Nella sua breve vita Wilfred Nevill fu molte cose: fiore all’occhiello del college di Dover, era studente modello, capoclasse, capitano della squadra di cricket e giocatore titolare delle rappresentative di rugby, hockey, oltre ad essere una stella dell’atletica leggera dell’istituto.
Eppure, nonostante del calcio fosse soltanto un semplice tifoso, è proprio attraverso questo sport che il nome di questo giovane capitano dell’Esercito Britannico, morto in guerra a due settimane dal suo 22° compleanno, è entrato nella storia.
“Billie”, come lo chiamavano tutti, era entrato in guerra unendosi all’East Yorkshire Regiment, e dopo aver combattuto sul Fronte Occidentale era stato trasferito all’East Surrey Regiment, battaglione che avrebbe scritto una pagina bellissima e importante nella storia della Prima Guerra Mondiale giocando una partita mortale nella “Battaglia della Somme”, uno dei tanti feroci scontri che le truppe britanniche ebbero con l’esercito tedesco, asserragliato nelle proprie trincee e deciso a vendere cara la pelle.
Nevill non era, com’è noto e del resto immaginabile, il solo sportivo a partecipare alla guerra: anzi, in Inghilterra – sotto la spinta di numerose personalità, tra cui anche il famoso scrittore Arthur Conan Doyle – furono numerosi i casi di personalità di spicco dello sport che parteciparono alla guerra trovando la morte.
Il football entra in guerra
Come ad esempio “quelli di Mob” (Mob’s Own), nome dato al 7° Northamptonshire Regiment in quanto ideato dal grandioso nazionale di rugby Edward Mobb, che aveva convinto personalmente ad arruolarsi oltre 250 amici. O come il “Battaglione McCrae” (16° Royal Scots), guidato dal carismatico George McCrae e che alla causa – e al cielo – diede numerosi talenti dell’Heart of Midlothian.
Sul fiume Somme sarebbe morto anche il fenomenale portiere gallese Leigh Richmond Roose, ai tempi considerato il miglior goalkeeper del mondo, tanto da stravincere un sondaggio indetto da un noto giornale inglese su chi avrebbe dovuto difendere i pali del pianeta terra in un’ipotetica sfida calcistica contro degli extraterrestri.
Roose trovò la morte, da eroe, quando la battaglia della Somme stava per concludersi: Wilfred “Billie” Nevill, che del portiere donnaiolo e spendaccione al massimo leggeva le gesta sui tabloid, cadde invece il primo giorno.
Un sacrificio annunciato
Gli inglesi avevano pensato bene, per rendere facile l’avanzata alle proprie truppe di terra, di bombardare tutta la linea difensiva nemica: avvezzi però a questo tipo di battaglie, che conducevano ormai da quasi due anni, i tedeschi avevano scavato dei profondi rifugi sotterranei, dove si erano ritirati insieme alla maggior parte della loro artiglieria.
Il mattino di quel 1° luglio del 1916 era ormai noto a tutti che la strategia inglese era stata fallimentare,tuttavia la cinica morale della guerra imponeva che l’attacco sarebbe dovuto avvenire ugualmente, anche se era logico a quel punto il fatto che si sarebbe trasformato in un massacro.
Possiamo soltanto immaginare il morale che si respirava nelle trincee inglesi, mano a mano che “l’ora X” dell’assalto, fissato per le sette e mezzo del mattino, si avvicinava. Una sorta di rassegnazione e disperazione che il capitano Nevill colse senz’altro guardando i volti dei suoi uomini.
Non poteva fare niente, da soldato, se non ubbidire agli ordini, tuttavia ebbe un’illuminazione: se non poteva salvare i suoi commilitoni, poteva almeno tentare di distrarli, di spronarli, di farli “sentire a casa”.
“Battaglione East Surrey contro Bavaresi. Calcio d’inizio all’ora zero”
Fu così che si fece portare due palloni da calcio, quelli che egli stesso aveva portato fino in Francia per rallegrare il morale dei suoi uomini nelle rare occasioni di tranquillità che una guerra così tremenda offriva.
Li portò quindi con se in trincea, non dopo aver scritto qualcosa su entrambi: sul primo “Primo luglio 1916, finale della Grande coppa europea di calcio. Battaglione East Surrey contro Bavaresi. Calcio d’inizio all’ora zero”, sul secondo (consegnato al suo vice) “Nessun arbitro”.
Quando scoccò l’ora X i battaglioni inglesi si riversarono fuori dalle trincee, e in quello stesso istante le mitragliatrici tedesche cominciarono il proprio martellante, ripetitivo, canto di morte. I nemici dovettero però sgranare gli occhi, osservando gli inglesi che con determinazione e ferocia avanzavano calciando i palloni da football, incuranti dei tanti di loro che cadevano uno dopo l’altro.
Quando l’assalto si concluse le trincee tedesche erano state conquistate, poco meno di 300 metri costati 60.000 vite, la metà dei soldati inglesi che avevano giocato quella maledetta “partita contro la morte”: Wilfred Nevill era caduto dopo pochi minuti, crivellato dai colpi delle mitragliatrici nemiche.
I palloni – per quei giovani inglesi simboli familiari della propria patria che ne attendeva il ritorno a casa – erano miracolosamente sopravvissuti, schivando pallottole e granate e venendo recuperati nelle linee nemiche e portati indietro con orgoglio. Non erano in pochi, quel giorno, a pensare che tutto si sarebbe concluso a breve.
Una vita per meno di un centimetro
La “battaglia della Somme” sarebbe invece durata ancora quattro mesi e mezzo, costando oltre un milione di morti tra entrambi gli schieramenti: peggio andò all’Intesa, l’alleanza tra inglesi e francesi, e fu calcolato al termine della guerra che quella vittoria era costata tantissimo in vite umane rispetto al territorio conquistato.
Cinque chilometri di terreno erano costati oltre mezzo milione di morti, un soldato, una vita, per meno di un centimetro. Tra questi quello conquistato da Wilfred “Billie” Nevill, campione di coraggio, ricordato dal calcio e dalla Gran Bretagna come un eroe.
I palloni che egli lanciò contro i tedeschi sono conservati uno al Queen’s Royal Surrey Regimental Museum vicino Guildford e l’altro al Princess of Wales’s Royal Regiment Museum presso il castello di Dover, laddove “Billie” aveva sognato giovanissimo una carriera da sportivo.
Un sogno, uno dei tanti, distrutto dalla Grande Guerra: una follia che avrebbe avuto fine solo due anni dopo e da cui l’uomo, lo testimoniano i tempi moderni, ha imparato ben poco.
Attraverso la grandine della macellazione, dove i compagni coraggiosi cadono, dove il sangue viene versato come acqua, loro spingono il pallone gocciolante. La paura della morte davanti a loro non è altro che un nome vuoto, fedeli alla terra a cui appartenevano gli uomini del Surrey giocarono la partita
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