U.S.A., 4 ottobre 2005
In America esce il nuovo capitolo del videogioco di calcio più famoso del mondo, “FIFA ’06”. In copertina, per il mercato yankee, troneggia Ronaldinho, idolo del Barcelona e che sarà a fine anno Pallone d’Oro. Al suo fianco due giovani talenti continentali: il messicano Omar Bravo e il ghanese, ma ormai statunitense a tutti gli effetti, Freddy Adu.
Il primo, che ha all’epoca 25 anni, calerà negli anni il proprio rendimento ma si ritaglierà comunque una rispettabile carriera in Messico, dove attualmente veste la maglia del Guadalajara. Per il secondo, invece, è tutta un’altra storia. Si dice che sia il talento mondiale del domani. Americano.
Ci sono tutti gli ingredienti per una storia assurda e bellissima: quella di un profeta venuto dall’Africa che porta finalmente il calcio in America grazie a velocità, dribbling, tecnica e gol. Sarà la “Perla Nera” degli Stati Uniti, del resto lo ha detto anche colui che originariamente portava quel soprannome. Un certo Pelé.
Tema, Ghana, 2 giugno 1989
Freddy Adu, che all’anagrafe si chiama Fredua Koranteng, è nato a Tema, piccola città portuale nella regione della Grande Accra, in Ghana. È stato registrato all’anagrafe il 2 giugno 1989, e dato che in Africa a volte certe procedure vanno per le lunghe questo sarà qualcosa di cui si parlerà molto in futuro.
L’argomento verrà infatti discusso per spiegare la sua rapida ascesa, perché è davvero difficile credere a quello che vedono gli occhi di chi lo vede giocare a pallone già da bambino. Per il piccolo Freddy non esistono categorie giovanili, a 7 anni è già capace di giocare tranquillamente con ragazzi che hanno quasi il triplo della sua età.
Il tempo di sognare la maglia del Ghana, però, non c’è. Quando Freddy ha appena 8 anni la famiglia Adu vince la lotteria che mette in palio la Green Card per gli Stati Uniti. Un permesso di soggiorno temporaneo che per chi abita nei paesi più poveri al mondo rappresenta un biglietto per il sogno americano.
Sarà negli Stati Uniti che Adu crescerà, bruciando una dopo l’altra le tappe con una velocità incredibile. In un Paese che sta appena cercando di ricostruire una scuola calcistica, che sogna di avere un personaggio catalizzatore capace di dare credibilità a un intero movimento e costantemente in cerca di storie da raccontare, del resto, non può che essere così.
Bradenton, Florida, 2002
Dopo aver fatto sfracelli a livello giovanile, Adu nella primavera del 2002 entra nella prestigiosa IMG Soccer Academy. Ha 13 anni, i suoi compagni dai 16 ai 18. Tra i tanti Jonathan Spector, che avrà esperienze anche in Premier League; Eddie Gaven, che arriverà a giocare diverse stagioni in MLS prima di ritirarsi abbastanza presto; Jonathan Bornstein, attualmente al Queretaro dove gioca insieme ad un certo Ronaldinho.
E poi ancora Danny Szetela, adesso al NY Cosmos e visto da noi al Brescia; Robbie Rogers, famoso per il coming out con cui ha dichiarato apertamente la propria omosessualità; Michael Bradley, il figlio dell’allora CT della Nazionale Bob e tra i più forti giocatori a stelle e strisce di sempre, da noi con le maglie di Chievo e Roma.
Di tutti questi prospetti, però, appare chiaro ai vari allenatori che il più promettente, la punta di diamante, non può che essere Freddy Adu. Un diamante certo da sgrezzare, pochi dubbi: è talmente forte, da sempre, che i compagni di squadra per lui sono quasi un ostacolo, gioca meglio da solo che in team. E questo ad alti livelli non va bene.
Si pensa che sia un ostacolo che, lavorando, sarà superato, e intanto tutti si stropicciano gli occhi a vedere quel che sa fare con il pallone quando è lanciato in porta. Dal 2002 al 2003, con la Nazionale Under-17, 15 partite e 16 reti. Appena 14 anni. È pronto, prontissimo, per fare sul serio. O almeno questo è quello che tutti pensano.
Aprile 2004
L’esordio nel calcio dei grandi avviene nell’aprile del 2004: il DC United, che ha penato un bel po’ con la MLS per ottenere i servigi del giovane fenomeno, lo fa esordire nella prima gara stagionale, avversari i San Jose Earthquakes il 3 aprile.
Il 17 aprile, due settimane dopo, ecco il primo gol nei professionisti, 15 anni ancora da compiere. Terminato però con la prima stagione da rookie l’effetto-novità, ecco le prime critiche e le prime panchine.
Adu tutto sommato se la cava, resiste, nei Men in Black rimane tre stagioni (con in mezzo un provino per un altro United ben più prestigioso – il Manchester – che però si conclude in un nulla di fatto per via del mancato permesso di soggiorno) e tutto sommato dimostra di poter stare nel calcio dei grandi.
