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Ascesa e caduta dei New York Cosmos

I New York Cosmos hanno rappresentato allo stesso tempo il meglio e il peggio di quello che è stato il calcio in America.

Inizio di “Once in a Lifetime (The Extraordinary Story of the Nw York Cosmos)”

Se oggi socchiude gli occhi, dimenticando per un momento di osservare i ragazzi che allena nella zona di Long Island e annusando invece semplicemente l’odore dell’erba, del campo, Werner Roth può tornare indietro nel tempo fino agli anni d’oro dei New York Cosmos e del “rock ‘n’ roll soccer”.

Non quello di oggi quindi, ovviamente più organizzato e sicuramente meglio gestito da dirigenti attenti ai bilanci, ma a quello degli anni ’70, quando il calcio divenne improvvisamente cultura di massa anche nel Paese del football americano e del basket NBA, attirando colossi imprenditoriali e campioni incredibili.

Colorato, eccessivo, questo è stato il calcio americano nella sua prima incarnazione, quando nel giro di pochi anni ragazzi come Roth passarono da giocare anonime partite in campetti quasi dimenticati a trovarsi allo Yankee Stadium stracolmo, i dollari che abbondavano, le vittorie, la fama e compagni di squadra straordinari.

Qualche nome? Gordon Banks, Franz Beckenbauer, Giorgio Chinaglia, Carlos Alberto, Johan Neeskens. E poi il più grande di tutti, Sua Maestà Pelé, l’uomo che aveva reso possibile l’impossibile.

Gli irripetibili New York Cosmos

Fino all’incredibile arrivo di O Rei, infatti, il soccer in America era poco più che un gioco al quale si dedicavano quasi esclusivamente gli immigrati che costantemente raggiungevano gli USA alla ricerca del “sogno americano” e i loro figli.

Il giovane Werner non faceva eccezione: la sua famiglia proveniva dalla regione del Banato, anticamente parte dell’Impero Austro-Ungarico e poi rimasta divisa tra Romania, Ungheria e Jugoslavia nonostante alcuni tentativi di raggiungere un’appena sfiorata indipendenza.

All’età di 8 anni Werner aveva visto per la prima volta le coste degli Stati Uniti, partito con i genitori dall’Europa per non farvi mai più ritorno: l’America offriva tantissime opportunità che andavano soltanto sfruttate, ma mai il piccolo Roth avrebbe potuto immaginare che il suo futuro professionale sarebbe stato quello di calciatore.

Insieme a Pelé, poi, che proprio mentre Werner dava i primi calci a un pallone stava stupendo il mondo nella Coppa Rimet di Svezia del 1958, portando il Brasile al primo agognato trionfo mondiale.

Soccer e USA, una storia difficile

Il calcio in America ha avuto una storia lunga e travagliata: nei primi anni del XX° secolo fu uno sport discretamente seguito e praticato perlopiù dai tanti immigrati europei, che esaltavano le folle con il proprio talento fino a quando la crisi di Wall Street portò al fallimento di molte delle imprese legate ai club allora dominanti.

Scomparsi i Betlehem Steel e i Fall River Marksmen, gli americani fecero appena in tempo a distinguersi nei primi Mondiali di sempre, nel 1930, quando raggiunsero le semifinali destando una buona impressione e ripetendosi poi vent’anni dopo, nonostante un campionato divenuto amatoriale, quando la squadra composta da Frank Borghi e Joe Gaetjens riuscì a sconfiggere nientemeno che l’Inghilterra.

Si parlava però sempre di uno sport giocato e seguito dagli stranieri, mentre il pubblico americano restava più orientato verso sport yankee e ben più remunerativi: football americano, basket, hockey e baseball avevano l’egemonia sugli interessi sportivi nazionali, un’egemonia che soltanto un miracolo avrebbe potuto spezzare.

Ed ecco che compaiono, nel 1970, i New York Cosmos: sembrano una squadra come tante altre, ma alle spalle hanno i fratelli Ertegün, turchi di origine (e per questo appassionati di soccer) e soprattutto proprietari della Atlantic Records, etichetta discografica entrata da poco nelle grazie della potentissima e ricchissima Time Warner.

Sembra uno sfizio, possedere una squadra di calcio, e inizialmente il presidente della compagnia Steve Ross deve vederla così, ma col tempo e con le vittorie nella mente dei dirigenti della Time Warner si forma l’idea di fare qualcosa di più. Di trasformare il calcio americano, di renderlo commerciale, fruibile a tutti, di utilizzare sia le conoscenze e la passione dei fratelli Ertegün sia i soldi e lo spirito imprenditoriale tipico degli americani.

La nascita dei Cosmos

1972: Richard Nixon annuncia lo sviluppo del programma spaziale Space Shuttle, che rivoluzionerà il volo nello spazio. Nello stesso momento, a New York, sta nascendo il progetto “Cosmos”, destinato a cambiare per sempre il volto del calcio in America.

