Asbjørn Halvorsen e Otto Harder, l’eroe e il nazista

Asbjørn Halvorsen e Otto Harder

L’ascesa del nazismo e lo scoppio della seconda guerra mondiale travolsero come un’onda tutta l’Europa, mutando confini e paesaggi tanto quanto i rapporti tra le persone, i pensieri, i valori umani che fino a quel momento erano stati dati per scontati.

Era inevitabile che questo avrebbe avuto importanti conseguenze in ogni aspetto della vita umana, impensabile che il calcio e i calciatori, all’epoca tutt’altro che protetti da una “gabbia dorata”, sarebbero riusciti a evitare una follia che il mondo intero aveva già vissuto pochi decenni prima, quando i morti erano stati innumerevoli e la lezione sembrava essere stata appresa.

L’orrore causato dal nazifascismo avrebbe toccato le vite di milioni di persone: tra queste anche quelle di Asbjørn Halvorsen e Otto Harder, amici di lunga data che avevano scritto a Amburgo pagine di calcio indimenticabili le cui vite, in seguito allo scoppio della guerra, avrebbero preso direzioni drasticamente, e drammaticamente, diverse.

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Sam Bartram, il portiere nella nebbia

Alan Curbishley, che dal 1991 al 2006 ha seduto sulla panchina degli Addicks, descrisse con poche ma efficaci parole l’eredità di Sam Bartram: “Quando parli del Charlton, una dei primi nomi che chiunque menziona è quello di Sam Bartram“.

Fuori dall’Inghilterra è conosciuto soltanto da pochi anni ed esclusivamente grazie a un curioso episodio che lo vide protagonista nel Santo Stefano del 1937, eppure Samuel “Sam” Bartram è stato uno dei più grandi protagonisti del football inglese negli anni ’30 e ’40. 

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José Leandro Andrade, “la Meraviglia Nera”

In principio fu Montevideo, in principio fu l’Uruguay. Il luogo dove si svolsero i primi Mondiali di sempre, datati 1930; la squadra che per prima alzò al cielo la Coppa Rimet.

Una compagine che univa classe e forza. La prima rappresentata da un attacco di artisti quali El Vasquito Pedro Cea, el Divino Manco Castro e Héctor Scarone, soprannominato el Gardel del fútbol per la sua eleganza infinita; la seconda sintetizzata nella durezza e nella tenacia di capitan Nasazzi, el Gran Mariscal, leader di una difesa a tratti insuperabile.

Tra difesa e attacco lui, José Leandro Andrade, mirabile sintesi di tutte le qualità che possono servire per creare il calciatore perfetto: fisico, eleganza, capacità di trattare la sfera e abilità nell’essere ugualmente efficace in entrambe le fasi di gioco.

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I Leoni di Highbury (di Lorenzo Fabiano Della Valdonega)

I Leoni di Highbury

Passa un anno, l’Italia di Vittorio Pozzo si è appena laureata Campione del Mondo battendo 2-1 la Cecoslovacchia nella finale di Roma con un gol di Angelino Schiavio al quinto minuto del primo tempo supplementare. Grazie a questo successo, ci meritiamo l’onore di andare a giocare a Londra nella tana dei Maestri; tuttavia non è ancora abbastanza per calcare l’erba imperiale di Wembley.

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John Madden, l’idolo del Celtic Park che divenne “il padre del calcio ceco”

6 luglio 1930, Stade des Charmilles, Ginevra.

Forse fu in quel momento che Jake Madden capì che la sua missione si era conclusa. Oltre ventimila persone circondavano il campo, in attesa di vedere all’opera quelli che poteva senz’altro considerare, senza mezzi termini, “i suoi ragazzi”.

I suoi e di nessun altro, perché quando era arrivato a Praga, oltre vent’anni prima, il football non era altro, per il popolo boemo, che un curioso passatempo, un gioco praticato da pochi appassionati e senza alcuna eccellenza.

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Lee Wai Tong, il Re del football cinese

Chissà se davvero un giorno si realizzerà il progetto che l’amico Nicholas Gineprini ben descrive nel suo libro “Il Sogno Cinese” e che prevede appunto uno sforzo da parte di federcalcio e governo cinesi per portare la nazione più popolosa al mondo in cima alla piramide calcistica entro il 2050.

Per adesso si tratta, appunto, soltanto di un sogno: nonostante possa contare su oltre un miliardo di abitanti, infatti, la Cina non ha mai potuto contare su undici bravi calciatori.

Questione di cultura, di passione, sono innumerevoli i motivi per cui il football non ha mai attecchito, e ancora oggi sono molti i dubbi su quale sarà la reale passione della popolazione, vero motivo di successo nel calcio più dei miliardi e di assi stranieri strapagati ma certamente non altrettanto motivati a lasciare un segno.

Certo è che, se il successo arriverà sarà necessario, più di tutto, ricordare un passato che seppur poco glorioso ha comunque avuto un lampo di speranza, un eroe che ispirò tanti giovani, una meteora che illuminò a giorno la notte cinese.

Il suo nome era Lee Wai Tong.