Viene ceduto al Real Salt Lake insieme a Nick Rimando, un giovane portiere che in seguito diventerà il migliore della Lega, ma nello Utah allora tutti si esaltano, ovviamente, per Freddy. Del resto lascia il DC United dopo 87 partite distribuite in 3 stagioni, e condite da 11 reti e 17 assist. Numeri non di poco conto.
Fenomeno nazionale
Numeri che, uniti ad un Mondiale Under-20 (quello del 2007) dove gli USA superano anche il Brasile di Pato e in cui Adu rifila una tripletta alla Polonia, valgono l’interessamento del Benfica, che in quel periodo sta cercando talenti un po’ in ogni parte del globo. Dopo aver preso la promessa australiana Kaz Patafta, è il turno del ben più noto Freddy Adu, che è stato addirittura investito da Pelé come suo erede designato.
Preso, e del resto i tifosi di Salt Lake City già lo sapevano, che uno così predestinato se lo sarebbero goduto per poco. Già, perché intanto è arrivata anche la Nazionale USA maggiore: l’esordio nel 2006, 17 anni da compiere, in amichevole contro il Canada. Nonostante la giovane età Adu è ormai un protagonista dello star-system, avendo concluso da poco la sua relazione con un’altra giovanissima stella nascente dell’industria discografica, JoJo.
Estádio da Luz, Lisbona (Portogallo) 14 agosto 2007
Freddy entra al 37° del secondo tempo della sfida tra Benfica e Copenhagen. Sono i preliminari della prestigiosa Champions League, il trofeo per club più importante al mondo, e sono i primi minuti di Adu nel calcio europeo. Per tutti la sua scalata è appena cominciata, Freddy ha 18 anni ed ha già raggiunto traguardi che nessuno dei suoi compagni in America ha mai anche solo sfiorato.
Il mondo è ai suoi piedi, ma è ovvio che ci sarà da lavorare duramente: la prima stagione al Benfica il giovane talento americano, l’erede di Pelé, la vive da comprimario di lusso. Gioca 18 gare, segna 5 reti e fa vedere buone cose. Il Benfica non può aspettarlo, e non lo ha preso certo per inserirlo nella squadra giovanile: un prestito sarà la soluzione più adeguata, un periodo in una squadra con meno aspettative, che conceda a Freddy lo spazio necessario per far sbocciare il proprio talento.
Shadowroom Club, Washington, 12 febbraio 2015
Abbracciato a quattro splendide ragazze, Freddy Adu è il protagonista della notte di Washington. È il PR del club? È semplicemente un ospite? Poco importa. Freddy Adu non è praticamente più un calciatore, avendo rescisso da poco l’ultimo contratto con una misconosciuta squadra serba dove non ha peraltro mai giocato. Che cos’è successo?
Semplice: il Principe non è mai diventato Re, finendo per scontrarsi anno dopo anno con un mondo sempre più grande e forte di lui. Che prima lo ha fatto diventare “normale”, e poi addirittura lo ha respinto. L’anno successivo alla prima bella stagione al Benfica è andato al Monaco, in Francia: una stagione, la miseria di 9 gare e il ritorno al mittente.
Le “Aquile” provano quindi a darlo in Portogallo, al Belenenses, dove perlomeno riesce ad esordire dal primo minuto, ma si fa male dopo una mezz’ora e in pratica tutto finisce lì: 3 partite e via, dopo sei mesi il circo americano si sposta in Grecia, nel modesto Aris Salonicco.
Qui Adu rimane un anno, fino al gennaio del 2011, giocando in pratica due mezze stagioni: nella prima gioca 11 gare e segna 2 reti, facendo gridare alla rinascita, ma nella seconda scompare, non gioca mai e finisce per tornare ancora una volta al Benfica. Dove ormai, è chiaro, non sanno più che farsene.
Adu ha ormai 22 anni, e del talento di un tempo non vi è che il ricordo sbiadito. Il prestito nella seconda divisione turca, al Çaykur Rizespor, potrebbe essere il punto più basso, ma non lo è.
Lampi di gloria
Un improvviso ritorno in America, dove comunque ha ancora un po’ di appeal e dove diventa l’uomo simbolo della neonata franchigia dei Philadelphia Union, può far credere per l’ennesima volta in una rinascita: la squadra è allenata dal suo ex-allenatore del DC United Piotr Nowak, il quale tenta di recuperarlo senza riuscirci.
I numeri (41 gare e 10 reti in una stagione e mezza) ci sarebbero anche, ma Adu non è cresciuto, ha atteggiamenti da star, non sa giocare di squadra. In parole povere è “normale”, e uno come lui, che sognava di essere il Pelé americano, forse non può accettare di essere normale. E certo non lo accettano i tanti che avevano scommesso su di lui, generando il vortice di pressioni che lo ha distrutto. E che adesso lo considerano l’unico responsabile del fallimento.