Tutto nasce dalla vittoria del campionato NASL che si svolge in quello stesso anno: in un torneo che premia il pareggio con 3 punti, la vittoria con 6 e in cui ogni goal segnato dopo il terzo vale un ulteriore punto in classifica, i New York Cosmos dominano il proprio raggruppamento comprendente anche i Rochester Lancers e le due compagini canadesi del Montreal Olympique e Toronto Metros.

Dopo aver sconfitto in semifinale i Dallas Tornado per 1-0, ottengono un’altra vittoria di misura in finale, superando i St. Louis Stars per 2-1. Gli eroi della squadra sono principalmente due, il bomber di Bermuda Randy Horton, che per mantenersi lavora in un cinema e per hobby segna valanghe di reti, e proprio Werner Roth, il leader della difesa.

Mentre cresceva, il bambino arrivato dalla Jugoslavia aveva studiato architettura nella Brooklyn Technical High School ma senza tralasciare il calcio, dov’era diventato una stella prima a livello scolastico e poi a livello semi-amatoriale, distinguendosi come uno dei migliori del German-Hungarian Soccer Club, una delle tante squadre a matrice etnica presenti nel campionato newyorchese.

Proprio su questi campetti di periferia aveva affrontato l’inglese Gordon Bradley, che chiamato a guidare i Cosmos poco tempo dopo si era subito premurato di avere con sé il giovane Roth, 22 anni, consapevole di come una buona difesa sia la base per le vittorie ad ogni livello.

L’arrivo di Pelé

Nel 1975 la vita cambia improvvisamente per i ragazzi del Cosmos. La proprietà annuncia ai giovani e increduli giocatori che il grandissimo Pelé sarà un loro compagno di squadra, il primo e più importante tassello per un futuro che cambierà improvvisamente, che anzi è già cambiato. E ovviamente possiamo soltanto immaginare l’emozione provata da chi soltanto un paio di anni prima si esibiva davanti a qualche migliaio di spettatori per 75 dollari a partita.

Il grande campione brasiliano, 35 anni, si è appena ritirato dopo aver lasciato il segno nella storia del calcio come nessuno prima di lui: ha conquistato 10 volte il campionato paulista, 5 volte quello brasiliano, 3 volte la Coppa del Mondo segnando oltre 1.000 reti.

È stato talmente forte, talmente amato, talmente iconico da essere dichiarato dal Brasile “patrimonio nazionale”, al fine di scongiurarne la cessione ad un ricco club europeo. Per averlo i Cosmos compiono un investimento folle: si parla di 4,5 milioni di dollari per tre anni, una cifra incredibile che naturalmente non viene investita soltanto per le prestazioni sportive del grande campione.

Pelé sarà non soltanto la stella, ma l’immagine, l’icona del nascente movimento calcistico a stelle e strisce, la sua presenza attirerà altri grandi campioni, e la gente verrà allo stadio soltanto per ammirarlo.

Il piano sembra funzionare perfettamente: nel giro di pochissimi mesi i Cosmos passano da una presenza media sugli spalti di 4,000 spettatori a 10,000, poi 20,000, infine 40,000, quando ormai si sono spostati nel Giants Stadium di New York.

“Siamo riusciti a trascendere qualsiasi cosa. Ogni cultura, ogni confine, ogni classificazione socio-economica.

Eravamo internazionali, eravamo europei, eravamo americani del Bronx. Eravamo fantastici. Eravamo tutto. Per tutti.”

Shep Messing, portiere dei Cosmos dal 1973 al 1977

Collezione di star

Werner Roth ha vissuto tutto questo cambiamento dall’interno, vedendo partire uno ad uno i vecchi compagni, sostituiti come in una pazzesca collezione di figurine da straordinari campioni ormai sul viale del tramonto, desiderosi di giocare con Pelé e di strappare l’ultimo buon ingaggio in carriera.

Eppure, mentre cambiano i giocatori intorno a lui, mentre i pullman sgangherati vengono sostituiti da voli in prima classe e persino elicotteri, Roth rimane: è ormai un simbolo della squadra, una colonna portante, è rispettato da tutti i ben più rinomati compagni per la sua compostezza, la sua forza e la sua concentrazione, doti che finiscono col fargli meritare il titolo di “Pelé della difesa dei Cosmos”.

Punto fermo anche di una Nazionale ancora ben lontana dall’essere soltanto vagamente competitiva, Roth dividerà campo e spogliatoio con Banks, Chinaglia, Beckenbauer, giostrerà in difesa con il grande Carlos Alberto, restando sempre ben ancorato in difesa, in una squadra di stelle che pensano soltanto ad attaccare, a fare spettacolo per i tifosi americani.

I Cosmos sono una moda, un evento, come verrà perfettamente raccontato nel film-documentario del 2006 “Once in a Lifetime: The extraordinary story of the New York Cosmos” che ha ispirato questo post. I trionfi sul campo, a dire il vero, sono solo una parte del successo: dopo il primo campionato conquistato nel 1972, in epoca amatoriale, Pelé mette la firma soltanto sul titolo del 1977, l’anno in cui si ritira in una bella partita che mette i Cosmos di fronte al Santos e che vede il campione giocare un tempo con ognuna delle uniche due squadre della sua vita.

