martedì, Novembre 18, 2025

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Dalle stelle alle stalle: la parabola di Mario Jardel

Il calcio è pieno di storie in cui a un’ascesa che sembra inarrestabile segue una fragorosa caduta. Tra queste, poche sono così eclatanti come quella di Mario Jardel, bomber brasiliano che nel giro di un’estate passò da essere il miglior centravanti d’Europa a un clamoroso carneade. Un talento capace di firmare reti a raffica, un cannoniere che vinse ovunque arrivasse, ma che finì risucchiato in un vortice di scelte sbagliate, depressione e rimpianti.

L’ascesa in Brasile e la gloria europea

Nato a Fortaleza nel 1973, Jardel cominciò a segnare presto con il Vasco da Gama e poi con il Grêmio, club con cui vinse la Coppa Libertadores del 1995 da capocannoniere. Già allora si intravedeva la sua caratteristica principale: un fiuto del gol unico, abbinato a un colpo di testa devastante. Non era elegante nei movimenti, non era rapido nello stretto, ma dentro l’area era letale.

Il trasferimento in Europa lo consacrò. Con il Porto scrisse pagine di storia: 168 gol in 175 partite, numeri che lo resero un idolo assoluto dei Dragões. Poi il passaggio al Galatasaray, dove pur tra difficoltà di ambientamento riuscì a firmare 34 reti in 43 gare.

Rientrato in Portogallo, allo Sporting Lisbona visse la sua stagione più clamorosa: 2001/2002, 42 gol in 30 partite di campionato, titolo nazionale, Coppa, Supercoppa, Scarpa d’Oro e un dominio personale che sembrava destinato a consacrarlo tra i grandi di sempre.

Il mancato Mondiale e la frattura interiore

Quell’anno, però, arrivò la prima crepa. Nonostante i numeri da extraterrestre, Luiz Felipe Scolari decise di non convocarlo per il Mondiale 2002 in Corea e Giappone. Una delusione bruciante: mentre Ronaldo, Rivaldo e Ronaldinho riportavano il Brasile sul tetto del mondo, Jardel guardava da casa. La sua esclusione aprì una ferita che non si sarebbe mai rimarginata.

A complicare la situazione, il divorzio dalla moglie Karen, madre dei suoi due figli. Una crisi personale che coincise con l’inizio di problemi psicologici e lo sviluppo di dipendenze che non gli permise più di ritrovare lo splendore atletico e la ferocia che un tempo lo contraddistinguevano in campo. Da lì, il declino fu rapidissimo.

Il girovagare senza gloria

Nel 2003 passò al Bolton in Premier League. Sembrava l’occasione per rilanciarsi, ma il fisico appesantito e la testa altrove lo resero l’ombra di se stesso. Dopo appena sette presenze lasciò l’Inghilterra e iniziò un pellegrinaggio che lo portò in Italia (all’Ancona, con tre apparizioni goffe e disastrose), in Spagna, poi di nuovo in Brasile, in Bulgaria, a Cipro, fino ad approdare persino in Australia e in Arabia Saudita.

Ovunque andasse, il copione era lo stesso: tante promesse, pochi fatti, e la triste sensazione di trovarsi di fronte a una caricatura del campione che fu. In Italia resta il ricordo grottesco del suo arrivo ad Ancona: accolto come il colpo del secolo, Jardel si presentò sovrappeso, spaesato, incapace di reggere il ritmo della Serie A. Un flop totale.

I numeri di un bomber dimenticato

Eppure i numeri raccontano altro. Due volte Scarpa d’Oro, due volte capocannoniere della Champions League, cinque del campionato portoghese, quattro titoli nazionali vinti in Portogallo. Fino al 2003 la sua media era da fuoriclasse assoluto: 414 partite e 328 gol.

Dopo, soltanto briciole. Qualche rete in Argentina con il Newell’s Old Boys, una Coppa di Cipro al lume del tramonto, un’ultima parentesi in Arabia Saudita dove, quasi quarantenne, riuscì a segnare ancora più di un gol a partita. Lampi malinconici, lontanissimi dai fasti di un decennio prima.

Una parabola esistenziale

Jardel stesso, anni dopo, ha ammesso che depressione e dipendenze furono più forti di lui. Tentò anche la via politica, candidandosi nel 2014 a deputato nello Stato di Rio Grande do Sul e venendo eletto, salvo poi incappare in scandali e dimissioni. Il calcio non lo aveva più, la vita faticava a restituirgli un senso.

La sua vicenda ricorda da vicino quella di un altro brasiliano, l’Imperatore Adriano: esplosione fulminante, gloria, e poi un lento dissolversi tra eccessi e malinconia. Perché i campioni, per quanto idolatrati, restano uomini, con fragilità che nessun gol può cancellare.

Epilogo amaro

La storia di Mario Jardel resta uno degli esempi più clamorosi del tema “dalle stelle alle stalle” nel calcio moderno. Un bomber che seppe toccare il cielo, ma che non riuscì a restare in volo precipitando fragorosamente, proprio sul più bello. Oggi il suo nome è più spesso accostato alle occasioni mancate che alle valanghe di gol che segnò. Una parabola che, nel bene e nel male, continua a ricordarci la linea sottile che separa la leggenda dal baratro.


Mario Jardel

  • Nazionalità: Brasile
  • Nato a: Fortaleza (Brasile) il 18 settembre 1973
  • Ruolo: attaccante
  • Squadre di club: Vasco da Gama (BRA), Gremio (BRA), Porto (POR), Galatasaray (TUR), Sporting Lisbona (POR), Bolton Wanderers (ING), Ancona (ITA), Newell’s Old Boys (ARG), Alaves (SPA), Goias (BRA), Beira Mar (POR), Anorthosis (CIP), Newcastle Jets (AUS), Criciuma (BRA), Feroviario (BRA), América (BRA), Flamengo (BRA), Cherno More (BUL), Rio Negro (BRA), Al Tawooun (KSA)
  • Trofei conquistati: Campeonato Carioca 1993, 1994, Taca Rio 1993, Taca Guanabara 1994, Campeonato Gaucho 1995, 1996, Primeira Liga Portugal 1996/1997, 1997/1998, 1998/1999, 2001/2002, Coppa del Portogallo 1997/1998, 1998/1999, 2001/2002, Campionato Argentino 2004, Coppa di Cipro 2006/2007

SITOGRAFIA:

  • (17/04/2018) From 54 goals in a season to drug addiction: the rise and fall of Mario Jardel, Fergus McAlinden, These Football Times
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Simone Cola
Simone Colahttps://www.uomonelpallone.it
Amante del calcio in ogni sua forma e degli uomini che hanno contribuito a scriverne la leggenda

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