Ecco che arriva, rigorosamente in prestito, l’esperienza in Brasile al modesto Bahia. 6 mesi e poi addio, il contratto termina. Il 2014 è l’ultimo anno dove Adu tenta di tornare ad essere un calciatore vero. A febbraio fallisce un provino con il Blackpool, poco dopo non riesce ad impressionare nemmeno Bob Bradley, che ai tempi allena i norvegesi dello Stabæk. A giugno prova ancora, stavolta è l’AZ Alkmaar in Olanda. Niente. Infine trova un posto nel campionato serbo: il club è lo sconosciuto Jagodina, il contratto prevede sei mesi con opzione per un altro anno.
Da una squadra all’altra
Ovviamente, scaduti i sei mesi, il contratto non viene rinnovato, anche perché nel frattempo Adu non è mai sceso in campo in campionato, giocando appena uno scampolo di gara in Coppa di Serbia.
Ed eccoci così alla fine: lo Shadowroom Club, le modelle, il calcio che sembra ormai un lontano ricordo ad appena 26 anni dopo un 2015 da dimenticare che lo ha visto stentare persino nella Veikkausliga, il massimo campionato finlandese. Ci ha provato con il KuPS, che però lo ha presto spedito nella squadra riserve, che gioca in terza divisione, per scarso rendimento: rendiamoci conto, terza serie finlandese.
Capita l’antifona Freddy ha rescisso il contratto dopo pochi mesi, trovando poi posto nella NASL, la lega secondaria americana: lo hanno ingaggiato, tredicesimo club in carriera, i Tampa Bay Rowdies, anche se la sensazione è che più che sulle sue prestazioni in campo i giallo-verdi hanno puntato sul richiamo mediatico che il suo nome, pur sbiadito, ancora si porta dietro.
Freddy Adu, the forgotten
La storia di Adu ricorda quella di tanti talenti bruciati precocemente, ma con in più la nota amara di una vita che fino ad un certo punto sembrava davvero quella di un predestinato, del campione che sarebbe stato raccontato in un film di Hollywood, l’uomo che portò il calcio in America.
La storia di Adu ci ricorda che il talento non basta, che il mondo del calcio è sempre stato – e sempre sarà – estremamente selettivo, e che fare il calciatore professionista non è cosa da tutti. Che il talento conta ma è solo una delle tante componenti per avere successo.
Certo, a vederlo sorridere nei club, attorniato da modelle, si può dire che al giovane Freddy non abbia detto poi così male. Eppure siamo convinti che al di là dei soldi, se Adu si ferma per un momento a pensare a quel giorno di tanti anni fa, quando Pelé disse al mondo che quel ragazzino era il suo erede, non potrà provare che malinconia.
Sarà quello il momento in cui Fredua Koranteng Adu si ricorderà di quello che una volta era il suo sogno: essere un calciatore, un campione. Un sogno che non si è mai avverato, ma in cui tantissime persone hanno creduto davvero.
UPDATE 22/03/2017
Conclusa malamente l’esperienza con i Tampa Bay Rowdies (13 partite e neanche la gioia di un goal, evento che manca da ben cinque anni) Freddy Adu ha prima fallito un provino con i Portland Timbers, squadra della MLS, e poi pare sia stato rifiutato anche dai polacchi del Sandecja Nowy Sącz, militanti nella seconda serie nazionale. Il declino continua inesorabile, e ad appena 27 anni si potrebbe considerare Adu un ex-calciatore.
UPDATE 19/10/2020
Dopo aver firmato un contratto con il pittoresco club dei Las Vegas Lights, Freddy Adu sembrava aver trovato la sua dimensione nei campionati di sviluppo statunitensi, ritrovando anche la gioia del gol nel giorno del suo 29esimo compleanno. Un’esperienza che invece non ha avuto seguito e che si è conclusa con l’ennesimo contratto rinnovato e l’ennesimo stop, durato stavolta ben due anni.
In questo periodo Freddy ha allenato i giovani in una scuola calcio del Maryland, tornando improvvisamente al calcio giocato il 14 ottobre del 2020 quando l’Österlen FF, club neopromosso nella terza divisione svedese, ha annunciato il suo ingaggio.
SITOGRAFIA:
- Guglielmi, Dario (15/05/2014) Freddy Adu, storia di un fenomeno nato troppo presto, www.paneecalcio.com
- Tansey, Joe (21/05/2014) What happened to America’s Pelé? The rise and fall of Freddy Adu, Bleacher Report
- Arrowsmith, Richard (13/02/2015) Freddy Adu has gone from being the ‘new Pele’ to becoming a nightclub promoter after failing at 10 different teams, Mail Online
- Jones, Laura (17/02/2015) Living up to the label – Freddy Adu one of many that have failed to live up to unreasonable expectations, The Offside Rule (We Get it.)
- Mohammed, Omar (17/07/2015) The pressure to become the face of US soccer ruined Freddy Adu’s career, QUARTZ