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#StranoCalcio01 – Eroi alternativi

Il calcio è bello perché è vario. Ogni Paese ha la sua storia calcistica, più o meno gloriosa, e quasi ogni Paese ha anche le sue incredibili storie urbane, curiose, epiche, che fanno capire perché si può amare il calcio anche lontano dai riflettori e dalle musiche della Champions League.

Oggi cerco di raccontarvi alcune di queste incredibili storie, sperando di strapparvi due risate…

 LLANFA-CHE???

Nella “Welsh Alliance League”, terzo gradino del sistema calcistico gallese, è protagonista un club noto in tutto il mondo: il Llanfairpwll F.C., nato nel 1899 e tutt’ora attivo ed entusiasta.

Il Llanfairwpll è noto in tutto il mondo perché espressione della città che detiene il “Guinnes dei primati” come “nome di città più lungo”.

Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch!

Ben 58 parole che in gaelico significano “Chiesa di Santa Maria nella valletta del nocciolo bianco, vicino alle rapide e alla chiesa di San Tysilio nei pressi della caverna rossa”. Allucinante.

Nei suoi 114 anni di storia, il Llanfairpwll non ha mai conosciuto la massima serie gallese, cosa normale visto che si parla di una cittadina di appena 3000 abitanti, eppure è diventato rinomato in tutto il mondo, contando sostenitori e simpatizzanti persino in Brasile.

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Nella stagione 2008/09 ha lasciato lo storico “The Gors”, stadio in cui giocava da sempre, per trasferirsi nel nuovo impianto, “Eilian’s Field”, dedicato ad un santo locale che si dice compiesse non meglio precisati miracoli.

La natura del club è ovviamente dilettantistica, in una realtà calcistica che ha dilettantistica persino la massima serie, e la squadra è formata quasi interamente da locali.

Tuttavia, dopo oltre un secolo, questa piccola città continua ad esistere e così la sua piccola ma speciale rappresentativa calcistica.

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LA MODA? QUESTIONE DI GUSTI!

Nessuno vieta ad un calciatore di avere la propria squadra del cuore, anche se magari non è quella in cui milita. Certo è che se tifi per una squadra che i tuoi tifosi odiano, dovresti come minimo cercare di tenerlo nascosto. O quantomeno di stemperare gli animi.

Non certo quello che fece Lee Clark, che il 22 Maggio 1999 si recò da tifoso a vedere la Finale di FA Cup che vedeva la sua squadra del cuore, il Newcastle, affrontare il Manchester United.

Lee Clark era un centrocampista, giocava nel Sunderland ed era anche accreditato di un certo talento, un calciatore abile ma discontinuo.

Abile con i piedi, non certo con la testa: tra il Newcastle ed il Sunderland esiste da sempre una certa rivalità, e Clark pensò bene di ignorare la cosa indossando una maglietta con scritto sopra “Sad Mackem Bastards, dove “Mackem” sta ad indicare gli abitanti di Sunderland e il resto è facilmente intuibile.

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Non fu un pomeriggio felice per il buon Lee: immortalato dai fotografi tra i fans, perse immediatamente il posto al Sunderland, che se ne sbarazzò in quattro e quattr’otto.

Il Newcastle perse oltretutto la partita e la coppa, sconfitto da un Manchester United che in quella stagione avrebbe fatto la tripletta Campionato-FA Cup-Champions League.

Clark giocherà poi nel Fulham, dove diventerà un idolo, prima di chiudere la carriera nel suo Newcastle, laddove aveva iniziato da giovane e dove, ovviamente, per l’aver indossato quella maglia quel giorno è diventato un eroe.

La moda? Questione di gusti…


VIA COL VENTO

La storia del calcio è piena zeppa di gol assurdi: gol di sedere, gol di pube (Renato Portaluppi, “El Pube de Oro”), gol segnati da arbitri o chissà cos’altro. Ma raramente si vede un gol così. Un gol che, effettivamente, non puoi assegnare a nessuno.

Ma andiamo con ordine: i 9 gironi che compongono la Serie D del sistema calcistico italiano prevedono, ovviamente, 9 squadre “campioni” che vengono promosse al piano superiore.

Ma quale di queste 9 squadre è effettivamente “vincitore” della Serie D? Esiste un torneo, a stagione conclusa, che assegna anche questo titolo.

