domenica, Ottobre 6, 2024

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El Trinche Carlovich: un calcio alla gloria

Quella del Trinche Carlovich è una storia molto nota in Argentina: si racconta che sia esistito un campione epocale, che avrebbe potuto rivaleggiare con i migliori ma preferì restare sempre nel barrio in cui era cresciuto, accontentandosi di esaltare gli spettatori delle categorie minori. Verità? Leggenda? Cosa importa?


El Trinche Carlovich fu uno di quei ragazzi di quartiere che, da quando sono nati, hanno come unico giocattolo la palla. Tra lui e la palla c’era un rapporto molto forte. La tecnica di cui era in possesso lo rendeva un giocatore completamente differente dagli altri. Era impressionante vederlo accarezzare la palla, giocare, dribblare. Certamente durante la sua carriera non trovò risorse fisiche che si abbinassero a tutte lequalità tecniche che aveva. Inoltre, sfortunatamente, non incontrò neanche qualcuno capace di guidarlo e capirlo.

Ed è un peccato, perché Carlovich altrimenti era destinato ad essere uno dei giocatori più importanti del calcio argentino. Mi ricordo che lo vidi giocare un una selezione di Rosario contro l’Argentina e fu il miglior uomo in campo. E dire che, tra i molti rivali, c’erano veri e propri mostri come Miguel Brindisi. Vederlo giocare era una delizia. Dopo non so cosa gli successe. Forse il calcio professionale lo annoiava. A lui piaceva divertirsi, e non si sentiva a proprio agio con nessun tipo di compromesso.

(César Luis Menotti, CT dell’Argentina Campione del Mondo nel 1978)

Nel calcio esiste la storia ed esiste il mito. La storia è scritta e ben documentata: parla di campioni, di risultati, cifre, gol e trofei. La leggenda invece, vive di racconti, di figure simboliche, di credenze, talvolta di indiscrezioni o di semplici vociferazioni, spesso precedute da un enigmatico “si dice” o da un più convinto “giuro che”.

El Trinche, più che leggenda

Per la storia, i calciatori migliori di sempre sono stati, a seconda dei gusti, Pelé, Maradona, Di Stefano, Cruijff, Messi, Cristiano Ronaldo e chi più ne ha più ne metta. Ed è indubbiamente vero che in qualsiasi discussione oggettiva, che si basa su fatti concreti, è la storia a contare. Gli almanacchi, le coppe alzate e le reti documentate.

In parte questo criterio rappresenta il modo più imparziale di procedere, altrimenti ognuno di noi potrebbe raccontare una storia incredibile e pretendere che tutto il mondo ci creda. Ma in fondo, il calcio e la vita, cosa sarebbero senza il mito? Senza la fantasia?

Se seguite da tempo questa piattaforma, che racconta di storie di calcio e di uomini cercando di rendere loro omaggio attraverso la documentazione, potreste trovare il racconto di chi fu El Trinche Carlovich quasi fuori luogo. Ma se non ne avete mai sentito parlare proseguite la lettura. Al termine sono sicuro che capirete perché una storia del genere, qui, non poteva mancare.

Un mito avvolto nel mistero

È dunque la fantasia che racconta di campioni magnifici e sconosciuti, autentici fuoriclasse che, per un motivo qualsiasi, non hanno scritto la storia. Ma che hanno tuttavia contribuito – con la propria magia – alla diffusione e alla passione per quello sport nato un secolo e mezzo fa nella piovosa Inghilterra.

Così, se ci atteniamo solo a fatti certi e documentati, si può discutere ore e ore su Pelé, Maradona e Di Stefano, su chi tra loro fosse migliore. Ma se smettiamo per un attimo di guardare i freddi numeri, e se prestiamo unicamente ascolto alle misteriose narrazioni del mito, ecco che allora tutto cambia.

E il miglior giocatore di sempre è un nome che negli almanacchi non trova posto, ma di cui un intero Paese narra la leggenda: “El Trinche“, Tomás Felipe Carlovich.

Ho scoperto Carlovich in un’amichevole di preparazione per la Coppa del Mondo tra l’Argentina – di cui ancora non facevo parte – e una selezione di Rosario. Quel giorno li smontò. Aveva una padronanza della palla e una visione di gioco incredibili. È stato il miglior ‘cinque’ che abbia mai visto.

