Bob Marley non è stato soltanto un’icona della musica reggae, ma anche un appassionato calciatore. In campo come sul palco, cercava libertà e ispirazione. La sua vita e la sua morte si intrecciano profondamente con il pallone, simbolo di un sogno di uguaglianza, bellezza e ribellione.
Il celebre cantante giamaicano Bob Marley (1945-1981), il più famoso esponente del genere reggae e tra i musicisti più influenti di sempre, era anche un grande appassionato di calcio. Lo aveva scoperto da bambino per le strade polverose di Saint Ann Parish, e lo aveva poi riscoperto negli anni ’70 grazie a un’amicizia che avrebbe segnato la sua vita: quella con Alan “Skilly” Cole, ex calciatore della nazionale giamaicana e suo stretto collaboratore, con cui Marley condivise casa e palcoscenico.
Bob Marley e il calcio, un grande amore
Sul suo talento da calciatore i pareri sono discordanti: c’è chi lo descriveva come un dribblomane instancabile, chi lo definiva tecnicamente modesto. Ma su una cosa tutti concordano: amava il calcio con la stessa intensità con cui cantava l’amore, la lotta sociale, la libertà.
Non era raro trovarlo a giocare in ogni città in cui si esibiva: nei parcheggi, nei giardini degli hotel, persino nei backstage. Per lui il calcio era un linguaggio universale, un modo per connettersi agli altri senza parlare, proprio come la musica. La palla al piede diventava uno strumento per liberare la mente, proprio come una chitarra tra le mani.
Purtroppo, fu proprio questo amore a contribuire – indirettamente – alla sua morte. Marley morì a 36 anni per un cancro causato da un melanoma maligno sotto l’unghia dell’alluce destro. Due anni prima, durante una partitella, un avversario lo aveva colpito duramente proprio in quel punto, aggravando un vecchio infortunio. Bob, fedele ai princìpi rasta che rifiutavano l’amputazione proposta dai medici, decise di convivere con quel dolore. Ma il male si diffuse.
L’House of Dread FC e una frase immortale
Nonostante la malattia, Marley non rinunciò mai al suo legame con il calcio. Durante il suo soggiorno a Londra fondò una piccola squadra, l’House of Dread FC, formata da amici, membri della band e collaboratori. La musica si fermava, ma il calcio continuava a scorrere. Era il suo rifugio e la sua seconda arte.
Alla fine della sua vita, Bob chiese di essere sepolto con tre oggetti simbolici: una Bibbia, la sua chitarra Gibson, e un pallone da calcio. Tre strumenti per tre passioni che raccontano chi era davvero: un credente, un artista, un sognatore. Ma anche un calciatore, come lui stesso amava definirsi.
Il suo amore per il calcio resta immortalato anche in una delle sue frasi più iconiche:
Se non fossi diventato un cantante, sarei stato un calciatore… o un rivoluzionario. Il calcio significa libertà, creatività, significa dare libero corso alla propria ispirazione.
Parole che suonano come un manifesto, dove il pallone diventa più di un gioco: è un simbolo di emancipazione, uno strumento per cambiare il mondo, un inno alla vita. Proprio come il reggae.
Sitografia:
- Consiglio, R. (11/05/2023) Bob Marley, il Reggae nella mente e il calcio nel cuore – GiocoPulito.it