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Heleno, recensione del film dedicato al “Principe Maledetto”

“Non sono un genio. Semplicemente, so esattamente quel che voglio: gol, vite sottili e Cadillac!”

Mentre nel resto del mondo infuriava la guerra, negli anni ’40 il Brasile era un piccolo paradiso di musica, calcio e passione. E il re indiscusso di questo paradiso era Heleno de Freitas, centravanti del Botafogo e mattatore delle notti di Rio de Janeiro.

Così come nessun difensore sapeva fermarlo sul campo da gioco, nessuna donna sapeva resistergli nelle numerose serate ai nightclub alle quali partecipava. Eppure, nonostante tutto il successo, il male di vivere divorava questo campione dall’interno e lo portò ad un rapido declino e all’oblio, prima di una tragica fine.

La sua epopea da noi è giunta in sordina, la fama oscurata dal fatto che mentre Heleno era all’apice del suo splendore calcistico non si disputarono quei Mondiali che avrebbero potuto regalargli la fama planetaria che sul campo meritava.

Heleno: recensione del film biografico

Il film, purtroppo mai uscito in Italia, racconta la vita di quella che molti considerano la prima vera “super star” del calcio. I successi, gli amori, i demoni e la caduta. Il tutto in un’atmosfera a tratti quasi onirica, scelta azzeccata per illustrare senza troppi grattacapi le sue imprese sul campo da gioco e per dare più epicità all’intero racconto, senza dubbio meritevole di maggior fama.

Heleno de Freitas, interpretato dall’ottimo Rodrigo Santoro (il Serse di “300”) fu davvero come appare nel film. Un talento divino, bello e carismatico, dotato di tutto quello che un uomo qualsiasi avrebbe anche solo potuto sperare di avere. Eppure sperperò tutto, divorato da demoni interiori e dalla consapevolezza di quanto fugace sia la fama, la giovinezza, la bellezza.

Questo straordinario campione visse gli ultimi anni della propria breve vita in un manicomio, ed è proprio da qui che inizia il film, che poi alterna sapientemente attualità e ricordi mostrando il contrasto tra l’uomo pazzo e in fin di vita degli ultimi giorni e quello che fu in gioventù, ricco, famoso, con il mondo ai propri magici piedi.

Una parabola tra sogno e realtà

Il sapiente utilizzo dei cambi temporali e una regia che non perde mai il filo della narrazione, utilizzando benissimo il bianco e nero e le musiche dell’epoca per ricreare la magia di certi racconti, rendono “Heleno” uno dei film più belli mai visti sul calcio oltre che una pellicola che anche chi non ama questo sport potrà apprezzare per la bellezza evocativa di certe atmosfere.

Il pallone gioca infatti un ruolo importante ma non determinante nel descrivere la vita di questa anarchica stella, odiata e rispettata in egual modo da compagni ed avversari ma persona vera e profondamente affamata di vita anche al di fuori del rettangolo di gioco, alla perenne ricerca di una pace interiore forse mai veramente voluta e dalla quale anzi continuò a fuggire fino alle più estreme conseguenze. L’interpretazione di Santoro è convinta e convincente, il calcio e la Rio di quelli anni sono ricreati con realismo senza però perdere quell’alone di magia, di storia leggendaria, che aleggia per tutta la durata del film.

In definitiva, la storia di Heleno de Freitas è cosa che chiunque si professi appassionato di storie di calcio dovrebbe conoscere, e “Heleno” è il film che più di tutti può raccontare la vita di questo straordinario campione, colpevolmente dimenticato dal calcio al di fuori del Brasile.

Un talento a cui Fonseca rende omaggio con questa pellicola, che ne celebra il mito pur senza mai correre il rischio di mostrare un occhio buonista o estremamente romantico su quello che fu, a tutti gli effetti, la prima “rock star” bella e dannata del calcio. Davvero uno dei più bei film sul calcio mai realizzati.

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