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Asbjørn Halvorsen e Otto Harder, l’eroe e il nazista

L’ascesa del nazismo e lo scoppio della seconda guerra mondiale travolsero come un’onda tutta l’Europa, mutando confini e paesaggi tanto quanto i rapporti tra le persone, i pensieri, i valori umani che fino a quel momento erano stati dati per scontati.

Era inevitabile che questo avrebbe avuto importanti conseguenze in ogni aspetto della vita umana. Umpensabile che il calcio e i calciatori, all’epoca tutt’altro che protetti da una “gabbia dorata”, sarebbero riusciti a evitare una follia che il mondo intero aveva già vissuto pochi decenni prima, quando i morti erano stati innumerevoli e la lezione sembrava essere stata appresa.

L’orrore causato dal nazifascismo avrebbe toccato le vite di milioni di persone: tra queste anche quelle di Asbjørn Halvorsen e Otto Harder, amici di lunga data che avevano scritto a Amburgo pagine di calcio indimenticabili le cui esistenze, in seguito allo scoppio della guerra, avrebbero preso direzioni drasticamente, e drammaticamente, diverse.

Asbjørn Halvorsen e Otto Harder, amici/nemici

Per raccontare questa storia si potrebbe partire dall’inizio, da quando Asbjørn Halvorsen e Otto Harder si incontrarono per la prima volta nel campo d’allenamento dell’Amburgo. Oppure dalla fine, da un ultimo incontro forse mai verificatosi a conflitto finito, un ultimo saluto che è bello pensare sia avvenuto ma di cui non esiste prova.

Oppure possiamo iniziare raccontando il momento in cui Harder, possente centravanti tedesco, sta raggiungendo in tutta fretta la stazione di Amburgo in cerca dell’amico: l’anno è il 1933, e Halvorsen, vero e proprio campione venuto dalla Norvegia 12 anni prima, sta per lasciare la città per sempre.

Vi era giunto nel 1921, spinto dal desiderio di imparare il tedesco e soprattutto da necessità lavorative: era stato assunto dalla Sloman, azienda tedesca operante nel settore marittimo, e aveva quindi lasciato la natia Sarpsborg, la Norvegia e con essa, apparentemente, il calcio.

Dal porto al campo di calcio

Poco più che ventenne, Halvorsen aveva alle spalle una carriera già lunga e piena di successi: vincitore della Coppa di Norvegia con il club della sua città natale, giovanissimo e già capitano e leader, si era messo in mostra anche con la Nazionale guidandola fino ai quarti di finale nel torneo olimpico di Anversa del 1920.

Giocando di tanto in tanto con i nuovi colleghi, nelle occasionali pause che il duro lavoro in cantiere concedeva, il nuovo arrivato aveva colpito i tedeschi, che pure non erano digiuni di football e anzi ritenevano di avere in città alcuni tra i migliori calciatori al mondo. Se non addirittura il migliore di tutti, Der König der Mittelstürmer, “il Re dei Centravanti”: Otto Fritz Harder.

Formazione dell'Amburgo 1927
Formazione dell’Amburgo nel 1927: sono cerchiati Halvorsen (rosso) e Harder (nero)

Il duo che fece grande l’Amburgo

Molti anni dopo si sarebbe scoperto che i due erano differenti ben oltre le qualità calcistiche, ma all’alba dei primi anni ’20 nessuno in Germania avrebbe potuto prevedere come sarebbe cambiato il Paese, né che sarebbe scoppiata una seconda guerra mondiale. La prima era da pochi anni alle spalle, e Otto Harder l’aveva combattuta con l’entusiasmo e la passione di un giovane patriota, ricevendo persino una croce di ferro al merito.

Alto oltre 190 centimetri, robusto ma allo stesso tempo incredibilmente agile e scaltro di pensiero, Harder era la stella più rinomata del calcio in tutta la Germania. Si diceva che con lui in campo l’Amburgo iniziasse ogni partita con un vantaggio di tre reti, un motto che poi era persino diventato una canzone suonata in tutti i cabaret. Nazionalista convinto, aveva sfidato la morte per la propria patria per poi ritrovarsi a maledire, come molti tedeschi, il trattato di Versailles.

Amburgo, stella del calcio tedesco

Questo aveva messo in ginocchio la Germania, considerata la sola responsabile dello scoppio della prima guerra mondiale e colpita tanto a livello economico quanto a livello territoriale. Sarebbe stato da questa base, da questo senso di ingiustizia e dal desiderio di riscatto – e vendetta – del popolo tedesco che Adolf Hitler avrebbe iniziato la sua folle scalata al potere.

Nel 1921, però, il nome del futuro Führer era poco noto, e nessuno poteva immaginare come sarebbe cambiata la vita e la politica in Germania: nei dintorni di Amburgo la gente preferiva pensare al pallone, anche perché alla squadra migliore in tutto il Paese, che poteva vantare il centravanti più forte, si era appena aggiunto quel curioso quanto fortissimo norvegese pescato, quasi per caso, al porto.

