebbe pensare, è già fortissimo. Al punto da essere notato da Neném Prancha, personaggio quasi mitologico del calcio brasiliano che gestisce una squadra di ragazzini che scopre sulle spiagge e nelle favelas: ne osserva decine al giorno, e con una sola occhiata può capire chi sfonderà nel professionismo.

Naturalmente Heleno è uno di questi. È già un giocatore completo, uno a cui c’è poco che un allenatore possa insegnare. Potente e allo stesso tempo elegante nei movimenti, ha le qualità tecniche dei campioni e quelle caratteriali dei leader. È sfrontato, aggressivo, non abbassa mai lo sguardo e non prende ordini da nessuno. Entra nella Fluminense, ma il suo carattere ribelle lo porta ad essere allontanato dopo pochi mesi. Il Botafogo fiuta l’occasione, e dopo averlo testato se ne innamora al punto da ignorare tutto il resto.

La stella dell’Estrela Solitária

Non se ne pentirà: Heleno si afferma fin da subito come uno dei giocatori più interessanti delle giovanili del Fogão, soprattutto quando gli allenatori, esasperati dal suo stile di gioco violento e pericoloso – e nel tentativo di limitarne le frequenti sanzioni disciplinari – dopo averlo provato in difesa e a centrocampo lo spostano definitivamente in attacco.

Centravanti unico e totale, ripaga l’intuizione segnando caterve di gol e guadagnandosi ben presto un posto in prima squadra, dove l’allenatore sta tentando di trovare un sostituto per l’anziano Carvalho Leite, cinque volte capocannoniere del Campionato Carioca e bomber storico del club.

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Affrontando ogni partita come una questione di onore e una sfida personale, Heleno dimostra da subito di che pasta è fatto: non ha timore di niente e di nessuno, sfida qualunque avversario sia sul piano tecnico che su quello fisico, ai falli reagisce con veemenza, ama provocare chiunque gli capiti a tiro. E se è vero che il giocare di squadra non è propriamente il suo mestiere, compagni e tecnico sono felici di perdonargli qualsiasi follia, in cambio delle vagonate di gol che realizza.

Conquistato ben presto il posto di centravanti titolare nel Botafogo, ne diventa ben presto l’idolo, il leader, guidando la squadra in imprese incredibili che purtroppo, però, non sfoceranno mai nella vittoria del Campionato Carioca. Un trionfo, in un’epoca in cui in Brasile ancora non esiste un vero torneo nazionale, che rappresenterebbe il massimo e sfugge sempre. A volte per un nonnulla, praticamente mai per colpa sua.

Dottor Jekyll e Mister Hyde

Isterico, nervoso, istintivo, polemico; insulta avversari e compagni, arbitri e tifosi. Poi prende il pallone e segna, zittendo tutti. Accade sempre, accadrà per 204 volte in 233 partite; in una di queste segna quattro reti all’America che, durante il primo tempo, aveva chiuso in vantaggio per 3-0: il giorno dopo i giornali titoleranno “Heleno batte America 4-3”.

E mentre sul campo è un idolo, fuori la sua fama sembra andare persino oltre: non c’è donna in tutta Rio de Janeiro che sappia resistere al suo fascino, al suo vivere la vita momento per momento, come una vera rockstar. I giornali si sprecano sulle sue relazioni, ne ha tante, troppe, e del resto è uno che non vuole negarsi i piaceri della vita: le donne, il buon vino, le sigarette che consuma in quantità smodata. Parla il francese e l’inglese, ha gusti raffinati, legge Dostojevski e si diletta di filosofia, la parola forbita di chi ha studiato molto.

Incredibile riconoscere, nell’Heleno fuori dal rettangolo di gioco, quel pazzo furioso che in campo spintona gli arbitri e persino i compagni, che salta gli allenamenti perché “tanto non ne ho bisogno”, che si presenta al campo in moto, solitario, bello e dannato. In ritardo, spesso dopo una notte in bianco. Il look, quello si, è l’unico tratto in comune che hanno le sue personalità da Dottor Jekyll e Mister Hyde: si pettina con molta attenzione, utilizza una gelatina che presto diventa oggetto di culto tra i giovani tifosi brasiliani, che in una partita lo vedono andare a segno quattro volte.

Heleno de Freitas, la prima rockstar del calcio

Una rete in particolare è stata indimenticabile: per rispondere ai critici, che dicono che gioca da solo senza pensare ai compagni, Heleno una volta entrato in area calcia il pallone alto in cielo, servendosi da solo un assist che poi incorna senza pietà alle spalle del portiere. Quindi corre sotto la curva, si riaggiusta proprio i capelli che qualcuno sostiene non voglia sciupare. La folla, ovviamente, è in delirio.