Quest’anno la finale è stata giocata tra Ischia (campione campano) e Delta Porto Tolle (campione veneto) ed è stata vinta dagli isolani grazie a questa singolare rete.

Alla fine la marcatura è stata segnata come autorete del portiere. Oltre al danno, la beffa.


THE IMPORTANCE OF BEING “FATTY”

William “Fatty” Foulke è stato uno dei primi pionieri del calcio mondiale. Scoperto dallo Sheffield United in una partita paesana, esordisce tra i pali dei “The Blades” a vent’anni dimostrandosi subito un portiere unico e molto abile.

Foulke non era grosso, in un epoca in cui già essere alti 1 metro e 80 faceva di te una torre: Foulke era ENORME, 193 centimetri di altezza per ben 152 chili di peso, misure che lo rendevano un incubo per gli avversari, che si trovavano a tu per tu con questo portiere e che vedevano letteralmente la porta rimpicciolirsi.

Ma Foulke non era certo un fenomeno da baraccone: era bravo tra i pali, tanto bravo da giocare per la Nazionale Inglese in un occasione e da riuscire a guidare il suo club alla vittoria di un campionato e a due secondi posti, oltre a tre finali di FA Cup, delle quali due terminate da vincitore.

Nel 1905, trentenne, si trasferisce per ben 50 sterline al Chelsea, che dietro la sua porta mette due bambini per far risaltare ancora di più la sua stazza e lo nomina capitano, salvo liberarsene dopo appena una stagione.

Gli storici fanno risalire a questo momento la nascita del ruolo di “raccattapalle”, giacché il grande e grosso Foulke non ha voglia di andare a prendere il pallone ogni volta che questo finisce lontano dalla porta.

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Un mito difficile da gestire: Foulke ha un carattere tutto suo, che lo porta ad inseguire nudo (!) un arbitro dagli spogliatoi, per via di un gol subito ritenuto irregolare, così come ad abbandonare il campo improvvisamente se i difensori non seguono le sue indicazioni e lo lasciano scoperto.

Foulke chiude la carriera con il Bradford City, prima di ritirarsi nel 1907 ad appena 33 anni. Muore 9 anni dopo per cirrosi, ma rimane per sempre un idolo dei tifosi dello Sheffield.


FATHER & SON

19 Luglio 2009, campionato boliviano. L’Aurora sta perdendo per 1 a 0 contro il La Pàz quando l’allenatore, alla ricerca del pareggio, effettua un cambio tattico: a 10 minuti dalla fine toglie un difensore e fa entrare un attaccante.

Niente di strano, direte voi.

Peccato che l’allenatore dell’Aurora sia la ex-gloria nazionale Julio Cesar Baldivieso (83 presenze e 15 reti in Nazionale tra il 1991 e il 2007) e che l’attaccante prescelto per inseguire il pareggio sia il figlio Mauricio, che un paio di giorni dopo avrebbe compiuto 13 anni.

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Il bambino entra in campo fiducioso, tocca il primo pallone e subito riceve una durissima entrata da dietro da parte di un avversario: scoppia in lacrime ed esce dal campo, rientrando dopo 5 minuti e giocando quindi gli ultimi 4. Nonostante il suo ingresso (ma va?) l’Aurora non riesce a trovare il pareggio.

Mauricio fa notizia, però: è il più giovane esordiente di sempre in un campionato professionistico.

Al presidente dell’Aurora, tuttavia, la “mossa tattica” non è piaciuta, e 5 giorni dopo licenzia il padre-allenatore, che viene seguito dal figlio nel Real Potosi.

Adesso, a 17 anni, le carriere di padre e figlio si sono finalmente separate: Baldivieso Senior continua ad allenare qua e là, mentre il piccolo Mauricio, ora 17enne, è incredibilmente rientrato nei piani dell’Aurora, che lo ha ripreso in squadra.


NELLA BOTTE PICCOLA…

Le Isole Scilly sono un arcipelago al largo della Cornovaglia e sono note, calcisticamente parlando, per essere la sede del più piccolo campionato di calcio del mondo.

Dal 1920, infatti, si sfidano per il titolo di “Campione delle Isole Scilly” solamente due squadre, i “Woolpack Wanderers” e i “Garrison Gunners”, con i primi che sono decisamente la Juventus della situazione, avendo vinto la maggior parte dei titoli.

