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Sergio Livingstone “El Sapo”, la storia del più grande portiere cileno mai esistito

Per qualcuno è stato il miglior portiere della storia del calcio.

E anche se il nome di Sergio Livingstone non viene ricordato al pari dei più famosi Lev Jašin, Américo Tesorieri, Ricardo Zamora e Dino Zoff, leggendo i racconti di chi ha assistito alle partite in cui questo straordinario portero cileno risulta facile comprendere perché negli anni ’40 qualcuno potesse dire che il più grande guardiano dei pali di sempre fosse cileno.

Sergio Livingstone “El Sapo”

Sergio Roberto Livingstone Pohlhammer nasce a Santiago il 26 marzo del 1920 e da subito si appassiona al fútbol, sport introdotto in Cile dal padre John, figlio di immigrati scozzesi e stella del Santiago National, club nato all’alba del XX° secolo e futuro fondatore del primo campionato nazionale.

Quando questo avviene, nel 1933, John Livingstone ha appeso da tempo gli scarpini ai chiodi, ma il piccolo Sergio non è rimasto indifferente dalla passione, l’ardore, con cui il genitore ha tentato con successo di diffondere il calcio nel Paese.

I primi idoli dei tifosi cileni sono stati tutti giocatori di movimento, dal mediano Unzaga agli attaccanti Subiabre e Arellano, ma pur essendo atleta completo, capace di disimpegnarsi in qualunque ruolo e anche, probabilmente, di eccellere in qualsiasi sport, Sergio Livingstone decide di diventare un portiere.

E la passione è talmente forte che, dopo aver smesso di giocare per completare gli studi, ritorna e si impone subito grazie ad uno stile decisamente atipico per l’epoca: reattivo tra i pali, dotato di grandi riflessi, nelle uscite è coraggioso, audace al limite dell’incoscienza, e nel dubbio se salvaguardare la propria porta o la propria stessa incolumità, sceglie sempre la prima opzione.

Naturale che di lui si accorga uno dei pochi portieri che prima di lui hanno adottato questo stile spericolato, il leggendario Franz Platko, che dopo aver segnato un’epoca da giocatore nel Barcelona dei pionieri sta spendendo la propria carriera di allenatore in Sud America.

Dopo aver guidato compagini svizzere, francesi, rumene e polacche – con un breve quanto significativo intermezzo nel “suo” Barcelona – il grande Platko è arrivato in Cile per guidare il Colo Colo, ma allo stesso tempo gli sono state date le redini della Nazionale.

Il Cile dei primi anni ’40 è davvero poca cosa se confrontato con le selezioni di Argentina, Brasile e Uruguay, ma nel 1941 chiede di poter organizzare un’edizione straordinaria del Campeonato Sudamericano de Football, la moderna Copa Amèrica, per festeggiare il centenario della liberazione di Santiago.

Vincere è impossibile, ma fare bella figura è quantomeno auspicabile, e Platko decide di affidarsi tra i pali, ruolo che ovviamente conosce bene, al giovanissimo Livingstone, da poco un punto fermo dell’Universidad Católica: sarà ripagato, tanto il terzo posto finale dietro Argentina e Uruguay (con il Brasile che rinuncia) si rivela un grande risultato.

Il Cile supera l’Ecuador 5-0, quindi regola anche i campioni in carica del Perù 1-0 prima di cadere contro le più forti e attrezzate compagini Celeste e Albiceleste, che già nel 1930 si sono giocate la prima finale nella storia dei Mondiali e che possono vantare campioni leggendari.

Né Uruguay né Argentina possono però dire di schierare, tra i tanti fenomeni del fútbol di cui possono disporre, il miglior giocatore del torneo, che risulta essere proprio il ventenne Livingstone, che quel giorno comincia una carriera che entrerà nella leggenda.

Dai confini nazionali, in una carriera che durerà oltre vent’anni, “El Sapo” (“la Rana”) uscirà soltanto per un anno, una stagione agli argentini del Racing Club che gli permette di entrare nell’iconografia del calcio sudamericano.

Finisce due volte sulla copertina di “El Gráfico”, il più conosciuto tabloid sportivo dell’epoca, e conquista il cuore dei tifosi grazie ai suoi tuffi spettacolari e alle sue uscite al limite della follia, ma dopo appena una stagione decide di tornare a casa, all’Universidad Católica, unico grande amore che “tradirà” in seguito soltanto nel 1958, quando si avvia per i quarant’anni e veste per una stagione la maglia del Colo Colo.

Un record ancora odierno

Impossibile contare le partite giocate in carriera da questo grande portiere, molto più facile purtroppo fare il conto dei trofei conquistati, appena due campionati nazionali (nel 1949 e nel 1954) a fronte di prestazioni sempre eccellenti.

Gli anni che passano lo rendono forse meno agile, ma l’esperienza accumulata lo renderà ancora più completo, anche se con l’età e la saggezza il grande Livingstone non smetterà di stupire la folla con le sue parate tanto straordinarie quanto, spesso, rischiose.

Con il Cile prende parte a ben cinque edizioni del Campeonato Sudamericano, disputando un totale di 34 partite nel torneo più prestigioso del continente sudamericano: un record che resiste ancora oggi e che è reso ancora più straordinario dal fatto che i tornei di allora avessero durata più breve.

Uno di questi, Livingstone fu costretto a saltarlo per infortunio, notizia che gettò nello sconforto sia tifosi, giocatori e soprattutto chi fu chiamato a sostituirlo, consapevole che mai avrebbe potuto fare bene quanto “Sapito“.

Nel 1945, proprio contro l’Argentina che ha da poco sedotto e poi abbandonato, gioca una delle sue partite più famose quando riesce a difendere l’incredibile e inaspettato vantaggio dei compagni con una serie di parate clamorose, incredibili, che lasciano i 70.000 presenti all’Estadio Nacional di Santiago a bocca spalancata.

Nonostante la presenza in attacco di campioni quali Pontoni, Norberto Méndez, el Atómico Mario Boyé e Félix Loustau, gli argentini riescono a pareggiare solo nel finale, quando Livingstone viene tradito dall’erba finendo per scivolare mentre si appresta a tuffarsi.

Livingstone partecipa anche ai Mondiali del 1950 in Brasile, gioca fino quasi a quarant’anni e con le sue 52 gare totali sarà a lungo il detentore del record di presenze con la maglia roja del Cile.

Quando si ritira diventa apprezzato giornalista televisivo, vivendo di calcio e per il calcio fino alla morte, che arriva l’11 settembre del 2012.

Nei suoi oltre novant’anni di vita, Sergio Livingstone ha prima osservato il calcio del padre e dei suoi amici pionieri, poi lo ha vissuto da protagonista e infine lo ha raccontato con grande competenza, anima e memoria storica del fútbol del suo amato Cile.

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