La storia di Alipio, attaccante passato da possibile erede di Cristiano Ronaldo a vero e proprio “desaparecido”.
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Ascesa e caduta di Mario Jardel, uno dei più grandi bomber della sua generazione incapace però di consacrarsi definitivamente.
Lascia un commento11 dicembre 1999: Eugenio Fascetti decide di far esordire il diciassettenne Antonio Cassano durante un Bari-Lecce che i biancorossi perdono per 1 a 0. Un esordio come tanti? Mica tanto, il ragazzo ha talento e si farà – anche se non compiutamente – e infatti la settimana successiva umilia la difesa dell’Inter e il libero e campione del mondo francese Laurent Blanc segnando un goal strepitoso.
È nata una stella, ma non è certo la prima. La prima stella del Bari fu Cesare Grossi detto Ninì, straordinario talento che negli anni ’30 avrebbe infiammato il pubblico dello “Stadio della Vittoria” prima di andare incontro a una morte tanto prematura quanto misteriosa.
Lascia un commentoNel 2006 sulla panchina della Nazionale australiana siede uno dei più grandi santoni del calcio moderno, l’olandese Guus Hiddink. L’obbiettivo, con il Mondiale tedesco alle porte, è quello di preparare una squadra che possa non solo ben figurare, ma che abbia anche prospettive nel futuro. Per questo alla rosa dei “socceroos” vengono aggiunti cinque giovani, considerati i migliori del Paese: non andranno al Mondiale, ma allenandosi con i “grandi” faranno un’esperienza che sarà utile nel proseguio delle loro carriere e magari aiuterà anche il calcio australiano ad emergere.
Lascia un commentoU.S.A., 4 ottobre 2005
In America esce il nuovo capitolo del videogioco di calcio più famoso del mondo, “FIFA ’06”.
In copertina, per il mercato yankee, troneggia Ronaldinho, idolo del Barcelona e che sarà a fine anno Pallone d’Oro.
Al suo fianco due giovani talenti continentali: il messicano Omar Bravo e il ghanese naturalizzato americano Freddy Adu.
Lascia un commentoForse non tutti sanno che anche in Cina si gioca a calcio, e da quasi mille anni. È infatti attorno addirittura al 1500 A.C. che si attribuisce l’invenzione, nel Celeste Impero, del Cuju (o Tsu’ Chu), sport che mirava a infilare un pallone di cuoio ripieno di piume e capelli femminili dentro un sostegno mediante l’uso esclusivo dei piedi.
Il fatto che poi il Paese, dai tempi della Rivoluzione di Mao, sia rimasto abbastanza chiuso al resto del mondo non ha certo favorito lo sviluppo del calcio moderno, solo recentemente venuto alla ribalta grazie al Guangzhou che ha avuto tra i suoi protagonisti Lippi, Diamanti e Gilardino.
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Quando l’estate finisce, forse, Marco dà un’occhiata distratta ai giornali e ricorda i suoi tempi: ricorda gli esordi, ricorda il suo nome su quelle pagine, ricorda le estati delle grandi attese e quelle delle delusioni.
O forse no, forse al pallone preferisce non pensarci proprio più, per dimenticare quello che non è stato ma poteva essere, se solo “se”. La storia di Marco Macina è quella di tanti, troppi giocatori dimenticati.
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Quando si è ritrovato a calciare il rigore valido per il terzo posto nella Asian Challenge Cup, Mateja Kežman deve essersi chiesto come potesse essere finito così in basso.
Si parla infatti di una coppa di poca importanza e di un terzo posto che il “suo” South China, compagine di Hong Kong, stava giocandosi con il Guangzhou R&F, “cugina minore” della ricca squadra allenata in passato anche da Marcello Lippi e Fabio Cannavaro.
Quando il tiro è finito fuori, ecco che il centravanti serbo deve aver capito che basta, era finita. E infatti pochi giorni dopo ha annunciato il suo ritiro. Una fine ingloriosa per un attaccante che nei primi anni del 2000 aveva fatto parlare di se in tutta Europa per la sua media-gol impressionante.