Da metà novembre fino a fine marzo le due squadre si sfidano in 17 incontri per determinare chi è il campione, e non finisce qui!

Ci sono anche due coppe, la “Wholesalers Cup” (una specie di Supercoppa, partita unica) e la “Foredeck Cup” (la Coppa Nazionale, che si gioca – sic! – in andata e ritorno) oltre ad uno speciale incontro che si tiene a Natale tra i giovani talenti e le vecchie glorie (“Old Men VS Youngsters”) e che serve per scoprire chi, tra gli appena 2000 abitanti dell’isola, ha il talento per giocare.

Che in pratica vuol dire chiunque sia maschio e sano fisicamente, intendiamoci.

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Anche dovesse esplodere un giovane talento, comunque, difficilmente rimarrebbe nell’arcipelago: infatti nelle Scilly non esistono scuole superiori, e così a 16 anni i giovani sono costretti, per studio, a recarsi in Gran Bretagna, solitamente non tornando che in vecchiaia per via anche dell’alto costo delle case sull’isola.

Il campionato sta dunque perdendo sempre più giocatori, con le squadre che hanno un età media di 30-35 anni e senza alcun ricambio per il futuro. Sembra incredibile da dire, ma anche se basato su sole due squadre, il calcio alle Scilly sembra destinato a scomparire.


BEATI GLI ULTIMI

Vincere a tutti i costi. Questo imperativo è stato, per molti, la rovina del calcio. Molte volte negli anni abbiamo protestato dopo aver visto ogni sorta di trucchi e trucchetti messi in campo dai calciatori per arrivare alla vittoria.

Molte volte ci siamo annoiati a guardare partite povere dal punto di vista dello spettacolo per via dell’inseguimento del risultato a discapito di ogni altra cosa.

Perché, checche’ ne dica De Coubertin, nello sport l’importante è vincere. Soprattutto nel calcio.

Ma c’è qualcuno per cui non è importante vincere a tutti i costi. Anzi, per qualcuno è importante addirittura perdere a tutti i costi.

È il caso dei tifosi più estremi dell’Ibis Sport Club, società calcistica brasiliana che partecipa al campionato del Pernambuco.

Fondato nel 1938, l’Ibis fu tra i club fondatori della Federazione Calcistica del Pernambuco, e fino al 1980 ebbe una storia anonima uguale a molti altri team minori.

La storia mutò tra il 1980, appunto, ed il 1984. In questi quattro anni, infatti, i giocatori dell’Ibis non furono capaci di vincere una sola, singola, partita, e il club finì per essere riconosciuto dal Guinnes dei Primati come “la peggior squadra del mondo”.

Non un motivo di vergogna, però, anzi. L’essere la peggior squadra del mondo dona finalmente un tratto distintivo alla squadra. E’ qualcosa di cui vantarsi, tanto che viene inserita la frase anche nelle divise di gioco. Così, per evitare fraintendimenti.

La “stella” dell’Ibis, l’icona, la leggenda dei tifosi è Mauro Shampoo, professione parrucchiere e a tempo perso centravanti del “peggior team del mondo”, e il suo score è del resto degno della squadra di cui è idolo.

10 anni di carriera ed una sola rete, peraltro in una partita persa per 8-1. Un gol festeggiato che manco Tardelli nella finale Mundial dell’82.

Un personaggio, Shampoo, che entra nell’immaginario collettivo brasiliano: gli vengono dedicati un cortometraggio, servizi TV ed interviste.

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Pallone, forbici, pettine, chioma fluente e maglia dell’Ibis: è Mauro Shampoo

La squadra, dopo il ritorno alla vittoria nel 1984, continua ad inanellare risultati negativi uno dietro l’altro, tuttavia all’inizio del nuovo secolo riesce addirittura a vincere 7 partite in un anno.

Un ruolino di marcia che mica piace ai tifosi, che chiedono a gran voce alla squadra di non perdere la propria identità e invocano addirittura il ritorno in campo dell’ormai cinquantenne Shampoo.

Non ci è dato di sapere se ciò sia poi avvenuto, ma una cosa è certa: la squadra non ha deluso i suoi tifosi, ed ha ricominciato a fare la cosa che sa fare meglio.

Perdere.

Conoscevate tutte queste storie? E qual è quella che vi è piaciuta di più? Scrivetemelo o commentate qui sotto! Buon calcio a tutti!!!

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