Blackburn Olympic, gli operai che fecero l’impresa

La storia del calcio è costellata di episodi considerati ‘fondamentali’ per lo sviluppo stesso della disciplina: la decisione di vietare la possibilità di giocare il pallone con le mani, ad esempio, oppure l’invenzione della rete o la necessità di avere un arbitro, la fondazione dei primi club e l’organizzazione delle prime partite o dei primi tornei.

Ognuno di questi episodi è stato un passo in avanti nell’evoluzione che ha trasformato quello che a metà del XIX° secolo era un passatempo per giovani e ricchi studenti nello sport planetario di oggi, che smuove montagne di soldi e milioni di persone.

Se dovessimo però segnare un punto esatto in cui il football smise di essere quello dei primordi per diventare un vero e proprio gioco di squadra destinato al popolo si dovrebbe indicare l’edizione della FA Cup 1882/1883 vinta dal Blackburn Olympic.

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Tutte le prime volte nel calcio

Nell’augurare a tutti voi un buon primo dell’anno cercherò di raccogliere in breve – i preparativi per il Capodanno incombono anche per me! – tutte quelle cose che sono state le “prime volte” nel calcio.

Molte di queste cose sono note, altre meno, alcune di queste già sono presenti su questo sito da tempo e troverete quindi anche i relativi link per entrare più nel dettaglio. La maggioranza di questi “record” ha come protagoniste le squadre inglesi, come prevedibile essendo l’Inghilterra il luogo dove il football è nato ed è stato codificato.

Andiamo!

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1876, la prima fotografia della Nazionale inglese e undici storie

“Bisogna capire cosa c’è dietro i fatti per poterli rappresentare.
La fotografia – clic! – quella la sanno fare tutti.”

(Tiziano Terzani)

Una fotografia può raccontare tante storie. Quella oggetto di questo articolo, la più antica a ritrarre una formazione della Nazionale di calcio dell’Inghilterra, ne raccoglie undici.

Sono le storie degli undici giocatori che si apprestavano a disputare la quinta partita ufficiale dei “maestri del football” con gli unici rivali allora disponibili, e cioè gli scozzesi che, pur riconoscendo ai vicini di aver inventato il gioco, sostenevano che i meriti inglesi finivano lì, e che a capire come il football andasse giocato erano stati proprio loro.

Quel giorno la Tartan Army avrebbe avuto ragione – evento a dire la verità molto frequente in epoca vittoriana – eppure grazie a questa fotografia sono gli undici “Leoni di Sua Maestà” ad essere entrati nella storia.

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Thomas Donohoe

Sarà sempre lunga la disputa su chi abbia inventato il football nella forma in cui lo conosciamo oggi, se gli inglesi che ne gettarono le basi oppure gli scozzesi, fautori del passing game e delle prime organizzazioni tattiche di sempre.

Anche su chi abbia portato il football in Brasile, trasformandolo in futebol, la diatriba è nota, anche se in questo caso riguarda due cittadini scozzesi: uno di questi, Charles Miller, in Brasile era nato – figlio di immigrati venuti a costruire le ferrovie – e dopo aver studiato in Inghilterra era tornato formando la prima lega calcistica, organizzatrice del primo campionato ufficiale della storia.

Qualcun altro lo aveva però preceduto, seppur di poco e con modalità ed effetti ben più modesti.

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James R. Spensley, il padre del calcio

Ogni Paese, nella sua storia calcistica, ha una figura che può essere considerata il “padre” della disciplina. Essendo nato in Inghilterra, per moltissime realtà questo risulta essere originario d’Albione, e l’Italia non fa eccezione: nonostante infatti il fondamentale e riconosciuto contributo portato alla causa da Edoardo Bosio, industriale torinese che per primo portò nel nostro Paese un pallone da foot-ball – formando così le prime associazioni calcistiche, pur non ufficiali – il merito di aver portato il calcio alle masse, trasformandolo dal gioco elitario qual’era in origine, va senz’altro ascritto a James Richardson Spensley.

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Julio Libonatti, il primo oriundo

Quel mattino di gennaio del 1938, al porto che da Genova lo avrebbe riportato in Argentina, Julio Libonatti guardò per l’ultima volta il Paese che era stato dei suoi avi e in cui lui era tornato come campione di “Foot-Ball”.

Così era ancora chiamato il calcio in Italia, quando il giovane centravanti argentino vi aveva messo per la prima volta piede. Da quel giorno molte cose erano cambiate: l’ascesa al potere del Fascismo aveva trasformato il Paese e infine anche il gioco stesso, facendo diventare l’Italia una compagine prima rispettata e poi temuta.

Gli azzurri, nel momento in cui Libonatti fissava per l’ultima volta il mare di Genova, erano diventati i più forti al mondo. Campioni, in casa, nel contestato Mondiale del 1934.

Pochi mesi dopo si sarebbero confermati in Francia, spazzando via le malelingue che avevano parlato di una vittoria, quella di quattro anni prima, politica. Voluta e ottenuta con la forza dal Duce.

