La recensione del libro “Il calcio come esperienza religiosa” di Andrea Novelli edito da Ultra Sport con trama dell’opera e analisi dei contenuti.
Tag: anni ’80
Questa storia incomincia un giorno prima. Incomincia la notte precedente alla finale di andata della Coppa Uefa 1983/84. Il gestore del locale “Les Mosquetairs”, situato nel quartiere a luci rosse di Bruxelles, uccide un tifoso degli Spurs con un colpo di fucile per difendersi da quella che lui definì un’aggressione.
Il caduto si chiamava Ian Flanagan, un irlandese. Pericoloso? Forse. Gli altri: “Ci hanno provocato”.
Non ci fu tempo per le riflessioni. Gli inglesi sfogarono la loro rabbia per la morte del ragazzo mettendo a ferro e fuoco la città per tutta la notte. Saccheggi, vetrine in pezzi, auto distrutte: risultato oltre 300 arresti.
Lascia un commentoQuella domenica decisi di prendermela comoda, di non partire troppo presto.
Già in nottata era tornata l’ora legale e le lancette si erano mosse inclementi, quasi furtive, in avanti nel quadrante. Inoltre ad aspettarmi ci sarebbe stata una settimana fatta di alzatacce alle cinque di mattina e mi scoppiava la testa solo a pensarci.
Lascia un commentoMolto spesso si è portati a credere che il calcio sia un sistema perfetto, capace di raccontare con le sue classifiche soltanto grandi verità, un sistema dove se sei abbastanza bravo arriverai e se invece questo non avverrà il motivo risiederà soltanto nel tuo talento, evidentemente non sufficiente.
Chi racconta queste storie spesso dimentica che il successo del football risiede invece proprio nella sua imprevedibilità, che dipende anche – come ogni aspetto della vita – dal destino, dalla sfortuna, dal caso.
Così come un palo o una zolla d’erba possono determinare l’esito di una partita o di un torneo, un infortunio può cambiare per sempre il futuro di un calciatore.
È quello che accade a Giuliano Maiorana, straordinario talento la cui favola conquista l’Inghilterra calcistica a fine anni ’80 e che purtroppo però non avrà calcisticamente un lieto fine.
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Quando l’estate finisce, forse, Marco dà un’occhiata distratta ai giornali e ricorda i suoi tempi: ricorda gli esordi, ricorda il suo nome su quelle pagine, ricorda le estati delle grandi attese e quelle delle delusioni.
O forse no, forse al pallone preferisce non pensarci proprio più, per dimenticare quello che non è stato ma poteva essere, se solo “se”. La storia di Marco Macina è quella di tanti, troppi giocatori dimenticati.
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Se chiedete chi è stato il miglior calciatore della storia a un brasiliano, questo vi risponderà Pelé. Se lo chiedete a chiunque altro, è probabile che vi farà solo un nome: Diego Armando Maradona.
Nato in una delle tante baraccopoli dell’Argentina di allora e di oggi, cresce giocando a calcio ogni giorno nelle strade polverose di Lanùs. Lo nota l’Argentinos Juniors di Buenos Aires, che ha appena preso il suo più acerrimo rivale e migliore amico Goyo.
Il provino è rocambolesco, ma subito agli occhi del suo scopritore Francisco Cornejo la cosa è evidente: il talento di quel ragazzino è infinito, potrebbe diventare il migliore.
Non il migliore della squadra, del quartiere. Non il migliore della città, o del Paese, e neanche il migliore del Sudamerica.
Il migliore al mondo. Il migliore di sempre.
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Del calcio ti innamori un po’ così: sei un bambino, vedi i grandi campioni in TV, ti esalti per le loro movenze e sogni di ripeterle, magari insieme ai tuoi migliori amici. Quelli con cui poi cominci a giocare, sognando palcoscenici invisibili intorno a te, fingendo di essere una di quelle stelle che neanche sospettano della tua esistenza.