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Hughie Gallacher, leggenda e tragedia

Chi era mai quel piccolo uomo di mezza età che, da almeno un’ora, percorreva avanti e indietro la banchina della stazione ferroviaria di Gateshead?

Erano ben pochi i presenti che se lo domandavano: nonostante avesse appeso gli scarpini al chiodo da almeno vent’anni, tutti in città sapevano chi fosse Hughie Gallacher, il grande centravanti del Newcastle e della Scozia.

Il mago dell’area di rigore, capace di sbattere la palla in fondo al sacco in qualsiasi modo e contro qualunque avversario.

Quello che una volta era stato il più grande centravanti del Tyneside piangeva e imprecava, lo sguardo perso nel vuoto e le orecchie sorde ai saluti dei presenti. Da tempo le cose non andavano più bene, del resto.

Da quando, terminata la gloria dei campi di gioco, si era ritrovato come molti altri eroi del suo tempo dall’altare alla polvere nel giro di un attimo.

Il football, che tanto gli aveva dato nei suoi anni migliori, esigeva sempre nuovi eroi, e non c’era proprio modo che si fermasse ad onorare chi un tempo aveva scaldato i cuori dei tifosi e adesso, per sopraggiunti limiti di età, non ne era più capace.

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Il tramonto di Gorostiza, “Bala Roja”, distrutto dalla sua stessa grandezza (di Edoardo Molinelli)

Quando morì nel Sanatorio de Tuberculosos de Santa Marina di Bilbao, provato da una vita di eccessi e povero in canna, Guillermo Gorostiza Paredes possedeva pochissimi beni personali. Tra questi, l’unico di valore era un portasigarette d’argento che il presidente del Valencia Luis Casanova gli aveva regalato dopo l’ultima partita con i ché; sul retro erano incise queste parole: “Al mejor extremo izquierdo del mundo de todos los tiempos”.

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Cinema nel Pallone: See You in Montevideo

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Nel luglio del 1930 vengono giocati in Uruguay i primi Mondiali di calcio, un evento che senza alcun dubbio lascia un segno indelebile nella storia del calcio. Mai prima di allora si era svolto un torneo che vedesse le migliori scuole calcistiche del mondo sfidarsi per stabilire quale fosse la migliore, mai prima di allora si erano avuti, in uno spazio tanto ristretto, tanti straordinari campioni.

A dire il vero numerose e prestigiose furono le defezioni che il torneo concepito da Jules Rimet subì: forti della loro autoproclamata superiorità naturale, i britannici rifiutarono in blocco di attraversare l’Oceano per dimostrare ciò che per loro era ovvio, e per motivi diversi – prettamente di natura economica, dato che ai tempi il calcio per molti era “soltanto un gioco” – mancarono all’appello anche numerose rappresentative europee.

A tenere alto l’onore del Vecchio Continente giunsero infine soltanto Francia, Romania, Belgio e Jugoslavia: soltanto quest’ultima avrebbe davvero dimostrato di non essere lì per caso, arrivando anzi ad un passo dalla finale e perdendola per un arbitraggio quantomeno discutibile.

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“Euzkadi – La Nazionale della libertà”, una storia di calcio e antifascismo

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1936: in Spagna scoppia la Guerra Civile, un conflitto sanguinoso che dilania il Paese e che vede le truppe fasciste guidate da Francisco Franco effettuare un colpo di Stato ai danni della Repubblica. In breve i franchisti arrivano ad occupare la maggioranza del Paese, e mentre una dopo l’altra le città cadono sotto l’avanzata dei fascisti spagnoli, spalleggiati dai “colleghi” giunti da Italia e Germania, il neonato governo basco è autore della nascita di una rappresentativa calcistica destinata ad entrare nella storia: Euzkadi, “la Nazionale della libertà”.

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Boris Paichadze: lo strano destino del campione georgiano

Lo stadio nazionale della Georgia è intitolato a Boris Paichadze.

Si tratta del più grande giocatore mai espresso da una scuola calcistica sicuramente non tra le più importanti al mondo ma che è stata capace nella storia di regalare agli appassionati altri eccezionali talenti: dal grande Murtaz Khurtsilava, membro dell’URSS bronzo alle Olimpiadi e finalista agli Europei nel 1972, ai più recenti Ketsbaia, Kinkladze, Arveladze e Khaka Kaladze, per due volte Campione d’Europa con il Milan nel 2003 e nel 2007.

Nessuno di questi però è mai stato considerato superiore a Boris Solomonovich Paichadze, per i georgiani semplicemente il più grande di sempre e che pure non avrebbe mai fatto il calciatore, se non fosse stato per un telegramma.

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Jaguaré Bezerra de Vasconcelos, i racconti incredibili di “Araña Negra”

A Marsiglia, il portiere brasiliano Jaguaré Bezerra de Vasconcelos se lo ricordano molto bene. Uno dei primi idoli del club, personaggio eccentrico e abile tra i pali al punto da guadagnarsi il soprannome di “El Jaguar“, Vasconcelos in Francia ci era arrivato dopo una vita a dir poco avventurosa, che dal natio Brasile lo aveva portato in Europa alla ricerca di soldi e fama.

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