No, gli Azzurri erano ormai una vera e propria forza. Merito anche dei tanti oriundi, gli argentini “di ritorno” in Italia, naturalizzati per fare la differenza in campo con la Nazionale. Campioni come Raimundo Orsi, Luisito Monti, Enrique Guaita, Michele Andreolo, talenti determinanti che avevano dato la svolta al calcio italiano. Il capostipite dei quali, indiscutibilmente, era stato lui, Julio Libonatti da Rosario, stella del Torino.

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Willem Hesselink, il cannone oranje

Il nome di Willem Hesselink è praticamente sconosciuto agli appassionati di calcio di oggi e anche a molti studiosi della materia, che spesso finiscono per ignorare il calcio olandese che, a cavallo tra il 1800 e il 1900, vide la nascita di un proprio movimento.

Eppure è sbagliato ignorare chi sia stato questo uomo straordinario, atleta eccellente che mise la sua classe, la sua passione e il suo spirito di iniziativa al servizio del football. Introdotto nei Paesi Bassi dal leggendario Pim Mulier, altro personaggio dalle mille sfaccettature, il gioco che per gli inglesi era già religione faticò a prendere campo in Olanda.

Fu qui che la figura di Willem Hesselink divenne straordinariamente importante: appassionatosi al gioco, seppe conquistare con la sua classe quegli spettatori, man mano sempre più numerosi, che si intrattenevano a vederne le gesta. Non è azzardato dire, dunque, che la trasformazione da football a voetbal avvenne grazie a questo mitico calciatore.

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L’Alumni Athletic Club e la “familia Brown”, le radici scozzesi del fútbol argentino

Sulle origini del calcio gli storici discutono da tempo, ma la teoria comune e ormai accettata è la seguente: se è vero che il football fu ideato dagli inglesi, furono gli scozzesi a codificarlo attraverso regole e moduli tattici, trasformandolo da sport di pura valenza agonistica a arte vera e propria.

Sia quel che sia, è certo invece che scozzesi furono i pionieri del calcio argentino, la scuola che in seguito ha dato al mondo campioni assoluti come Alfredo Di Stefano, Diego Maradona e Lionel Messi, tra i migliori calciatori della storia.

Molto tempo è passato e molte cose sono cambiate da quei giorni di fine ‘800, quando numerose famiglie di latifondisti britannici giunsero sulle coste argentine per avviare le proprie attività imprenditoriali: alcuni membri di queste famiglie, sotto braccio, portavano con se un pallone da football.

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1857: nasce lo Sheffield Football Club, la prima squadra

Fondato il 24 ottobre del 1857 – e tutt’ora esistente – lo Sheffield Football Club è considerato dalla FIFA la squadra più antica al mondo. Anche se aveva visto la luce in una città nota per le sue industrie, il club non era certo nato per il proletariato: i due principali fondatori, Nathaniel Creswick e William Prest, erano infatti rispettivamente un legale e un mercante di vino.

Sportivi entusiasti, Creswick e Prest, nei mesi invernali, spesso giocavano a calcio con i compagni di cricket per mantenersi in forma già da qualche anno, senza però alcuna regola scritta.

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Charles Wreford-Brown, “Mister Soccer”

Quando Charles Wreford-Brown morì, il 26 novembre del 1951, il calcio stava definitivamente lasciandosi alle spalle il periodo dei pionieri per trasformarsi nello sport moderno: i maestri inglesi avrebbero subito nel giro di pochi anni due pesanti scoppole dalla “Grande Ungheria”, che avrebbe smontato per sempre il mito dei “Leoni di Sua Maestà” imbattibili nella disciplina da essi stessi inventata.

Una disciplina che Wreford-Brown contribuì in modo sostanziale a far diventare grande, ma della quale non seppe mai accettare i risvolti economici e politici: per lui il soccer – termine che si dice fu lui stesso a inventare, contrazione del termine association – doveva rimanere disciplina sportiva nobile e giocata senza secondi fini, ma solo per la gioia della sfida e l’appagamento del pubblico.

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Charles Miller, “el Senhor Futebol”

La leggenda vuole che, quando i genitori lo videro sbarcare dal battello che lo riportava in Brasile dopo gli studi compiuti in Inghilterra con due palloni da calcio sotto le braccia, i genitori di Charles Miller chiesero al figlio cosa fossero quegli oggetti, a cosa servissero.

E che lui, fiero, rispose così: “Sono le mie lauree. Vostro figlio infatti si è laureato nel football”. Forse quel giovane e ambizioso brasiliano di origini scozzesi già immaginava il futuro: e cioè che il football sarebbe divenuto futebol, e che il Brasile sarebbe diventato IL Paese per eccellenza in questo sport.

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Amilcar, Bolívar e Carlos: i fratelli Céspedes

Vere e proprie leggende degli albori del calcio in Uruguay, i fratelli Céspedes furono campioni leggendari, i primi calciatori che riuscirono a far parlare di se nel proprio Paese. Si diceva che fossero talmente forti da poter vincere qualsiasi partita, contro qualsiasi avversario, con qualsiasi compagno di squadra. 

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