(Ubaldo Fillol, leggendario portiere argentino)
trinche

La nascita di un mito

Il mito incrocia la storia un pomeriggio di aprile del 1974; la Nazionale Argentina, prossima alla partenza per la Germania (in cui si disputerà la decima edizione della Coppa del Mondo), passa da Rosario e pensa bene di affrontare una selezione locale in uno di quei classici match di riscaldamento, dove si presume che il risultato sarà scontato e tutti si divertiranno meno che i locali.

Invece si diverte solo Carlovich, unico rappresentante della piccola e povera terza squadra cittadina, il Central: nell’abituale posizione di “volante“, schierato cioè davanti alla difesa, si esibisce in un repertorio vastissimo e inarrestabile di finte, tunnel, dribbling, lanci millimetrici e contrasti duri e puliti.

I grandi campioni argentini ammattiscono di fronte a quello sconosciuto, insuperabile in difesa e inarrestabile quando decide di avanzare palla al piede. Il primo tempo termina 3-0 per i carneadi di Rosario; la leggenda vuole che allora “El Polaco” Vladislao Cap, CT della Seleccìon, preghi il tecnico rivale, il leggendario el viejo Carlos Timoteo Griguol, di escludere nel secondo tempo quell’ira di Dio che è “El Trinche”.

Dì ai tuoi ragazzi di abbassare il ritmo, ci stanno mettendo sotto! E per favore, togli quel “cinque” che ci sta umiliando!

Se questo episodio sia realmente accaduto, o se sia invece quasi interamente frutto della fantasia popolare, non è certo nonostante alcuni giornali locali ne parlino il giorno dopo. Ma è certo che per gran parte del secondo tempo El Trinche Carlovich rimane seduto in panchina. L’Argentina segna, uscendo comunque sconfitta per 3-1 ma evitandosi almeno una crisi di nervi. Che invece coglie i presenti alla partita, che protestano furiosamente.

“Con Carlovich es un precio. Sin Carlovich, es otro!”.

Con Carlovich pago un prezzo. Senza, un altro.

Non capisco perché non arrivò a giocare in nessun club importante. Aveva delle qualità tecniche straordinarie. Era abbastanza lento ma molto abile. E ‘guapo’. Ancora non ho visto un altro “cinque” come lui. In quella partita dell’Argentina contro la selezione di Rosario, in cui io giocai per la Nazionale, Carlovich ci sbaragliò. Non potevamo fermare né lui né i suoi compagni. Perdemmo 3 a 1 solo perché tirarono fuori il Trinche al quindicesimo del secondo tempo. Altrimenti…

(Aldo Poy, nazionale argentino nel 1974)

Tra realtà e leggenda urbana

Difficile dire che giocatore sia stato davvero Tomás Felipe Carlovich detto “El Trinche“.

Per José Pekerman, futuro CT dell’Argentina che racconta di non essersi perso una sua sola gara per anni, era semplicemente il miglior centrocampista mai visto. Jorge Valdano, gran giocatore e poi grande scrittore di calcio, sostiene che El Trinche fu l’ultimo esponente del calcio romantico. Per Diego Maradona si dice che fu il più grande giocatore della storia, superiore a lui, a Pelé e a tutti gli altri.

Eppure, delle gesta di questo formidabile giocatore, su Internet non troverete traccia o quasi. Certo non come adesso accade per giocatori sicuramente meno dotati. Perché? Perché si dice Carlovich non ha mai cercato la gloria, il successo, i soldi e i riflettori. Che si sia sempre accontentato di giocare solo per il gusto di farlo. Per amore del fútbol, come direbbe qualcuno.

Gli piaceva più pescare che giocare a calcio. E gli piaceva più giocare a calcio che essere un professionista.

(César Luis Menotti)

Non è stato Maradona perché semplicemente non ha voluto esserlo, pur diventando in un certo qual modo grande quanto “El Diez“, o forse persino di più.

Se è vero che questo centromediano non ha giocato che un pugno di partite nella massima serie, districandosi per un’intera carriera tra seconda e terza divisione senza mai lasciare l’amata Rosario, è vero anche che risulta altrettanto difficile credere che un intero Paese possa essersi inventato di punto in bianco una leggenda, quasi fosse un’allucinazione collettiva.