La Coppa del Mondo del 1986, evento entrato di diritto nella storia del calcio, ebbe questo effetto su milioni di bambini in tutto il pianeta, rapiti soprattutto dalla genialità e la classe di un Diego Armando Maradona forse mai così grande. È senz’altro possibile che mentre el Pibe de Oro segnava il “gol del secolo” seminando mezza Inghilterra, in ogni parte del mondo nascessero futuri calciatori.
Il bello del calcio, poi, è che come la fantasia dei bambini non ha confini, arriva dovunque: e così il sogno di emulare le gesta di Maradona arrivò persino in un piccolo villaggio di pescatori nel sud della Thailandia. Trasformando l’impossibile in possibile, il sogno in una realtà che, pur lontana dai grandi stadi, avrebbe cambiato la vita dei suoi protagonisti. Dando vita al Panyee FC.
Lascia un commentoChiedete ad un tifoso medio italiano, di quelli che seguono con fatica il calcio nostrano e spesso solo la squadra del cuore, chi sia stato Sócrates: o non avrà idea di chi si stia parlando o lo catalogherà come un fenomeno di folklore, uno dei tanti dei primi anni ’80 della nostra Serie A, un “bidone” della Fiorentina. Sarebbe un errore clamoroso.
Leggere di calcio, provare ad espandere i propri orizzonti e sentire altri racconti aiuta a capire la bellezza di questo gioco: chi lo volesse fare scoprirebbe così che Sócrates non solo è stato uno dei più grandi giocatori brasiliani di sempre ma senza alcun dubbio il più singolare ed unico, una meravigliosa pecora nera.
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Fino alla sua caduta, avvenuta ufficialmente il 9 novembre del 1989, il muro di Berlino ha rappresentato il simbolo della “Cortina di Ferro”, il confine della spartizione del mondo tra quei Paesi che erano sotto l’influenza dell’Unione Sovietica e quelli che invece erano sotto il controllo occidentale.
Non era semplicemente un muro, quello che divideva la città tedesca. Attraversarlo significava, per chi abitava nell’Est, la possibilità di inseguire una libertà che nella DDR (Deutsche Demokratische Republik) era diventata negli anni, dopo un iniziale illusione di comunismo “reale”, una vera utopia.
In molti tentarono di farlo, qualcuno riuscendovi e qualcuno finendo con il rimetterci la vita. Questa è la storia di uno di loro, un calciatore di grande talento che per inseguire la fama e una vita “normale” finì per diventare il tributo più evidente che il calcio ha pagato a questa follia.
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Vero che ormai nel calcio frenetico del 2000 le trattative tra i club durano tutto l’anno, ma è d’estate che il calciomercato impazza, è in quei giorni che i tifosi cominciano a sognare e a disegnare le proprie squadre.
Nel giorno della chiusura del calciomercato ho pensato (bene?) di stilare una mia personale classifica dei peggiori affari di calciomercato mai conclusi in Serie A.
Naturalmente è una classifica personale e scritta di getto, per cui sentitevi liberi di commentare e dire la vostra nella mia Pagina Facebook.
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Nella foto qui sopra potete vedere il più grande giocatore di sempre. Gli anni sono passati, il fisico si è ovviamente appesantito, ma i piedi – si dice – sono quelli di sempre, capaci di accarezzare il pallone come nessuno al mondo né prima né dopo ha saputo fare.
L’altro nella foto, quello che gli contende la sfera, è ovviamente Diego Armando Maradona.
Nessuna confusione, è proprio così. Lo ha detto, del resto, lo stesso Diego. Il più grande giocatore di sempre, da un punto di vista squisitamente tecnico, era salvadoregno. Il suo nome? Jorge Alberto González Barillas, per tutti, semplicemente, Mágico González.
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Quel 27 Dicembre del 1988 si dice che ogni tifoso del Bologna versò una lacrimuccia. In seguito ai postumi di un incidente stradale, dopo quattro mesi di battaglia, si spegneva – a 35 anni ancora da compiere – la giovane vita di Enéas de Camargo, per il mondo del calcio semplicemente Enéas.
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