Tra i milioni di ebrei morti nei lager nazisti vi furono numerosi atleti di primo piano. Tra questi anche Eddy Hamel, talento nato a New York e diventato idolo con la maglia dell’Ajax di Amsterdam. Tra i primi eroi delle folle olandesi, questo eccellente attaccante esterno finì purtroppo per essere inghiottito dalla follia dell’Olocausto.
Nel calcio olandese degli anni ’20 Eddy Hamel fu uno dei più apprezzati idoli dei tifosi dell’Ajax di Amsterdam. Il club, impegnato in una difficile ricostruzione che avrebbe dato i propri frutti soltanto un decennio più tardi, continuava a rimandare l’appuntamento con la vittoria del titolo continuando però ad avere un grande seguito anche grazie alla classe della sua ala destra.
I suoi genitori si erano trasferiti a New York alla fine del XIX secolo, ma non si erano mai davvero ambientati e avevano deciso di tornare ad Amsterdam poco dopo la sua nascita. Eddy era dunque cresciuto come un vero olandese, con papà Moses che aveva ripreso in città la professione di tagliatore di diamanti. La famiglia Hamel era ebrea, un particolare che avrebbe segnato la carriera di Eddy e purtroppo anche il suo destino.
Eddy Hamel, prima stella ebrea dell’Ajax
Alla comunità ebraica di Amsterdam, che viveva nei pressi dello stadio De Meer e da sempre era vicina all’Ajax, non parve vero che finalmente uno di loro fosse una delle stelle del club. Per la prima volta un ebreo brillava con la maglia dei Lancieri, e incantati dalla sua classe e dalla sua determinazione si assiepavano sulle tribune, percorrendole avanti e indietro nello stesso modo in cui lui correva lungo la fascia quando entrava in possesso del pallone. Un’usanza che si ripeteva anche nel secondo tempo, con il cambio di campo e di conseguenza lo spostamento di questo vero e proprio “fan club” sugli spalti opposti. Tutto, pur di non perdere un solo dribbling di Hamel.
Questo accadeva dal 1922, da quando cioè Eddy aveva indossato per la prima volta la casacca ajacide dopo aver esordito con quella dell’AFC, l’Amsterdamsche Football Club che ai tempi era la seconda squadra cittadina. I campi di allenamento dei due club, oggi distanti anni luce come dimensioni ma ai tempi del calcio dei pionieri fieri rivali, erano adiacenti, e un giorno Eddy era diventato noto alla dirigenza dei Lancieri dopo aver intenzionalmente sfondato una finestra dello spogliatoio dell’Ajax con una pallonata.
Un gesto che era stato notato dal custode del campo, che aveva immediatamente segnalato il giovane ai propri superiori. Questi, dopo essersi informati sulla sua identità , erano però rimasti colpiti dal mix di velocità e tecnica di cui quella promettente ala destra era in possesso. E dopo averlo perdonato lo avevano successivamente convinto a indossare proprio la maglia dei Lancieri. Il resto sarebbe stata storia: 8 stagioni condite da 125 presenze, magie in serie, boati del pubblico estasiato.
“Andavo a vederlo giocare quando ero nelle giovanili del club. Era un calciatore meraviglioso. Un’icona, quello che oggi potrebbe essere definito un idolo. E soprattutto è sempre stato un vero gentiluomo, e questa era la cosa che mi piaceva di più di lui. Non ha mai preso a calci gli avversari, non ha mai risposto alle provocazioni o cose del genere.
Gé van Dijk, stella dell’Ajax negli anni ’40 e ’50
Era il mio modello, io volevo essere come lui. Volevo essere come Eddy Hamel.”
Un futuro scritto come allenatore
In 8 anni non conquistò alcun trofeo, ma come detto erano anni difficili, quelli in cui il club stava gettando le basi per il futuro sotto la guida del tecnico inglese Jack Reynolds. Appena 8 i gol messi a segno, ma del resto Eddy Hamel era l’esempio perfetto di giocatore altruista, utile, che ama mettersi al servizio dei compagni e della squadra. Qualche infortunio di troppo, che infine lo avrebbe costretto ad appendere gli scarpini al chiodo non ancora 30enne. Proprio a ridosso di un nuovo ciclo vincente della squadra di cui era stato eroe indiscusso dentro e fuori dal campo.
Preso atto dell’inevitabile, tormentato dai dolori al ginocchio infortunato che gli impedivano di continuare la carriera, si era accontentato di giocare con una squadra di veterani del club. Non era rimasto questo il suo unico legame con il calcio. Incapace di abbandonare lo sport che amava così tanto, aveva scelto di mettere a disposizione le proprie conoscenze ai più giovani come allenatore.