Uno così non può che finire nella Nazionale del Brasile, che attende la fine della guerra per organizzare i Mondiali e vincerli. Saltata l’edizione del 1942, per la mancanza di tempi tecnici e organizzativi salta pure quella del 1946. Sarà il 1950 l’anno in cui si giocheranno i quarti Mondiali di calcio: nel Paese c’è grande mobilitazione, la consapevolezza di avere una squadra nazionale fortissima induce il Brasile, che si è appena lasciato alle spalle la dittatura fascista chiamata “Estadio Novo” guidata da Getùlio Vargas, a guardare al futuro con ottimismo.

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Nelle intenzioni dei nuovi governanti, tutti i brasiliani troveranno consolazione nel vedere la loro Nazionale fare a pezzi i rivali all’interno del più grande stadio del mondo, il “Maracanà”, che sarà ultimato giusto in tempo per la rassegna iridata. Nel frattempo il Brasile partecipa al “Campeonato Sudamericano de Football” in Cile, nel 1945, schierando un attacco che vede la presenza sia di Heleno che del suo grande rivale Ademir, stella del Vasco da Gama.

Heleno ancora una volta, come con il Botafogo, fa la sua parte segnando 6 reti e laureandosi capocannoniere del torneo insieme all’argentino Méndez, ma purtroppo il Brasile cade nello scontro decisivo contro l’Albiceleste e si piazza sul secondo gradino del podio.

Eterno secondo

Accade lo stesso anche l’anno dopo; ancora una volta è l’Argentina padrona di casa a superare i verde-oro nella partita decisiva. Alla fine del primo tempo, conclusosi in una zuffa di proporzioni epiche, gli argentini vanno a bussare allo spogliatoio dei brasiliani accompagnati da alcuni tifosi.

Il CT brasiliano Flávio Costa proibisce ai suoi di rispondere, ma ovviamente Heleno, orgoglioso e incapace di resistere alle provocazioni, esce dallo stanzino sfidando gli avversari e finendo per dare e ricevere calci e pugni. Quando il 1950 si avvicina, Heleno è sempre un idolo dei tifosi del Botafogo e lo spauracchio per chiunque ne sia avversario.

Tuttavia accade che, dopo l’ennesimo campionato sfumato all’ultimo, il campione esploda in un duro e violento sfogo con i compagni, da lui ritenuti degli incapaci, indegni di vestire la maglia della “stella solitaria”. Con una distanza ormai incolmabile creatasi tra lui e il resto della squadra, alla dirigenza non rimane che cederlo, dopo la bellezza di 11 stagioni: non sarà un addio facile, il Botafogo a dire la verità respinge la prima offerta del Boca Juniors, asserendo che neanche per il doppio il campione si sarebbe mosso.

Addio Fogão

Gli argentini, contestati in patria per un rendimento altalenante, triplicano l’offerta, e allora il presidente del Fogão deve capitolare: sono tanti, troppi soldi, l’offerta più alta mai fatta per un calciatore in tutto il Brasile.

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E in Argentina Heleno è subito una star, segna al debutto e diventa ben presto un idolo dei suoi nuovi tifosi: si inserisce anche nel tessuto sociale, diventando ben presto cliente affezionato di ogni night, ogni ristorante, ogni locale alla moda. Si parlerà anche di una relazione segreta con Evita Perón, ma forse questa è una storia di fantasia. Quello che invece è reale, sono le due personalità che Heleno porta con sé: quella dell’uomo colto e raffinato fuori dal campo e quella della furia iconoclasta quando le cose non vanno come lui desidera.

I Mondiali mancati

Succede anche al Boca, dove non prendono bene i suoi atteggiamenti da star affermata e il suo rifiuto di passare il pallone a chi non considera degno di tale onore. In pochi mesi è già finita, Heleno saluta tutti e torna in Brasile. Giusto in tempo per i Mondiali, pensano tutti.

Una volta constatato che al Botafogo – squadra per cui avrebbe giocato anche gratis, a suo dire – non sarà più possibile tornare, vista la terra bruciata che si è lasciato alle spalle, Heleno trova posto al Vasco da Gama. Proprio così, il club del suo rivale Ademir e del CT Flávio Costa, che allena allo stesso tempo anche la Nazionale. Il tecnico, per far posto al nuovo entrato, sposta all’ala proprio Ademir, che umilmente accetta la decisione nonostante sia un campione ormai affermato.

