L’avventurosa vita di Charles Bunyan, portiere e precursore nel campo degli agenti sportivi nell’Inghilterra vittoriana.
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Alan Curbishley, che dal 1991 al 2006 ha seduto sulla panchina degli Addicks, descrisse con poche ma efficaci parole l’eredità di Sam Bartram: “Quando parli del Charlton, una dei primi nomi che chiunque menziona è quello di Sam Bartram“.
Fuori dall’Inghilterra è conosciuto soltanto da pochi anni ed esclusivamente grazie a un curioso episodio che lo vide protagonista nel Santo Stefano del 1937, eppure Samuel “Sam” Bartram è stato uno dei più grandi protagonisti del football inglese negli anni ’30 e ’40.
Lascia un commentoIl football nasce ufficialmente in Inghilterra nel dicembre del 1863, quando gli uomini illuminati che hanno da pochi mesi fondato la Football Association scrivono per la prima volta quelle che saranno le Laws of the Game, le regole del gioco. Nel giro di poche decine di anni il gioco diventa molto più che un semplice passatempo, coinvolge città, smuove le folle, attira denaro e soprattutto entra prepotentemente nella vita e nella cultura britannica come nessuno sport prima è stato capace di fare.
Sul campo il gioco compie diverse evoluzioni, ma una tradizione rimane salda: il Boxing Day, l’equivalente del nostro Santo Stefano, il giorno successivo a Natale, si gioca su tutti i campi, dai fangosi pantani delle divisioni inferiori alle modernissime pelouse della ricca Premier League.
E se è vero che il gioco, ad alti livelli, si è evoluto – pur con notevole ritardo rispetto al resto d’Europa – nei gradini più bassi della piramide calcistica nazionale in giù vige ancora il buon vecchio kick and rush. Calcia e corri, dove più che il buon tocco di palla o la raffinata visione tattica contano corsa, fiato, coraggio, le qualità che richiede – e di cui si accontenta – chi per Santo Stefano si trova a guardare una partita di settima, ottava, nona divisione.
Si gioca il 26 dicembre dal 1860, da quando cioè, ben prima che nascesse la Football Association, si disputò la prima partita ufficialmente registrata come tale, il derby tra Sheffield FC e Hallam, all’epoca le uniche due squadre esistenti al mondo, e si sa quanto gli inglesi siano legati alle tradizioni. Nel corso degli anni niente ha scalfito questa usanza, e numerosi sono stati gli episodi da ricordare, ma quello che riguardò il tedesco Lutz Pfannenstiel nel 2002 merita di essere raccontato.
Lascia un commentoL’ultima persona che vide Leigh Roose in vita fu un suo collega, Gordon Hoare. Era la seconda volta che i due condividevano lo stesso mestiere, e dopo aver calcato i campi di football si erano ritrovati al fronte, soldati come tanti giovani britannici venuti in Francia per arrestare l’avanzata tedesca durante la prima guerra mondiale.
Sul fronte occidentale, nella Bataille de la Somme, caddero oltre un milione di uomini. Britannici, francesi, tedeschi, persone che fino a pochi anni prima avevano condotto magari vite straordinariamente ordinarie, e che per la follia di pochi si erano poi ritrovati nel fango, un fucile in mano, numeri in un gioco mortale.
Lascia un commentoLa domanda che si fecero i membri del comitato a capo del Darlington Football Club nell’estate del 1885, mentre il giovane Arthur Wharton si presentava al campo d’allenamento per mostrare a tutti le sue qualità di footballer, aveva una risposta tutt’altro che scontata.
“Può un nero giocare al football?”
In un’epoca infatti in cui persino l’Encyclopædia Britannica definiva “the Negro” come un essere “mentalmente inferiore al bianco” per via “dell’impossibilità del cervello di svilupparsi completamente a causa della particolare forma del cranio”, in un periodo in cui l’Impero Britannico invadeva l’Africa per aumentare le proprie ricchezze senza curarsi di chi quelle terre abitava – ed era evidentemente “sacrificabile” in nome di Sua Maestà la Regina – a tutti doveva sembrare ben strano che quel giovane ed energico ragazzo di colore avesse deciso di cimentarsi con il pallone.
Lascia un commentoKinshasa, 24 gennaio 1971, “Stadio 20 maggio”.