Assi e Tull

Asbjørn Halvorsen e Otto Harder in campo si completavano in maniera fantastica: al secondo, già considerato inarrestabile ai tempi in cui doveva fare praticamente tutto da solo, non parve vero potersi concentrare unicamente sul calciare il pallone in fondo alla rete. Alla costruzione del gioco ci pensava del resto il primo, fenomenale interno di centrocampo che abbinava a qualità tecniche di prim’ordine una straordinaria visione di gioco. I successi arrivarono uno dopo l’altro, con essi i titoli nazionali.

Ai fortissimi uruguaiani del Peñarol, venuti in tournée in Europa con la ferma convinzione di impartire lezioni di calcio, Harder rifilò tutte le reti della sorprendente vittoria tedesca per 4-2, e abbinando potenza e tecnica mise in apprensione anche gli inglesi del Corinthian, che al termine dei 90 minuti si complimentarono personalmente con un calciatore che avrebbe potuto benissimo distinguersi anche nell’allora dominante Football League.

Una coppia inarrestabile

Nessuna difesa poteva resistere alle combinazioni di Halvorsen e Harder: dal 1921 al 1925 l’Amburgo vinse il campionato della Germania del Nord cinque volte consecutivamente per poi ripetersi nel 1928, nel 1929 e ancora nel 1931, anno in cui prossimo alle 38 primavere Otto Fritz Harder detto “Tull” lasciò il club. Il soprannome se lo era guadagnato grazie alla straordinaria possanza fisica che a molti ricordava quella di Walter Tull, stella del calcio inglese e primo calciatore di colore di movimento a giocare da professionista.

Considerando come sarebbe cambiata la sua vita nel giro di pochi anni, è un’amara ironia che il nomignolo che sempre avrebbe accompagnato il grande bomber tedesco fosse un omaggio a un calciatore di colore, così come che all’apice della sua popolarità Harder si fosse ritrovato addirittura protagonista di un film muto, “Il Re dei Centravanti”, dove il suo personaggio, interpretato da Paul Richter, doveva lottare contro la propria famiglia per essersi innamorato di una donna americana.

Asbjørn Halvorsen e Otto Harder
Asbjørn Halvorsen e Otto Harder sono presenti anche in questa foto: il primo è il secondo in piedi da destra, il secondo siede al centro.

Strade separate

Asbjørn Halvorsen, con il ritiro dell’amico, aveva continuato a giocare per altre due stagioni, conquistando altri due titoli e agendo nell’ultimo anno come allenatore-giocatore. Amatissimo dal pubblico, dopo il divorzio dalla prima moglie tedesca era però giunto alla conclusione che niente lo tratteneva più in Germania, un Paese che era cambiato molto, e in peggio, dal suo arrivo 12 anni prima.

Adolf Hitler salì al potere nel 1933, e l’anno successivo Assi Halvorsen lasciò il Paese disgustato dalla piega che stavano prendendo le cose. Al contrario, Otto Harder credeva ferrmamente nel Führer e nel suo progetto di ridare nuovamente dignità al Paese per cui aveva a lungo lottato – e per cui, calcisticamente, aveva segnato 14 gol in 15 partite. Non è dato sapere se tra i due campioni, così diversi eppure così uniti in campo e fuori, vi fu mai un litigio, una discussione vera e propria, o se la gioia di calciare un pallone permise di mettere da parte ogni altro pensiero.

L’ultimo saluto

Fatto è che quando Halvorsen lasciò Amburgo per sempre Harder era lì, a salutare l’amico e compagno di mille battaglie, il fenomeno che gli aveva permesso di segnare in carriera molti dei 387 gol messi a referto in appena 211 partite. Numeri straordinari per un campione epocale, che amava bere champagne e trascorrere le notti nei migliori bordelli di St. Pauli. E che adesso che la parabola sportiva si era conclusa non aveva idea di come reinventarsi.

Salutato l’amico, Otto Harder si unì alle SS di Hitler: proprio lui, il gigante implacabile soprannominato come un nero, che al cinema aveva amato un’americana e che era stato applaudito, incoraggiato e amato da tifosi tanto tedeschi quanto ebrei. Una scelta consapevole, presa da un uomo di quarant’anni che credeva nel sogno del Terzo Reich e che mai avrebbe rinnegato la propria fede, neanche messo di fronte alle proprie responsabilità.

La follia della Guerra

Quando il conflitto ebbe inizio, Asbjørn Halvorsen e Otto Harder si ritrovarono per la prima volta l’uno contro l’altro. Dopo aver guidato la Norvegia al bronzo alle Olimpiadi del 1936 – eliminando peraltro la Germania nell’unica partita di calcio a cui Hitler abbia mai assistito – l’ex-stella del calcio tedesco non accolse bene l’invasione dei nazisti nel Paese dov’era tornato a vivere. Prodigandosi in boicottaggi verso gli invasori sia in modo plateale che di nascosto, fu ritenuto responsabile della pubblicazione di due riviste di resistenza e arrestato nell’agosto del 1942.