Negli anni ’30 Eddy Hamel lavorava come rivenditore all’ingrosso di cereali e allenava nei dintorni di Amsterdam, ma si spingeva anche a Volendam e Alkmaar. Lo faceva per passione, la stessa per cui aveva sempre giocato. A volte veniva ricompensato in pesce o prodotti di prima necessità , ma quello che donava in cambio era inestimabile. Tutti i club con cui lavorò ricorderanno in futuro i miglioramenti evidenti avuti dopo il suo arrivo, segnale che quel giovane newyorchese d’Olanda tanto aveva dato al calcio. E tantissimo avrebbe ancora potuto dare.
Un mondo sconvolto
Purtroppo, però, la sua vita venne sconvolta come quella di milioni di olandesi dall’invasione della Germania nazista. Adolf Hitler era salito al potere, e aveva convinto chi lo seguiva che il male del mondo erano gli ebrei come Hamel e la sua famiglia. L’antisemitismo, che ad Amsterdam già si respirava prima dell’arrivo dei tedeschi, dal 1939 divenne addirittura legge.
Chi come Hamel era in possesso di un passaporto americano poteva però vivere relativamente tranquillo. Normalmente questo tipo di prigionieri veniva infatti utilizzato in scambi e trattative con gli Stati Uniti. In più Eddy era ancora un vero e proprio idolo per migliaia di cittadini, che ancora ricordavano le magie che era capace di produrre con un pallone tra i piedi. Ma quando furono istituite vere e proprie taglie sugli ebrei qualcuno lo tradì e lo denuncio ai nazisti.
Eddy Hamel vvenne fermato la sera del 27 ottobre 1942 da due agenti della polizia olandese che adesso collaborava con gli occupanti nazisti. I due sapevano che era ebreo, e contestavano la mancanza della stella di David che da regolamento avrebbe dovuto esibire sulla giacca. L’iter era sempre lo stesso: lui, la moglie Johanna e i figli gemelli Paul e Robert, 4 anni, vennero arrestati e trasferiti nel campo di smistamento di Westerbork.

Viaggio senza ritorno ad Auschwitz
Qui la famiglia poté vivere per alcuni mesi relativamente tranquilli. Una situazione creata ad arte dai nazisti per far si che i prigionieri non temessero per la propria vita creando dunque problemi. Hamel aspettava la documentazione che lo avrebbe salvato, il suo passaporto statunitense ormai andato perduto da tempo, ma a causa di ritardi burocratici questo arrivò tragicamente troppo tardi. Quando accade, infatti, la famiglia Hamel era già stata caricata su un treno che assomigliava a un carro bestiame e che aveva, come destinazione finale, il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.
All’arrivo, dopo giorni di viaggio in condizioni disumane, Eddy fu separato dalla moglie e dai figli. Non li avrebbe rivisti mai più, dato che subito dopo il loro arrivo questi furono uccisi nelle famigerate “docce” con cui i nazisti uccidevano gli ebrei che ritenevano inutili anche per lavorare come schiavi. Hamel non poteva saperlo, almeno all’inizio, ma giorno dopo giorno si rese tragicamente conto di qual era il destino che lo aspettava. Impossibile, del resto, non farlo di fronte agli orrori a cui i prigionieri erano costretti ad assistere quotidianamente.

Circa 100 giorni dopo il suo arrivo ad Auschwitz, Eddy Hamel – numero 98289 per i terribili archivi del campo di concentramento – fu costretto a prendere parte a una visita medica di controllo insieme a tutti gli altri prigionieri che condividevano la baracca con lui. Aveva un ascesso in bocca, il suo destino era tragicamente segnato. Venne inviato alle “docce”, da cui non sarebbe mai più tornato. Scomparve nel mese di aprile del 1943, ad appena 40 anni, uno dei tanti calciatori vittime dell’Olocausto.
Chi si ricorda di Eddy Hamel?
A guerra finita si scoprì che la famiglia Hamel era stata letteralmente cancellata dalla Shoah nazista. Eddy, la moglie Johanna, i figli Paul e Robert. Ma anche i genitori Eva e Moses, la sorella Estella, uccisi a Sobibór. L’altra sorella Hendrika, scomparsa ad Auschwitz poco prima del suo arrivo. E infine la minore, Celina, sparita nel nulla negli anni in cui essere ebrei, in molti Paesi europei, significava convivere con una condanna a morte.
In memoria di Edward Hamel e della sua famiglia Amsterdam ha realizzato una “pietra d’inciampo”, deposta sulla Rijnstraat. Il calcio olandese ha omaggiato più volte uno dei suoi primi grandi campioni, ricordandone le classe dentro e fuori dal campo attraverso le testimonianze di chi ha avuto il privilegio di conoscere la prima stella statunitense del calcio europeo, il primo campione ebreo dell’Ajax. Un antico detto ebraico dice che “non sei morto finché il tuo nome sarà menzionato”. Prendendolo per vero, possiamo almeno consolarci affermando che Eddy Hamel vivrà per sempre.
Le condizioni terribili a cui eravamo sottoposti ci stavano trasformando in persone diverse. Ma non era così per tutti. Alcuni, nonostante l’orrore che ci circondava, riuscirono a restare sempre dei veri gentiluomini, umani fino all’ultimo. Eddy Hamel fu uno di questi.
Leon Greenman, compagno di baracca e amico di Hamel
Eddy Hamel
- Nazionalità : Stati Uniti/Olanda
- Nato a: New York (Stati Uniti) il 21 ottobre 1902
- Morto a: Auschwitz-Birkenau (Polonia) il 30 aprile 1943
- Ruolo: ala
- Squadre di club: AFC, Ajax
SITOGRAFIA:
- (12/02/2019) McKnight, M., Remember the Ringleader – Sports Illustrated
- (04/03/2019) Lara, M.A., The Ajax winger who was condemned to the gas chamber at Auschwitz – Marca
- (22/11/2021), ‘Stolpersteine’ for Eddy Hamel: a reminder of the tragic fate of an Ajax player – Ajax.nl
BIBLIOGRAFIA:
- (2008) Kuper, S., Ajax, la squadra del ghetto. Il calcio e la Shoah [ACQUISTA SU AMAZON]