Una vita a Rosario

Leggenda che nasce il 20 aprile del 1949: l’Argentina è in quel periodo per molti la terra delle opportunità e attira grandi ondate di migranti provenienti principalmente dall’Italia e dalla Spagna. Rosario è culla di grandi calciatori come Messi, Di Maria, di tecnici capaci come Marcelo Bielsa, César Menotti e “El Tata” Gerardo Martino; è la città che ha dato i natali al rivoluzionario per eccellenza – sicuramente il più celebre – Ernesto “Che” Guevara.

È in tale fecondo contesto che nasce Tomás (uno dei sette figli di un immigrato croato), che fin da subito come nelle migliori favole si innamora del pallone, unico compagno di giochi nelle povere e polverose strade del barrio dove cresce.

Impara a giocare nei vicoli, Carlovich, e la cosa sarà evidente anche quando raggiungerà il professionismo: tecnicamente è perfetto, ammaestra la palla come vuole e la spedisce dove vuole, manifesta un carattere umile ma orgoglioso, che non abbassa mai la testa e che non conosce compromessi.

Il maestro del doppio tunnel

Nel calcio che conta arriva relativamente tardi, ed è giusto un assaggio. Qualche gara con il Rosario Central, esperienze con Flandria e Independiente Rivadavia e poi l’approdo al club che egli definisce “la miglior cosa che mi sia mai capitata nella vita”: il modestissimo Central Cordoba che vivacchia in seconda serie.

Non lo porta al successo, perché il suo modo di giocare è tutto per il pubblico e mai per il risultato; tuttavia la sua abilità è tale che in ogni gara interna lo stadio “Gabino Sosa”, intitolato a un altro eroe calcistico di Rosario degli anni ’20, si colma di persone che vengono solo per vedere “El Trinche” all’opera.

E lui non delude mai, diventando celebre per il “doppio tunnel” con cui è solito infilare un solo avversario nello spazio di pochi attimi e – si dice – su espressa richiesta dei tifosi. Fa passare il pallone sotto le gambe dell’avversario, avanti e indietro, nel giro di un amen. Mandandolo in manicomio ed esaltando la folla.

Quando i rivali sono asserragliati in difesa, si racconta non sia raro vederlo fermarsi e sedersi sul pallone, in attesa di trovare la giocata giusta per infilare la porta. Non è scherno, né senso di superiorità, perché Carlovich è anzi giocatore di umiltà eccezionale.

“Solo un modo per riposare” dirà. E c’è da credergli, dato che è proprio per la sua allergia alle sveglie mattutine e ai rigidi allenamenti che la vita di un professionista richiede, che spenderà l’intera carriera nelle vicinanze di casa sua, non allontanandosi mai nonostante i mezzi tecnici non gli manchino di certo.

Mito di un calcio minore

Ma lui preferisce così, giocare per divertirsi e poi la sera ritrovarsi con gli amici di sempre al bar, passare i pomeriggi a pescare o a discutere di calcio in compagnia del suo migliore amico, Vasco Artola, colui che lo ha scoperto e lanciato.

Nel 1974 tutto il Paese parla di lui, di come ha ridicolizzato l’Argentina che si prepara a disputare un deludente Mondiale in Germania. Finisce sui giornali che ci regalano le poche foto che si hanno di lui al tempo, poi torna nell’oblio: un’altra stagione nel Rosario Central e una nel Colòn de Santa Fe, dove viene bloccato da numerosi infortuni e da un dolore all’anca che non gli dà pace.

Una stagione ottima – si dice – nel minuscolo Deportivo Maipù. Tutto molto bello, ma quasi 1000 km di distanza da Rosario, un’enormità per uno che vuole tornare ogni fine settimana a casa e che, per salvaguardare questo rito, arriva addirittura a farsi espellere volontariamente al termine del primo tempo di una gara: avesse giocato anche il secondo avrebbe certamente perso il treno, c’è da capirlo.

Torna così a Rosario, ancora al Central Cordoba, dove conclude la carriera idolatrato dai tifosi locali, pronti a giurare che fra i tanti campioni che hanno esibito il proprio talento sui campi di gioco della città (Redondo, Messi, Maradona), il più grande di tutti è stato senza dubbio lui, El Trinche Carlovich.