Ma a Heleno non basta, lui vuole essere il leader della squadra, vuole che tutti dipendano da lui come ai tempi del Botafogo. L’intesa con Ademir non decolla, le reti sono comunque numerose (19 in 24 partite) ma un episodio segna la fine delle sue possibilità di esibirsi al Mondiale. Dopo aver come sua abitudine ripreso con violenza un compagno colpevole di un passaggio sbagliato in allenamento, Heleno viene a sua volta ripreso da Costa, che lo allontana dal campo.

Al termine della sessione però, accade l’impensabile: il giocatore avvicina il tecnico, il quale attende le sue scuse ma si trova invece una pistola puntata alla testa, con il giocatore che la brandisce che furiosamente esige delle scuse; è scarica, era solo uno scherzo, dirà poi Heleno. Ma, conoscendolo, chi può dirlo con certezza?

Heleno, O Jogadore

Costa, in quel momento, lo esclude per sempre dai suoi piani, e ovviamente anche dal Brasile. Nei Mondiali in casa, nel 1950, sarà Ademir la stella dell’attacco di una squadra bellissima ma troppo sicura di sé, e che crollerà proprio sul più bello nella sfida finale con l’Uruguay. Non saranno in pochi a pensare che in quella squadra tecnicamente superba ma priva di personalità uno come Heleno avrebbe potuto fare la differenza.

Persa la Nazionale, al campione non resta altro da fare che vendersi al miglior offerente, e in quegli anni il miglior offerente è il ricco – e illegale – campionato colombiano, finanziato con i soldi del narcotraffico e noto come “El Dorado”.

Se fossi stato titolare in attacco il Brasile non avrebbe perso il Mondiale. Conosco i trucchi degli uruguaiani, di gente come Obdulio Varela. Non avrebbe fatto la metà di quello che ha fatto se avesse dovuto affrontare uno come me. Abbiamo perso i Mondiali per l’incapacità di un allenatore che ha trasformato la nostra squadra in un gruppo di deboli incapaci di reagire. Un gruppo di femminucce senza palle.

Intervista del 1951 a un giornale colombiano

Lo frequentano i migliori campioni dell’epoca in Sudamerica: Di Stefano, Pedernera, Tim. A questi si aggiunge anche Heleno, coperto d’oro per vestire la maglia del Junior Barranquilla, dove si segnala per le solite cose: intemperanze caratteriali, atteggiamenti da divo, donne – si dice non ci sia prostituta in città che non lo abbia “conosciuto” – alcol e sigarette.

E gol, tanti gol. Non c’è niente che Heleno non sia capace di fare, non c’è niente che Heleno non possa inventarsi in ogni momento, quando il pallone è tra i piedi e sente, da vero divo, che il pubblico è con il fiato sospeso, gli occhi solo per lui. Gioca talmente bene che i tifosi gli dedicano una statua, che recita alla base “O Jogadore”. Perché Heleno è per tutti “Il Giocatore”, quello definitivo.

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Le sue condizioni, nel soggiorno colombiano, si sono però aggravate di colpo: sono le conseguenze della sifilide, probabilmente contratta già da giovanissimo nel corso delle sue numerose avventure amorose e mai curata nonostante le richieste di familiari e medici. Il progredire della malattia ha portato Heleno a soffrire di violenti tremori, febbri e deliri mentali.

Un rapido e penoso declino

I suoi scatti d’ira diventano sempre più violenti, la vista a volte si annebbia, il linguaggio è sempre più sboccato. Il campione, persa l’eleganza che lo contraddistingueva dentro e fuori dal campo,  sembra pazzo, ancora di più di quanto già non lo sembrasse prima. Tornato in Brasile, in una stagione al Santos sembra tornato quello di sempre. Ma i gol non bastano più, e in breve nessun club vuole averlo in rosa.

Alla fine si trova ad elemosinare un posto all’America di Rio de Janeiro, il modesto club che soltanto pochi anni prima – ricordate? – aveva praticamente sconfitto da solo. I dottori gli prescrivono delle cure mediche obbligatorie, a cui finge di sottoporsi o a cui si sottoporrà solo in parte. Del resto è convinto che il mondo ce l’abbia con lui, una forma di paranoia che la sifilide cerebrale ha aggravato tantissimo.

Ma che c’è sempre stata, in parte. Da sempre Heleno pensava che compagni e avversari, arbitri e dirigenti, fossero invidiosi del suo talento. Il boato della folla, gli applausi dei tifosi, gli avevano dato presto alla testa. Allo stesso modo della malattia, dell’alcol, dell’etere con cui sempre più frequentemente imbeveva eleganti fazzoletti di seta, per poi annusarli fin quasi allo svenimento.

