Khalidi Al Rowaihi, l’eroe dimenticato dei “Figli del Deserto”

L’Arabia Saudita che vince il Mondiale. Il suo centravanti miglior marcatore del torneo. Succederà mai? È già successo. Precisamente nel 1989 in Scozia, durante la terza edizione del Mondiale FIFA Under-16: pochissimi dei 22 ragazzi che quel pomeriggio scesero in campo avrebbero poi davvero giocato a livello professionistico, visto che il passaggio al “calcio reale” spesso è una tagliola che spezza tante gambe, lasciando andare avanti solo chi davvero può diventare qualcuno.

Khalid Al Rowaihi ce l’avrebbe potuta fare. E non fu bloccato, come tutti gli altri, dall’impatto con il calcio “adulto”; né ebbe infortuni gravi o comportamenti fuori dalle righe tali da fargli perdere il treno giusto. Morì, semplicemente e tristemente, un giorno di metà marzo in Giordania, il Paese della madre. Un incidente in auto come purtroppo ne capitano tanti, la strada che implacabile decide – spesso capricciosamente – chi deve restare e chi se ne deve andare.

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Ariel Huguetti, “il Maradona di Barrio Billinghurst”

“El Diego y Ariel, uno solo. Suerte 10.”

Difficile che a un turista capiti di passare per Barrio Billinghurst, periferia povera e degradata di Buenos Aires. Chi visita l’Argentina vuole vedere altro, non certo posti dove la disperazione e la miseria la fanno da padrone.

Ma se qualcuno proveniente da fuori dovesse capitare da quelle parti, potrebbe forse notare una scritta su un muro, ormai scolorita e dal significato non del tutto immediato.

El Diego y Ariel, uno solo. Suerte 10.

E potrebbe domandarsi chi fosse mai questo Ariel, che qualcuno ha osato paragonare a nientemeno che “El Diez”, il Dio del calcio, Diego Armando Maradona. Forse chi abita a Barrio Billinghurst potrebbe dirgli chi è stato a realizzare quella scritta, persino a chi era dedicata. E forse – ma solo se questo curioso turista fosse molto fortunato – potrebbe anche dirgli chi è adesso.

Si chiamava Ariel, e per molti era la reincarnazione di Diego Armando Maradona, il più forte calciatore della storia. Stesso sinistro che incantava, stessa fama precoce, fin da bambino.

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Cherno Samba, “quello di Championship Manager”

“Dovevo ordinare un nuovo telefono al mio gestore. Ho chiamato, e quando mi hanno detto che avrei dovuto attendere due o tre mesi ho pensato ‘nessun problema!’.

Poi il ragazzo mi ha chiesto come mi chiamassi, ho detto ‘Cherno Samba’. Sorpreso mi ha detto ‘Quello di Championship Manager? Lo avrà domani allora!’…”


“Quello di Championship Manager”. Ecco chi è, nell’immaginario colletivo dei videogiocatori di fine anni ’90, Cherno Samba. Il miglior giocatore del mondo, o almeno questo secondo i programmatori di “Championship Manager: Season 00/01”, che avevano reso l’allora quindicenne originario del Gambia il miglior prospetto di tutto quell’universo virtuale.

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La rapida eclissi di Billy Kenny jr., il “Gazza di Goodison Park”

“Può diventare il Gazza di Goodison Park!”

Con questo entusiasta e forse affrettato paragone Peter Beardsley, che sta concludendo la carriera all’Everton, risponde ai giornalisti che gli chiedono lumi sul giovane compagno Billy Kenny, esploso improvvisamente nel derby del Merseyside contro il Liverpool.

“Il Gascoigne di Goodison Park”. Un complimento importante se arriva da un nazionale inglese come Beardsley, e Gascoigne (siamo nel 1992) è il calciatore che va di più in Inghilterra al momento.

Aggiungeteci che l’oggetto di questo complimento è nato in città, tifa Everton e quello tra i “Toffees” ed il Liverpool non solo è il primo derby a cui prende parte, ma è proprio una delle sue prime gare in assoluto da professionista. Roba da montarsi la testa.

È quello che succede, infatti. E Beardsley si rivelerà fin troppo bravo come profeta, dato che Billy Kenny (Junior, per distinguerlo dal padre omonimo e già giocatore dell’Everton) finirà come Gascoigne senza però essere minimamente arrivato agli stessi livelli.

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Raffaele De Martino, di corsa contro la sfortuna

Raffaele De Martino sembrava avere davanti a se un futuro da predestinato quando, il 7 novembre del 2004, aveva fatto poco più che maggiorenne il suo esordio in Serie A con la maglia della Roma.

Era arrivato nella società giallo-rossa nel 2000, a 14 anni, seguendo un percorso che dall’Invicta Agro – dove aveva dato i primi calci – lo avrebbe sicuramente portato ai grandi palcoscenici, sulla scia di Daniele De Rossi e Alberto Aquilani.

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Nikon El Maestro, il campione-bambino

A chiunque sia capitato di passeggiare per le Ramblas di Barcelona, in Spagna, sarà capitato di vedere tra i numerosi artisti di strada presenti alcuni veri e propri fenomeni calcistici, personaggi capaci di eseguire un numero impressionante di palleggi, fenomeni del numero ad effetto.

La domanda, che spesso sorge in questi casi all’osservatore casuale, è il perché questo talento venga usato per gli show in strada e non all’interno di uno stadio, in un contesto professionistico magari. La risposta – che ogni vero appassionato di calcio conosce – è che nel calcio il talento è solo uno degli ingredienti necessari per essere un buon calciatore, e spesso neanche quello più importante.