Che vive ancora nel Barrio 7 de Septiembre dove è cresciuto; che qualche anno fa ha dovuto subire un intervento all’anca per l’osteoporosi, che gli impedisce adesso di far vedere quello di cui era capace. Disponendo soltanto di una modesta pensione sociale è stato aiutato nell’operazione da tifosi, amici, compaesani e giornalisti.

“I due amori della mia vita”

I più bei doni che il calcio mi ha dato sono stati il Central Córdoba e l’Independiente Rivadavia; li definirei i ‘due amori della mia vita’.
In entrambe le squadre ho giocato i migliori anni della mia carriera, per un totale di 16 da professionista. Con los Charrúas (il Central Córdoba N.d.A.) ho vinto due campionati di Seconda Divisione, nel 1973 e nel 1982.
I dirigenti del club mi pagavano uno speciale bonus per ogni ‘tunnel’ e un bonus doppio per un ‘doppio tunnel’. I tifosi erano soliti incoraggiarmi dalle gradinate urlando: ‘Vai Trinche, esegui un doppio tunnel!”

Quello che rimane di una leggenda

Per tutta la vita Tomás Felipe Carlovich, colui che non volle essere Maradona, ha fatto le stesse cose di sempre: pescare, giocare a carte, intrattenersi con gli amici del quartiere e si dice allenare con ottimi risultati una misconosciuta squadra locale.

Se interrogato ridimensionava di molto il suo mito, non mostrando alcuna riluttanza ad ammettere che, della moltitudine di cose pronunciate sul suo conto, alcune risultano essere vere ed attendibili, altre distorte e poi ingigantite, come in ogni leggenda che sopravvive solo grazie al racconto orale. “Alla gente di Rosario piace raccontare storie”, ammetteva ridendo a volte.

Così, chissà se è vero – come si dice – che una volta scartò un’intera squadra. O che venisse pagato per ogni tunnel eseguito con successo e per questo fosse il più ricco del quartiere. Chissà se è vero che una volta fu espulso, ma il pubblico minacciò un casino tale che l’arbitro ci ripensò e lo fece continuare a giocare. Che rifiutò offerte persino dalla ricca America, per non allontanarsi da casa sua.

E sì che gli americani lo avrebbero coperto d’oro, un giocoliere e un personaggio come lui.

A chi mi domanda perché non sono arrivato chiedo: cosa significa arrivare?
Io volevo solo giocare a pallone e stare con le persone che amo, e loro vivono tutte qui, a Rosario.

El Trinche Carlovich

Quello che resterà, quello che è certo, è il suo mito. Talmente fondato che persino Maradona, quando nel finale di carriera passò da Rosario, a un giornalista che lo definì “il più grande di sempre” si dice abbia risposto che no, il più grande di sempre aveva sì giocato a Rosario, ma molti anni prima. E il suo nome era Tomás “El Trinche” Carlovich.

Che un pomeriggio lasciò la leggenda metropolitana per entrare nella cronaca, umiliando praticamente da solo l’a selección ‘Argentina. Di quel fatto si dice si ricordò Cesàr Menotti, commissario tecnico della Selección che si preparava a ospitare (e vincere) i Mondiali del 1978.

Il Mundial mancato

A corto di leader, vista la defezione del suo pupillo, “El Lobo” Jorge Carrascosa – il quale si dice fosse contro la dittatura sanguinaria del Generale Jorge Videla e si chiamò fuori dalla competizione dicendo che era stanco e stressato – mandò a chiamare quel fenomeno di periferia chiamato Carlovich, memore di quell’unica, grande, partita.

“Vieni a Buenos Aires, facciamo quattro chiacchiere e un provino e magari giochi i Mondiali con noi” il senso del discorso di Menotti. E si dice che “El Trinche” ci pensò su a lungo. Si dice anzi che addirittura partì per la capitale.

Ma poi – si dice – fermatosi lungo la strada nei pressi di un fiume per pescare, vide che le trote erano abbondanti e decise di rimanere lì. Ché in fondo a lui per giocare a calcio divertendosi bastava una squadra. Mica importava quale.