La crisi

Ma se fino a quel giorno i Cosmos sono diventati una delle squadre più in voga del mondo, richiesti in ogni parte del Paese e protagonisti anche di importantissime amichevoli internazionali come nessun club americano ha mai fatto prima, il giorno in cui si ritira Pelé è in pratica il giorno in cui comincia la parabola discendente dei Cosmos. E di conseguenza, dell’intero calcio americano.

Nonostante infatti arrivino altri campioni e il “giochino” funzioni ancora per qualche anno, né Johan Neeskens né Giorgio Chinaglia (che pure segnerà 231 reti in 234 partite, un record) hanno il carisma, la presenza scenica e il potere mediatico di Pelé.

Come già era successo negli anni ’20, il soccer non è riuscito a entrare davvero nel cuore dei tifosi americani, che lo hanno visto soltanto come un evento, un piacevole passatempo, con lo stesso spirito con cui ci si reca al circo. La NASL ha non poche colpe, avendo voluto sfruttare la tattica del “tutto e subito” rinunciando a sviluppare eroi locali, preferendo loro stelle straniere che non venivano tutte con lo stesso spirito di Pelé, e cioè quello di piantare il seme del calcio anche negli Stati Uniti.

La crisi della Time Warner, che comincia nel 1982 e che porta ben presto a chiudere molti rami societari compreso quello che si occupa dei Cosmos, va di pari passo con il crescente disinteresse del pubblico verso uno sport che persi i lustrini si è rivelato di poca sostanza. Nel 1984, rapidamente come era sorto, il soccer scompare: le squadre chiudono i battenti una dopo l’altra, compresi i mitici Cosmos capaci di segnare un’epoca.

L’ultimo lampo di Werner Roth

Werner Roth, uno dei pochi eroi americani di una squadra di stelle da collezione, è riuscito a farsi conoscere al mondo nei panni di un tedesco: un anno dopo essersi ritirato per via di un infortunio, infatti, entra a far parte del cast di “Fuga per la Vittoria” di John Huston, il film più famoso mai fatto sul calcio.

Che esce nel 1981 e che vede ancora una volta il giovane jugoslavo circondato da numerose stelle del pallone: qui interpreta il tedesco Baumann, l’unico calciatore riconoscibile della squadra nazista che affronta la compagine alleata protagonista della pellicola, diventando nei minuti finali il personaggio principale, con Sylvester Stallone, di un epico duello sul dischetto di rigore.

Il declino dei New York Cosmos coincide con quello dell’intero movimento che questa straordinaria squadra reggeva quasi interamente sulle proprie spalle. Le televisioni prendono sempre meno in considerazione il soccer, gli ascolti calano di conseguenza e alla fine anche gli stadi cominciano a svuotarsi. Con la stessa rapidità con cui era emersa, la North American Soccer League finisce nell’oblio.

Declino e rinascita

L’ultima stagione dei New York Cosmos è datata 1984: la crisi ha portato a una nuova e massiccia presenza di giocatori americani, nel disperato tentativo di attrarre un pubblico sempre più disinteressato. In campo sono rimasti Neeskens, Oscar Damiani, il polacco Zmuda, mentre Chinaglia è diventato presidente in un disperato tentativo di salvare il salvabile.

Non è possibile, e l’ultima mezza stagione la squadra la gioca nel torneo indoor, una sorta di futsal, prima di arrendersi all’evidenza quando gli stadi – gli stessi che pochi anni prima presentavano folle entusiaste, striscioni, canti e cappelli variopinti – si rivelano sempre più desolatamente vuoti.

Nel giro di poco più di un decennio i New York Cosmos sono stati capaci di rivoluzionare il calcio americano, ma non hanno saputo gestire la propria fortuna, mostrando tutta l’inesperienza dei dirigenti americani. Se però è vero che è necessario sbagliare, per comprendere i propri errori e non commetterli più, si può dire che la MLS odierna – attenta ai bilanci , alla presenza degli americani e allo sviluppo dei giovani – deve moltissimo a questa storica compagine, da qualche anno tornata in campo nella rinata NASL, al giorno d’oggi una lega minore.

Nell’ultima stagione i Cosmos hanno conquistato nuovamente il titolo, segnando una rinascita che un giorno forse potrebbe anche portarli nuovamente tra i protagonisti assoluti del calcio americano. Ma anche se ciò non dovesse accadere una cosa è certa: il mito di questa squadra resterà per sempre immortale.


SITOGRAFIA:

  • Spicciariello, Franco (12/06/2006) Roth, dai Cosmos a “Fuga per la vittoria”, SoccerItalia
  • (06/08/2015) Throwback Thursday: Werner Roth discusses career with the New York Cosmos, NASL (Sito Ufficiale)

FILMOGRAFIA:

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