Dopo essere esploso nel Partizan Belgrado, infatti, Kezman era stato acquistato dagli olandesi del PSV Eindhoven, che prima di lui avevano lanciato nel calcio che conta gente come Romàrio e Ronaldo.
Lascia un commentoA vederlo palla al piede puntare l’avversario e ridicolizzarlo con finte e controfinte degne del grandissimo Garrincha, mai qualcuno avrebbe potuto pensare che quel puro fenomeno fosse soltanto pittoresco, un bell’orpello da esibire qualche minuto ma da mettere da parte quando la partita si fa importante e servono calciatori e non giocolieri.
Perché questo fu Denìlson, un giocoliere, eppure talmente fenomenale che per anni tutti gli appassionati di calcio non hanno smesso di sperare che diventasse anche un calciatore.
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Chiedi chi fu Adriano Leite Ribeiro.
Chiedi e qualcuno ti dirà che per un periodo, un breve ma intenso periodo, lo si sarebbe potuto considerare il miglior centravanti al mondo senza timore di bestemmiare.
Perché se Ronaldo, O Fenomeno, era stato giocatore capace di spaccare in due la storia, evoluzione dei grandi campioni del passato con un fisico potente e scattante, Adriano sembrava essere giovanissimo la stessa evoluzione di Ronaldo, al quale cedeva il passo in termini di classe pura ma che poteva persino superare in potenza.
Il suo sinistro potente e preciso era il terrore di ogni portiere, il fisico scultoreo esaltava i tifosi dell’Inter, capaci finalmente di ritrovare un campione dopo la partenza del loro idolo, Ronaldo appunto.
E invece tutto finì forse nel momento più bello, quando il mondo era ai piedi di questo ragazzone che grazie al talento era riuscito a sfuggire alla difficile vita di una favela di Rio de Janeiro. La fama, i soldi, improvvisamente si ritorsero contro un ragazzo buono e ingenuo, vittima di se stesso e dei suoi demoni e che da anni è letteralmente scomparso dal mondo del calcio.
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Agosto 1999, mancano meno di sei mesi alla fine di un anno che non sarà proprio come tutti gli altri anni. Il 31 dicembre arriverà infatti il 2000, si entrerà nel XXI° Secolo, e la prestigiosa rivista “TIME” lancia un sondaggio sul proprio sito internet: chi è stato il personaggio del secolo?
La lotta può essere molto interessante, ma a sorpresa, dopo poche settimane, c’è un nome che mette in fila tutti, Winston Churchill e Marthin Luther King, Ghandi e Che Guevara. È un irlandese di appena vent’anni, che oggi, sedici anni dopo, conduce una vita quasi anonima allenando i ragazzi del FC Dallas in America.
Il suo nome è Ronnie O’Brien. Cosa ha fatto per meritare tale onore?
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Adrian Doherty era l’ala destra del Manchester United giovanile che nel 1992 stupì tutta l’Inghilterra.
Una squadra composta dai fratelli Neville, difensori abili e versatili; dal centrocampista Paul Scholes, un ragazzino rossiccio e asmatico che sarebbe diventato contro ogni pronostico uno dei più forti e completi interpreti recenti del ruolo.
L’ala sinistra era un tale Ryan Wilson, dotato di dribbling fulmineo e velocità pazzesca. Tutti ne parlavano un gran bene, in seguito avrebbe abbandonato il cognome e la nazionalità inglese del padre per prendere quelli della madre.
Sarebbe diventato Ryan Giggs, bandiera eterna dei Red Devils e della Nazionale del Galles, uno dei più forti giocatori di sempre.
E poi c’era David Beckham, che sarebbe diventato una stella non solo sul campo, uno dei giocatori più pagati e conosciuti al mondo. Tutti forti, fortissimi.
Adrian Doherty, la stella della “Class of ’92“
Eppure se qualcuno avesse chiesto ad Alex Ferguson, tecnico dello United che si fregava le mani consapevole delle carriere che avrebbero avuto quei ragazzini, chi fosse il più forte della nidiata la risposta sarebbe stata una sola.
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