Se il campionato ungherese è oggi considerato un torneo minore, scavando nella polvere dei ricordi gli appassionati magiari possono trovare numerose storie di un passato che fu glorioso, e che all’inizio degli anni ’50 rischiò di sconvolgere gli equilibri del calcio mondiale.
Erano i tempi del grande Puskás, di Hidegkuti, di Czibor e Kocsis, era la squadra che aveva umiliato a Wembley i maestri inglesi e che in quasi quattro anni aveva perso solo una partita, la più importante, quella che avrebbe potuto davvero cambiare la storia: la finale dei Mondiali del 1954.
Quella squadra straordinaria avrebbe potuto essere persino più forte se diversi dei suoi campioni non si fossero opposti al regime comunista che aveva preso il controllo del Paese nel 1949 sotto la guida di Mátyás Rákosi.
István Nyers, che da noi si sarebbe distinto con le maglie di Inter e Roma, in quel momento si trovava all’estero ed aveva preferito non tornare; lo aveva fatto il grande László Kubala, a tutt’oggi considerato il più grande giocatore di sempre ad aver vestito la maglia del Barcelona, ma capita l’aria che tirava era riuscito a fuggire sfruttando una divisa da soldato.
Era andata male a Ferenc Deák, apertamente oppositore di un regime che, non potendo incriminarlo, avrebbe costretto il più grande centravanti magiaro di sempre a giocare per tutta la carriera in squadre minori, escludendolo naturalmente dalla Nazionale.
Ma la sorte peggiore sarebbe toccata al difensore Sándor Szűcs, scelto per essere un esempio per tutti e che, inseguendo la libertà, avrebbe finito per trovare la morte.
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