La prova? La storia di Nikon Jevtić, meglio noto al mondo con il nome di Nikon El Maestro: un decennio fa il mondo del web impazziva per il nuovo fenomeno del calcio serbo, prospettandogli un futuro da fenomeno per via di un talento cristallino e innegabile.

Il prossimo 3 giugno, invece, Nikon compirà 22 anni e lo si può già considerare un ex-calciatore.

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Robin Friday, il più grande calciatore che non avete mai visto

Britannico. Talento superbo. Un innato istinto autodistruttivo. Problemi con alcol e droghe.

Quasi qualunque appassionato di calcio, di fronte a questi quattro indizi, potrebbe essere tentato di fare il nome di George Best, grandissima ala nordirlandese del Manchester United, sul quale tantissimo è già stato scritto.

Eppure, per alcuni tifosi inglesi, quello di Best non sarebbe l’unico nome a venire in mente.

Anzi, qualcuno potrebbe raccontare la storia di un altro calciatore che ha vissuto pienamente la carriera di Best, superandolo addirittura in diverse di queste sfaccettature. E certamente troverebbe opportuno fare il suo nome, che a dispetto dell’enorme talento non ha mai giocato nella massima serie, né ovviamente ha vestito la gloriosa maglia della Nazionale.

Un calciatore che aveva certamente tutte le possibilità per farcela, ma che si è bruciato in appena un lustro diventando leggenda. Alcuni appassionati di calcio farebbero il nome di Robin Friday, “il più grande calciatore che non avete mai visto”.

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Nii Lamptey, il Pelé perduto

Molte qualità servono per affermarsi nel calcio. Spirito di sacrificio, predisposizione fisica, capacità tattica e conoscenza dei fondamentali, unite a un po di fortuna, possono portarti ad essere un buon giocatore.

Ma senza il Talento, quello con la T maiuscola, non sarai mai un fenomeno. E’ il talento, una qualità innata, a fare la differenza tra essere un buon calciatore ed una stella mondiale. Il talento puro, quello che non si insegna, quello che non si spiega.

Nii Odartey Lamptey di Talento ne aveva da vendere. Eppure, dopo un inizio sfolgorante, la sua carriera è diventata via via sempre piu’ tortuosa, sempre piu’ lontana dai percorsi calcistici che contano, fino a fare sbiadire il suo nome, che oggi è conosciuto da pochi appassionati.

Questa è la storia di un ragazzo che da piccolo superò mille difficoltà grazie al suo talento ma che poi non riuscì a diventare un uomo, finendo per essere risucchiato nella periferia estrema del pallone. Un ragazzo che, però, non si è mai arreso.

Meteora o sopravvissuto? Questa è la storia di Nii Lamptey.

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Jorge Washington Caraballo, “meglio perdello che trovallo”

Nella stagione 1982-83 il Pisa Calcio torna in Serie A dopo 13 anni: si sono da poco riaperte le frontiere per gli stranieri nel nostro calcio, ed è così che il Presidente Romeo Anconetani, personaggio pittoresco ma grande intenditore di calcio, decide di rinforzare la squadra con ben due stranieri.

Il primo è il danese Klaus Berggreen, discretissima ala che parteciperà anche a due Campionati Europei e ad una Coppa del Mondo con la sua Nazionale e giocherà anche nella Roma e nel Torino.

Il secondo, invece, è il misconosciuto mediano uruguaiano Jorge Washington Larrosa Caraballo. Pur giocando appena 7 partite in Italia, entrerà nella storia della società come il più pittoresco ed improbabile calciatore che ne abbia mai vestito la maglia.

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Ali Dia, professione impostore

La storia del calcio è piena di giocatori sopravvalutati, da cui ci aspettava sfracelli ma che per un motivo o per l’altro non hanno saputo realizzare le aspettative che gli esperti avevano intravisto in loro.

Problemi fisici, problemi caratteriali, problemi tattici o di ambientamento: molti possono essere i motivi per cui un calciatore brilla solo un momento, un attimo.

Sono le meteore, giocatori che magari hanno brillato per pochi istanti e che poi non hanno saputo confermarsi.

La storia di Ali Dia, tuttavia, non può essere inserita in questo gruppo. Non fu una meteora, bensì un vero e proprio impostore che, incredibilmente, riuscì anche a giocare nella prestigiosa Premier League Inglese.

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Theyab Awana, la breve vita del “Tacco di Allah”

La partita ormai non conta niente, mancano poco più di dieci minuti alla fine e gli Emirati Arabi Uniti stanno conducendo agevolmente per 5-2 un amichevole contro il Libano quando viene fischiato loro un rigore a favore.

L’allenatore della Nazionale, Srečko Katanec, vecchia gloria del calcio europeo e visto in Italia con la Sampdoria, ordina che a tirare quel penalty sia la giovane promessa Theyab Awana, uno di quei pochi talenti emiratini per cui si prospetta, forse generosamente, un futuro nel calcio che conta.

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La storia di “Foquinha” Kerlon, campione di sfortuna

Lo chiamavano “Foquinha” per via del suo più noto colpo ad effetto: si alzava la palla sulla testa e filava via agli avversari, spesso grossi il doppio di lui, senza mai far toccare il pallone a terra. Ma, appunto, palleggiandolo con la testa. Un numero da circo. Un numero da foca. Foquinha, appunto.

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