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La recensione di Jimmy Grimble

La storia del calcio al cinema è piena di esempi di film dal budget altisonante che si rivelano incredibili flop. Allo stesso tempo, però, c’è qualche raro esempio di come, con mezzi tutto sommato ridotti, si possa narrare una storia con poche pretese con il risultato finale di avere un film gradevole e che scorre via che è un piacere.

È questo il caso della commedia inglese “Jimmy Grimble” (“There’s only one Jimmy Grimble”, in originale), film del 2000 diretto dall’allora esordiente John Hay ed ispirato al celebre, in Inghilterra, fumetto “Billy’s Boots”, di cui riprende grosso modo la storia.

Jimmy e gli scarpini magici

Ingrediente base una trama semplice quanto gradevole: un bambino innamorato del calcio e del Manchester City – appunto Jimmy Grimble – vive una vita tutt’altro che semplice a causa dei bulli della scuola (tutti tifosi del Manchester United) che lo ridicolizzano in diversi modi.

A questo si aggiunge una clamorosa “ansia da prestazione”, che lo fa essere sempre impacciato quando si confronta con qualcuno o qualcosa, sia questa una ragazza o una partita di pallone.

Tutto cambia magicamente quando un giorno Jimmy conosce un anziana e misteriosa signora, che gli dona un paio di scarpini da calcio speciali: appartenevano, infatti, a tale Bobby Brewer, presunto eroe del passato al Manchester City.

Pur non trovando traccia dell’esistenza di questo calciatore, Jimmy comincia a credere negli “scarpini magici” quando questi lo aiutano a imporsi nella squadra della scuola, guidata da un professore di educazione fisica (Robert Carlyle) anch’egli con un passato calcistico interessante e legato ai Citizens.

Poco ma bene

“Jimmy Grimble” è un film che dice poco ma lo dice bene. Al termine dei 90 minuti di durata la sensazione di soddisfazione è notevole: non un’opera da tramandare ai posteri (anche se tra gli appassionati di calcio gode di notevole apprezzamento) ma comunque una favola simpatica e ben confezionata che non annoia mai.

Tutti i personaggi principali sono classici e ben delineati: il ragazzino timido e impacciato ma di talento, la madre instabile sentimentalmente ma dal cuore grande, l’ex della madre persona tutta di un pezzo, l’allenatore che odia il calcio perché in realtà lo ama troppo, il bullo figo e prepotente.

La storia va avanti in modo decisamente prevedibile, ma allo stesso tempo piacevole, fino al finale. Le scene di gioco non sono male, trattandosi comunque di un torneo di calcio scolastico cittadino, anche se rare e slegate tra loro.

Il calcio non è il vero protagonista di questo film, quanto la spalla, la spina dorsale della storia e dei suoi protagonisti. Scordiamoci infatti massime sul “gioco di squadra”, lo “spirito di sacrificio” o qualsiasi cosa abbia a che vedere con il vero gioco. Il tema è più la passione per lo stesso, abbinata a quel pizzico di “magia”. Jimmy Grimble è un’opera più che gradevole, anche se la sensazione è che si potesse fare qualcosa di più.

Jimmy Grimble: migliorabile ma comunque promosso

Le squadre avversarie, ad esempio, potevano essere delineate e caratterizzate in modo migliore (un difetto che riscontreremo anche in altri film, come “Shaolin Soccer”), così come i compagni di squadra. Di 12 membri effettivi, viene accennata una personalità solo a 3 o 4 di loro, e solo uno la porta davvero fino in fondo al film.

Più spazio poteva essere dedicato quindi alla squadra, ai rivali e al calcio vero e proprio, che invece viene spesso messo da parte per lasciare spazio alla storia di Jimmy e i bulli, Jimmy e la ragazzina, Jimmy e l’allenatore, Jimmy e la madre con i suoi amanti.

Avere due attori di spessore come Robert Carlyle e Ray Winstone e sfruttarli così è in effetti uno spreco, anche se mi ripeto, scorre via bene e rimane un film più che discreto da guardare un pomeriggio o una sera. Naturalmente senza avere particolari aspettative.

Un film più che sufficiente, dunque. Che pur non segnalandosi per una regia audace o per una trama particolarmente elaborata coglie comunque nel segno, riuscendo a strappare qualche risata e a fare la sua parte raccontando una bella favola calcistica in stile perfettamente “british“.

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