Il 12 marzo del 1881 i quasi diecimila tifosi inglesi che avevano raggiunto l’Oval di Londra per assistere all’annuale sfida tra Inghilterra e Scozia restarono senza parole. Non tanto per il risultato maturato in campo dai propri beniamini, una sconfitta 6-1 che purtroppo non era una novità ma l’ennesima batosta rimediata contro i cugini, quanto perché per la prima volta furono testimoni di un fatto allora considerato quasi incredibile: un nero era capace di giocare a calcio.
Non solo: quel “nero” aveva indossato anche la fascia di capitano della Scozia, e nonostante i sei gol segnati dai suoi era stato lui, difensore, il migliore in campo. Elegante dentro e fuori dal campo, straordinariamente potente, tatticamente acuto e allo stesso tempo coraggioso e pulito nell’intervento, aveva giganteggiato sugli avversari in modo innegabile.
Andrew Watson era nato nella Guyana Britannica, colonia dell’Impero lontanissima da quella Londra dove era stato inventato il football e dove si era ritrovato a giocare in quel memorabile giorno di marzo. Figlio di un anziano emigrato scozzese proprietario di una piantagione di canne da zucchero, era nato da un rapporto illegittimo tra il padre e una lavoratrice del posto. Nonostante le circostanze della sua nascita era stato comunque benvoluto dal genitore, che se lo era riportato in Gran Bretagna quando era ancora un bambino garantendogli i migliori studi possibili a Londra e quindi a Glasgow.
Andrew Watson, la prima stella di colore
Qui era emerso come un brillante studente, versato soprattutto nelle materie scientifiche, e soprattutto come un eccellente footballer, al punto da guadagnarsi l’ingresso nei prestigiosi Queen’s Park in seguito a un provino che aveva lasciato i giocatori dell’allora squadra più forte al mondo a bocca aperta. Alle doti fisiche e al talento che madre natura gli aveva dato in dono, Watson abbinava una grande intelligenza, che gli permise di apprendere i segreti dei grandi campioni con cui giocò e di completarsi fino a diventare un campione egli stesso.
Se ne sarebbero accorti gli inglesi, che prima furono affascinati da quello strano personaggio e poi ne adorarono la squisita educazione quando nel 1882 si trasferì a Londra per gestire la catena di magazzini all’ingrosso che aveva aperto con la cospicua eredità lasciata dal padre e che aveva brillantemente investito. Giocò con gli Swifts di Charles Bambridge, l’unico giocatore che l’anno precedente era riuscito a superarlo all’Oval segnando il gol della bandiera inglese, pur se a risultato già ampiamente compromesso, quindi vestì persino la maglia del Corinthian, club di gentlemen giramondo di cui fu una delle principali attrazioni in due tour.
In seguito alla morte dell’amata moglie Andrew Watson si trasferì poi a Liverpool, dove entrò nel mondo del commercio marittimo grazie alla nuova compagna, figlia di un rinomato armatore che comprese subito che si sarebbe potuto fidare di quell’elegante e acuto uomo, venuto dalla lontana Guyana ma a tutti gli effetti tra i più degni cittadini britannici. Il suo canto del cigno come calciatore fu una stagione con un club di Liverpool, il Bootle, tra le squadre britannici oggi scomparse più forti dell’epoca. Qui si distinse ancora una volta fino a quando non rimediò un infortunio al ginocchio che lo convinse, insieme agli impegni di lavoro sempre più pressanti, ad appendere finalmente gli scarpini al chiodo.
Una vita da giramondo
Divenuto marinaio per conto del suocero, Andrew Watson girò il mondo in lungo e in largo, visitando soprattutto le colonie dell’India e dell’Australia. Qui sarebbe stato dichiarato morto all’alba del XX secolo, lontanissimo da casa e dagli affetti e seppellito in una tomba senza nome. In realtà non si trattò che di un errore, forse un omonimo, perché il campione che aveva stupito gli inglesi per il colore della sua pelle e per la sua grande abilità sul campo continuò brillantemente a lavorare sulle navi della sua nuova famiglia fino al ritiro, avvenuto poco prima della morte sopraggiunta per polmonite nel 1921, quando aveva da poco compiuto 64 anni.
Nato in Sud America, cresciuto in Scozia, diventato grande a Londra e poi finito a navigare i sette mari, Andrew Watson è stato il primo calciatore di colore nella storia: un vero gentleman, un campione assoluto e senza alcun dubbio il simbolo di come il football sia nato per unire e non per dividere.
SITOGRAFIA:
- Mitchell, Andy (20/03/2013) Fate of Scotland’s first black footballer revealed, The Scotsman
- Heffernan, Conor (19/04/2016) Andrew Watson: the silent pioneer for black footballers, These Football Times