E vero o no che sia quest’ultimo racconto, si può pensare di non rovinare una bella storia con la verità. Nel caso della leggenda di El Trinche Carlovich non è davvero poi così importante. Del resto, per chi non ha voluto essere Maradona, è perfettamente possibile che un bel fiume pieno di pesci possa essere preferito alla partecipazione ad un Mondiale controverso. Seppur da possibile protagonista.

“El Trinche” Carlovich, che non volle essere Maradona

Su di me sono state dette tante cose, ma molte di queste non sono vere. La verità è che non sono mai voluto andare troppo lontano dai miei vicini, la casa dei miei genitori, il bar dove ero solito andare, i miei amici e Vasco Artola, che mi ha insegnato come si colpisce un pallone quando ero ancora un ragazzo.

Parola di “El Trinche” Carlovich, l’ultima vera leggenda del calcio, l’ultimo vero rappresentante de la nuestra, lo stile calcistico argentino che voleva che la classe, il tocco di palla e il numero fine a se stesso contassero quanto il risultato finale, se non di più.

Quello che non fu Maradona. Ma – si dice – molto, molto di più.

L’altro giorno ero a casa di un amico a cui la sorella aveva portato due scarpini e un pallone dagli Stati Uniti. Le scarpe pesavano meno di 100 grammi di mortadella – cose da pazzi! – potevi togliergli la suoletta e tutte quelle cose lì. Mi disse che sono quelle che usa Beckham, io non capisco come si possa colpire una palla con queste scarpe. E un ragazzo, che si era operato a entrambe le gambe, mi raccontò che ci aveva giocato due partite ed io non potevo crederci.

Quando potrò andrò a operarmi anche l’altra anca, e ti assicuro che se potrò tornare a giocare, anche solo un poco, diventerò pazzo. Credo che non potrei reggere l’emozione, saranno almeno dieci anni che non tocco un pallone! Beh, l’altro giorno, in casa di questo amico, l’ho stretto in mano un momento, vedi? Però io non sono un portiere, io dovrei toccarlo con i piedi. Il tatto lo possiedo lì. Se mi chiedessero di giocare ancora 90 minuti? Lo farei, e morirei felice.

Questa storia si conclude tristemente l’8 maggio del 2020, quando El Trinche muore a 74 anni dopo aver trascorso due giorni in coma in seguito al pestaggio subito da un balordo che gli ha rubato la bicicletta. È il momento in cui il mondo riscopre la leggenda, e spunta fuori addirittura un video che immortala alcune giocate di Carlovich, ormai 42enne, con la maglia dell’Argentino de Monte Maíz.

Video del Trinche Carlovich in azione

Un vero e proprio documento storico, che tuttavia non cambia la sostanza del mito: la storia del Trinche Carlovich è qualcosa a cui milioni di persone hanno scelto di credere nonostante in pochissimi lo abbiano visto giocare. Da appassionato di storia del calcio potrei storcere il naso, davanti a un’affermazione del genere. E invece, considerando la gioia che questa probabile leggenda metropolitana ha dispensato, per stavolta va benissimo così.


Tomás Felipe Carlovich

  • Soprannome: El Trinche
  • Nazionalità: Argentina
  • Nato a: Rosario (Argentina) il 19 aprile 1946
  • Morto a: Rosario (Argentina) l’8 maggio 2020
  • Squadre di club: Sporting Club, Rosario Central, Flandria, Central Córdoba, Independiente Rivadavia, Colón, Deportivo Maipù, Andes Talleres, Provincial de Pergamino, Newell´s Old Boys de Cañada de Gómez, Argentino de Monte Maíz
  • Trofei conquistati: Primera División C 1973, 1982

Sitografia:

  • Pumpkin, Matt (05/06/2012) El Trinche: la leggenda di Tomàs Felipe Carlovich, Fútbologia
  • “Piksi” (29/09/2012), La leggenda del Trinche Carlovich, Julian Ross 
  • (09/11/2013) Leggendo Leggende, FC Arbatax
  • (10/05/2020) Farias, G. – Paren las rotativas: apareció un partido completo de Carlovich en Monte MaízLa Voz

Bibliografia:

  • Console, Daniel (2019) El “Trinche” Carlovich – Il settimo era un folletto – ACQUISTA
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Simone Cola
Simone Colahttps://www.uomonelpallone.it
Amante del calcio in ogni sua forma e degli uomini che hanno contribuito a scriverne la leggenda

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