Appena otto anni prima aveva salutato la Germania, acclamato dalla folla, ed ecco che adesso Assi Halvorsen, il perno dell’Amburgo più forte mai visto, faceva il suo ritorno come prigioniero di guerra. Trasferito da un campo all’altro insieme a molti suoi compatrioti, costretto a vivere nella costante sporcizia, a convivere con fame e sete, a difendersi dai pidocchi e a lavorare dodici ore al giorno. Torturato dopo essersi rifiutato di obbedire all’ordine di colpire un compagno, la voce dei carcerieri che rammentava costantemente come l’unico modo per andarsene, per i prigionieri, fosse dal camino, in polvere e cenere.

Salvo in extremis

L’incubo ebbe fine il 5 aprile del 1945, quando nella serie di operazioni che sarebbe stata ricordata come quella degli “autobus bianchi” Halvorsen e numerosi altri compagni furono tratti in salvo e riportati a casa: il campione era ormai prossimo ai cinquant’anni e lottava tra la vita e la morte, il fisico un tempo prestante ridotto a uno scheletro di 40 chilogrammi di peso, il tifo che lo aveva colpito nei giorni precedenti e che a lungo fece dubitare sulla sua sopravvivenza.

Avrebbero potuto incontrarsi ancora, i due campioni che avevano fatto grande l’Amburgo. Otto Harder aveva infatti scalato le gerarchie delle SS, e dopo aver dovuto rinunciare a essere impiegato in battaglia per raggiunti limiti di età era stato messo a guardia del campo di concentramento di Neuengamme, uno dei tanti in cui Halvorsen era stato rinchiuso ma trasferito poche settimane prima dell’arrivo di quello che una volta era uno dei suoi migliori amici.

Tull Harder in azione
“Tull” Harder in azione: il bomber dell’Amburgo fu forse la prima vera stella del calcio tedesco.

L’ultimo incontro

A guerra conclusa sarebbe stato processato come tutti i criminali nazisti e mai si sarebbe dichiarato pentito di quanto fatto, a dimostrazione di una fede cieca nell’ideologia di Hitler che gli valse una condanna a 15 anni di reclusione: ne avrebbe scontati meno della metà, tornando a Amburgo e venendo accolto come un eroe tanto dal club quanto dagli ex-giocatori e tifosi.

In Norvegia, apparentemente superata la lunga malattia che ne aveva messo a repentaglio la vita, Halvorsen avrebbe continuano a dedicarsi anima e corpo al calcio nazionale. Fu lui a guidare la squadra che affrontò la Germania nelle qualificazioni ai Mondiali di Svizzera nel 1954, quelli che avrebbero sancito la rinascita dei tedeschi sia a livello calcistico che a livello di nazione.

Ironia della sorte, la sfida si giocò proprio ad Amburgo e fu seguita da una cena in cui le squadre e alcune vecchie glorie locali si riunirono allo stesso tavolo, l’intenzione di cancellare per sempre gli orrori di una guerra disumana. Era il 1953, e non ci è dato sapere se nell’occasione fosse presente anche Otto Harder, né se abbia stretto la mano ancora una volta all’ex-compagno, ma è senza dubbio bello immaginare che sia andata proprio così, che il grande Assi abbia perdonato il suo partner calcistico come perdonò quel popolo che lo aveva amato e poi tradito.

Fine della storia

Due anni dopo, in un anonimo albergo di Narvik, il corpo del grande Asbjørn Halvorsen fu trovato senza vita dalla cameriera che era venuta a pulire la stanza: i dolori patiti durante la guerra, le privazioni e le malattie avevano infine avuto la meglio. L’anno successivo lo avrebbe raggiunto anche Otto Fritz “Tull” Harder, il grande bomber tedesco salutato con tutti gli onori dal suo club, che ancora una volta preferì dimenticare i crimini perpetrati durante la guerra come convinto sostenitore del nazismo e membro delle SS.

Nel 1974, in occasione dei Mondiali di calcio svolti in Germania Ovest, il comitato organizzatore cittadino presentò un opuscolo che ricordava i più grandi calciatori visti con la maglia dell’Amburgo, ritenuti modelli ideali per i più giovani: accanto a nomi come Josef Posipal e Uwe Seeler una pagina era dedicata anche a Otto Harder, “il Re dei Centravanti”: all’ultimo momento, tuttavia, questa scomparve da tutte le 100.000 copie stampate. Un rigurgito di coscienza, forse tardivo ma che consegnò finalmente il controverso campione all’oblio.


SITOGRAFIA:

  • Sonnleitner, Martin (16/06/2008) Der Stürmer und der Dränger, Spiegel Online
  • Wildhagen, Niklas (13/07/2015) Tull Harder and Asbjørn Halvorsen – A friendship torn apart, Bundesliga Fanatic
  • Leal, Tolo (18/08/2017) Asbjorn Halvorsen, la resistencia del fútbol a la invasión nazi, Libertad Digital
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