Chiedi chi era Paolo Pizzirani. Chiedilo al calcio, quel mondo di cui avrebbe dovuto far parte come uno dei protagonisti principali, e con ogni probabilità non avrai alcuna risposta: sparita troppo presto, la promessa di Bologna, per meritare una pagina di Wikipedia o un video, qualche ricordo di quelle prodezze che facevano strabuzzare gli occhi ai tanti scout che giorno dopo giorno venivano a vederlo prevedendo per lui un futuro ai massimi livelli.
Chiedilo allora ad Alessandro Turrini, l’amico d’infanzia, quello che non dimentica: “Paolo era un 10 vecchio stile, una mezz’ala. Un dio greco con gli occhi azzurri, gentilissimo e dotatissimo non solo nel calcio. Gli ho visto mettere gli sci per la prima volta e scendere giù tranquillo, imbracciare una racchetta da tennis e vincere un torneo. Alto un metro e ottantotto, al basket era incredibile, vinse un campionato provinciale praticamente da solo: quando ‘entrava’ a canestro faceva paura, aveva uno stile che nessuno gli aveva insegnato. Eppure, mai ha utilizzato impropriamente questo bagaglio di vantaggio, mai era spocchioso. Si, dopo un gol esultava, era un passionale e però incapace di cattivi sentimenti.”
La storia di questo prospetto di campione, fermato dagli infortuni e dalla fragilità caratteriale tipica degli adolescenti sognatori, provano a raccontarla Andrea e Giovanni Aloi. Lo fanno avvalendosi soprattutto del contributo dell’amico Alessandro, e poi via via delle testimonianze di chi vide giocare il giovane campione: amici, allenatori, scout.
Perché anche se il calcio riesce facilmente a dimenticare, preso com’è dal continuo affacciarsi di nuovi attori sul palcoscenico, “qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure” scritte dal piccolo campione che a metà degli anni ’70 sembrava destinato a diventare uno degli eroi del nostro calcio.
Paolo Pizzirani, promessa bruciata
Ecco cos’è quindi “La promessa”, opera uscita nel 2011 composta da libro e DVD che racconta la breve vita di Paolo Pizzirani, talento fragile nato in un quartiere operaio e cresciuto troppo in fretta, ritrovatosi in un mondo che non sentiva suo e che a un certo punto non gli è più appartenuto. Accade dopo un grave infortunio, che priva il ragazzo del suo unico appiglio, un talento straordinario che dal quartiere Barca dov’era nato lo aveva condotto adolescente al Cesena, società rinomata per il suo settore giovanile e che per averlo lo aveva pagato una fortuna.
Prima di questo evento la sua vita era sembrata quello di un ragazzo come tanti nato con un dono eccezionale: gli amici, i primi atti di ribellione, le prime prese di coscienza ingenue eppure così genuine nella decade degli anni ’70, così particolare nella storia del nostro Paese. Alessandro e gli altri amici raccontano del successo di Paolo con le donne, dei pomeriggi passati in camera sua ad ascoltare Lou Reed, dei portentosi lanci di quaranta metri che era capace di effettuare con naturalezza mentre tutti intorno arrancavano, i primi segnali di chi sembra destinato a giocare a pallone non soltanto per divertimento.
Di quando Paolo si trasferisce a Cesena, della malinconia che lo prende e non lo abbandonerà più, che gli fa attendere ogni fine settimana il ritorno a casa. Bologna non è lontana, ma in un’epoca senza social network e cellulari questa distanza può sembrare incolmabile ad un adolescente, che alla frequentazione di compagni che non sente suoi finisce per preferire la musica, la scrittura di lunghe lettere.
Proprio la lettura di una di queste lettere è il momento più toccante del film: Paolo si sente solo, sperduto. Gli rimane soltanto il talento, che viene notato persino dal giovane Arrigo Sacchi che allena la Primavera del Cesena. Il ragazzo si farà, ma poi ecco l’infortunio, una riabilitazione che non serve, che non gli permette di tornare quello di prima. Forse Paolo neanche ci crede più, prova a rientrare con il Boca San Lazzaro, ma è capace di giocare soltanto pochi minuti, mentalmente è assente.
Una vita distrutta
Forse la droga si è già affacciata nella sua vita, di certo – racconta il documentario – lo fa pochi anni dopo, quando abbandonato il pallone Paolo scompare, come tanti giovani che negli anni ’80 si avvicinano alla droga senza sapere fino in fondo quanto questa può colpire duro, come neanche il peggiore dei difensori. Ed è così che la storia di Paolo si trasforma, e da quella di una promessa bruciata del calcio diventa quella di tanti ragazzi, bruciati dalla vita e da un mondo duro e incapace di capirli.
Ancora l’amico Alessandro racconta nel film che si salveranno in pochi, in quegli anni, che ad ogni funerale di un amico morto sarà presente qualcuno che lo seguirà pochi mesi dopo, in una spirale tremenda. Giusto ricordare Paolo Pizzirani, il campione che non è mai diventato tale, “la promessa” bruciata da un tackle troppo duro, dalla propria innata fragilità, forse soltanto da un tragico destino che brutalmente decise di riprendersi tutto quello che gli aveva donato.
Il libro è un’opera di circa 80 pagine. Al suo interno il narrato presente nel DVD e le testimonianze degli autori, degli amici e di firme come Gianni Mura e Stefano Bonaga. Il film, della durata di circa un’ora, è realizzato molto bene: la maggior parte delle scene sono interviste ai personaggi che sono entrati nella vita di Paolo alternate a video realizzati appositamente con l’aiuto di alcuni giovani calciatori e che servono per raccontare quello che il calcio, in un’epoca priva di YouTube, ha dimenticato: scene di una grande poeticità, i campi dove “la promessa” ha giocato, il laghetto vicino al campo sportivo dove per l’ultima volta l’amico Alessandro lo ha visto, quando ormai era troppo tardi.
“Sciupato è poco, era trasformato, gonfio, con delle macchie rosse. Non sapevo neanche cosa dire.”
Parole dell’amico che non dimentica, senza il quale forse la storia sarebbe stata dimenticata e che invece insieme agli Aloi (Giovanni alla regia, papà Andrea ai testi) lascia questa testimonianza importante per chi vorrà sapere chi è stato Paolo Pizzirani. “La promessa” mai mantenuta ma, fortunatamente, mai dimenticata.
La maglia del Bologna sette giorni su sette,
Luca Carboni, “Silvia lo sai” (1987)
pochi passaggi molti dribbling quanti vetri spaccati,
un Dio cattivo e noioso preso andando a dottrina,
come un arbitro severo fischiava tutti i perché