Mancano ancora tre anni e mezzo alla sfida che vedrà protagonisti Muhammad Ali e George Foreman e che sarà ricordata come “The Rumble in the Jungle”, ma un altro episodio storico per lo sport africano va in scena nello stadio, gremito in ogni ordine di posto per la finale di ritorno che assegna la sesta edizione della Coppa dei Campioni d’Africa.
A contendersi il trofeo nato nel 1964, come tre anni prima, i ghanesi dell’Asante Kotoko e i padroni di casa, i congolesi del TP Englebert. È in questo giorno che nasce la leggenda di uno dei più grandi portieri che l’Africa abbia mai conosciuto: Robert Mensah.
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Per qualcuno è stato il miglior portiere della storia del calcio.
E anche se il nome di Sergio Livingstone non viene ricordato al pari dei più famosi Lev Jašin, Américo Tesorieri, Ricardo Zamora e Dino Zoff, leggendo i racconti di chi ha assistito alle partite in cui questo straordinario portero cileno risulta facile comprendere perché negli anni ’40 qualcuno potesse dire che il più grande guardiano dei pali di sempre fosse cileno.
Lascia un commentoA Marsiglia, il portiere brasiliano Jaguaré Bezerra de Vasconcelos se lo ricordano molto bene. Uno dei primi idoli del club, personaggio eccentrico e abile tra i pali al punto da guadagnarsi il soprannome di “El Jaguar“, Vasconcelos in Francia ci era arrivato dopo una vita a dir poco avventurosa, che dal natio Brasile lo aveva portato in Europa alla ricerca di soldi e fama.
1 commento“Eroe”, sostantivo maschile comunemente utilizzato per indicare una “persona che per eccezionali virtù di coraggio o abnegazione s’impone all’ammirazione di tutti”. Tutto avrebbe potuto immaginare, Jimmy Glass, tranne di arrivare a sentirsi ritratto in quel modo. Certo, come molti, anche lui covava questo sogno fin da piccolo, quando, inseguendo i miti dei più grandi attaccanti inglesi, si era avvicinato al calcio nelle partitelle tra amici.
Lascia un commentoIl Brasile adottò i colori attuali, dove spicca il giallo-oro, dopo la disfatta del “Maracanazo” ai Mondiali del 1950. Fino ad allora aveva vestito il bianco oppure il blu, mai ufficialmente il giallo.
Eppure una gara in cui la Seleção indossò la maglia gialla c’è stata: accadde nel 1919, il giallo (insieme al nero) era quello del Peñarol.
Ancora più curioso che la squadra avversaria, l’Argentina, indossasse la maglia “celeste” degli odiati rivali dell’Uruguay.
Le due Nazionali si sfidarono per l’inedito “Trofeo Roberto Chery”, la partita finì 3 a 3 tra applausi unanimi e grandi abbracci, il trofeo andò al Peñarol e l’incasso alla famiglia di tale Roberto Chery, scomparso il giorno precedente. Ma cos’era successo? E chi fu Roberto Chery?
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13 luglio 2014, stadio “Maracanà” di Rio de Janeiro. La Germania sconfigge l’Argentina e si laurea campione del mondo.
È la vittoria di un movimento che già da anni domina nel calcio continentale, a sua volta espressione di un’economia fiorente leader nel mondo.
È la vittoria di un gruppo, nel quale però se si vuole trovare un protagonista lo si deve individuare nel portiere Manuel Neuer, assolutamente determinante durante tutto il torneo e che non a caso a fine anno arriverà a giocarsi la vittoria del Pallone d’Oro.
Si, ma quando è iniziato tutto questo?
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Moriva, il 7 aprile del 2000, un campione che dentro era ormai morto da tempo.
Un calciatore che aveva visto tutti i successi accumulati in carriera cancellati da un unico, fatale, errore, e che da allora era stato dimenticato dai propri connazionali, dal proprio calcio.
Un calcio, quello brasiliano, che è sinonimo di allegria e che invece un tragico pomeriggio del 1950 diventò tragedia. Maracanaço lo chiamarono in Brasile, “la disfatta del Maracanà”: il colpevole, l’unico imputato del lutto che colpì una nazione, fu lui. Moacir Barbosa Nascimento, il protagonista della nostra storia di oggi.
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