Il tramonto di “Gilda”

Con l’America gioca appena una partita, fornendo una prestazione penosa: la palla gli schizza intorno inafferrabile, sfuggendo al suo sguardo, le gambe non riescono a fare quei numeri che un tempo venivano naturali. E figuriamoci se Heleno è uno che si arrende: ci prova e ci riprova, in quelli che saranno i suoi ultimi 90 minuti, a tornare quello che fu. Ma non c’è niente da fare, e all’ennesima palla persa crolla a terra quasi in lacrime, deriso dagli spalti mentre prende a pugni con rabbia il terreno di gioco.

È quello del “Maracanà”, lo stadio che lo avrebbe dovuto vedere eroe e dove invece ha finito per giocare una sola gara. L’ultima.

Lascia il campo tristemente, deriso da uno stadio intero che appena pochi anni prima avrebbe atteso la sua presenza consapevole che questa, da sola, avrebbe ripagato il costo del biglietto. La sifilide mai curata non gli offre scampo. Incapace di prendersi cura di se stesso, è assistito dal fratello Oscar e poi viene internato in una casa di cura che ha tutti i connotati di un manicomio, lontano dal clamore della frenetica vita di Rio, la città dove un tempo è stato un re.

Soldi non ne ha, li ha spesi tutti in donne, vino, auto e sigarette. Rimasto solo, viene ben presto dimenticato da un Paese che forgia continuamente nuovi idoli da applaudire e nuovi sogni da inseguire. Heleno delira, ha improvvisi e violenti attacchi di collera, ai quali alterna lunghi stati catatonici, durante i quali non risponde ad alcun stimolo esterno e forse si perde nel ricordo di quando era o Gilda dos gramados, “la Gilda dei campi di gioco”, come lo chiamavano i tifosi avversari.

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O Principe Maldito

Gilda come Rita Hayworth, l’attrice di Hollywood bella e capricciosa, come bello e capriccioso fu lui quando il mondo era ai suoi piedi, in attesa dell’ennesima magia. Nel 1958 il Brasile vince la Coppa del Mondo per la prima volta nella storia. A guidare la squadra un ragazzo giovanissimo, Pelé. Al suo fianco Garrincha, sbilenco e fenomenale nuovo campione del “suo” Botafogo, capace con i suoi dribbling inarrestabili di strappargli l’ultima cosa che gli è rimasta, l’amore incondizionato di un popolo intero.

Heleno è ormai semi-paralizzato, quasi completamente cieco, pesa meno di 40 chili, ha perso tutti i denti e buona parte dei capelli. Un anno più tardi, l’8 novembre del 1959, si spegne per sempre. Ha appena 39 anni, anche se ne dimostra quasi il doppio, tanto la malattia lo ha sfinito. E quando arrivano diverse autorità a prelevarne il cadavere, tutti, in quella piccola clinica di Barbacena, si rendono conto che quel pazzo diceva il vero: era davvero Heleno de Freitas. O Principe Maldito.

Il “Principe Maledetto”, il più grande campione di calcio della sua epoca.


Heleno de Freitas

  • Nazionalità: Brasile
  • Nato a: São João Nepomuceno (Brasile) il 12 febbraio 1920
  • Morto a: Barbacena (Brasile) l’8 novembre 1959
  • Ruolo: attaccante
  • Soprannome: O Principe Maldito (Il Principe Maledetto), Gilda
  • Squadre di club: Botafogo (BRA), Boca Juniors (ARG), Vasco da Gama (BRA), Atletico Junior (COL), Santos (BRA), America Rio de Janeiro (BRA)
  • Trofei conquistati: Campionato carioca 1949


SITOGRAFIA:

  • (20/03/2012) Craque Imortal – Heleno de Freitas, Imortais do Futebol
  • Tuleski, Vanessa (novembre 2012) Heleno, antagonista de si mesmo, Constelar
  • Wilson, Jonathan (11/12/2012) The forgotten story of…Heleno de Freitas, The Guardian

BIBLIOGRAFIA:

  • Neves, Marcos Eduardo (2006) Nunca houve um homem como Heleno, Ediouro

FILMOGRAFIA:

  • (2012) Heleno, regia di José Henrique Fonseca
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Simone Cola
Simone Colahttps://www.uomonelpallone.it
Amante del calcio in ogni sua forma e degli uomini che hanno contribuito a scriverne la leggenda

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